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  • Roberta Desderi

Alichin di Malebolge | Il diavolo della commedia


Il servo più bastonato di tutta la commedia dell’arte raramente ha tempo e spazio per raccontare se stesso. Il monologo è un’ottima occasione per precisare quello che spesso il pubblico dimentica - o di cui non è a conoscenza - : Arlecchino è l’incarnazione di un diavolo. La diegesi acquisisce rilievo grazie al fatto che a narrare la genesi di questa maschera è Enrico Bonavera, conosciuto in tutto il mondo come Arlecchino.

Enrico Bonavera in Alichin di Malebolge

L’incipit non fa sospettare alcuna presa di distanza dalla commedia dell’arte - nell’ accezione superficiale e tradizionale del termine: Alichin con tanto di abito e maschera salta fuori da quella che pare essere una gradinata, con la sua valigia, parlando in veneziano (come non potrebbe?) con una pantegana. Nei primi minuti Bonavera si spoglia della maschera, posandola a terra rivolta verso il pubblico, con ritualità e rispetto che solo un vero commediante sa attribuire ad un simile cimelio, per poi liberarsi anche degli abiti.

Il viaggio che Arlecchino condivide con il pubblico, di vita negli inferi e sulla terra, fornisce numerosi spunti per trattare diverse tematiche, spesso però abbandonate in superficie senza essere sviscerate. Bonavera attraverso il personaggio parla del passato e della contemporaneità, criticando l’operato dell’essere umano, rivelandone la bestialità.

Numerosi sono i rimandi a testi altri in cui compare la figura del diavolo, ancora una volta però non c’è un eccessivo approfondimento, scelta in fin dei conti non deprecabile: il protagonista è Arlecchino, non un diavolo qualunque di cui si è parlato nel corso dei secoli. A discapito di quello che il pubblico forse si attende, la figura di Dante è poco più che contornata lievemente. Bonavera mantiene un ritmo battente e rapido, lasciando uno spazio limitato ai momenti in cui mostra la sua profonda conoscenza dei meccanismi della commedia dell’arte. È percepibile una volontà di distacco dal clichè - che è venuto automaticamente a crearsi nel pensiero comune a causa di una conoscenza superficiale del fenomeno della commedia dell’arte- che però la maggior parte del pubblico credo non intraveda. I momenti in cui l’interprete fa gesti o battute ad effetto, mio malgrado, sono proprio quelli in cui la sala si infiamma di risate ed applausi. Il bagaglio di conoscenze che un performer di questa levatura possiede dovrebbe avere il diritto di essere reinventato, oltre i confini che la superficialità culturale ha posto. Gli attimi metateatrali interpretati in quest’ottica assumono un’altra entità : Bonavera ci mostra che quei gesti, spesso istrionici, sono per lui semplicemente gli esercizi di una vita. Per tentare di smontare un concetto sterile e antiquato della commedia dell’arte ci vuole un maestro, che abbia masticato e oramai digerito quel tipo di spettacolazione.

L’idea di un rapporto diretto con il pubblico nasce con dei buoni presupposti, purtroppo però nella realizzazione - anche a causa del fatto che lo spettacolo è stato creato site-specific per il festival di Ravenna e forse poco adattabile a un teatro all’italiana - diviene un gesto semplicemente fatto, in cui paradossalmente la quarta parete resta solida, nonostante le luci accese in sala.

L’utilizzo essenziale dell’apparato illuminotecnico e sonoro contribuiscono d’altro canto a focalizzare l’attenzione sull’interprete che per più di un’ora tiene magneticamente l’attenzione del pubblico, senza mai concedersi dei buchi energetici. La regia di Christian Zecca, per ammissione dello stesso, funge da occhio esterno che regola gli equilibri performativi, ma assolutamente non fornisce indicazioni dittatoriali e questo dona respiro allo spettacolo, in cui l’interprete è libero di prendere i propri spazi e i propri tempi, concedendosi a volte qualche lazzo - in senso lato - proveniente dall’Arlecchino che in qualche modo oramai abita il corpo dell’attore.

Elementi di pregio: presenza scenica intensa dell’interprete, tentativo di non essere “solo” commedia, alcune ottime riflessioni sull’umanità.

Limiti: superficialità di alcuni contenuti, rapporto con il pubblico che risulta accessorio in questo tipo di teatro.

Visto al Teatro Nazionale di Genova (Teatro Modena) il 14 dicembre 2018

Produzione Teatro Nazionale di Genova

Interpreti Enrico Bonavera

Regia Christian Zecca

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