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  • Matteo Valentini

Hamlet di Antonio Latella | Più bipolare che malinconico


Federica Rossellini in Hamlet di Antonio Latella_Foto di ©Masiar Pasquali
Foto di ©Masiar Pasquali

Assistiamo al terzo Hamlet di Antonio Latella – «uno ogni dieci anni», dice il regista partenopeo – sotto la luce diffusa per l’intera sala del Teatro Studio Melato. Grazie alla nostra posizione leggermente rialzata e alla piena illuminazione, riusciamo, una volta tanto, a non considerare le figure che si muovono sulla scena come attraenti apparizioni fantasmatiche, quanto come naturali escrescenze dello spazio circostante. Il diaframma tra il luogo della rappresentazione e la platea si rarefà sotto i riflettori e il pubblico, lontano dalla usuale oscurità, può percepirsi come presenza corporea, visibile, e avvertire lo scorrere materiale del tempo grazie al costante differimento dell’immedesimazione.

Nella scelta illuminotecnica si riassumono i due poli attorno a cui Hamlet gravita: l’appartenenza e l’estraneazione.

Da una parte, l’impostazione registica dello spettacolo è fondata sullo spazio dello Studio Melato. Amleto (Federica Rosellini) durante il secondo atto toglie a una a una le travi che celano la botola nel mezzo della scena, generando un vuoto capace di assumere diverse funzioni e significati: labirinto ligneo in cui il giovane principe si immerge mentre medita la sua vendetta contro lo zio; vuoto metallico da cui risuona il suo «Essere o non essere»; palcoscenico ipogeo per gli attori invitati a corte; luogo di morte per Ofelia (Flaminia Cuzzoli); fossa di terra su cui compiangere Yorick.

Durante il terzo atto, inoltre, subito prima che Amleto istruisca gli attori su come sostenere la rappresentazione per il re, il palco viene invaso da una fila di stender con appesi i costumi di alcuni spettacoli di Giorgio Strehler e Luca Ronconi che circondano Rosellini e la nascondono parzialmente alla vista del pubblico.


«Non superare mai la sobrietà della natura perché l’eccesso è opposto al fine di recitare che è, all’origine come a oggi, quello di prestare, diciamo così, uno specchio alla natura».

I fantasmi del Piccolo Teatro assistono alla declamazione del lascito shakespeariano per l’intera comunità teatrale e, spostati sul fondo della scena, accompagnano la rappresentazione fino alla fine.

 Hamlet di Antonio Latella_Foto di ©Masiar Pasquali
Foto di ©Masiar Pasquali

Agli antipodi di questo radicamento nello spazio e nella storia del Piccolo c’è una ricerca di discontinuità, soprattutto nel rapporto tra Amleto e gli altri personaggi del dramma.

Fino al termine del terzo atto, Federica Rosellini costruisce un Amleto tormentato, aggressivo, con la fronte segnata da rughe inquiete e la voce esplosiva, mentre gli altri interpreti tratteggiano i loro personaggi in modo quasi distaccato, ironico, a volte palesemente buffonesco. Il fantasma del padre di Amleto (Anna Coppola) fa la sua prima apparizione con volteggi e capriole; Polonio (Michelangelo Dalisi) muore in uno sbuffo di coriandoli e la regina madre (Francesca Cutolo) se ne lamenta con tono inespressivo e monocorde. D’altra parte, Amleto passa gran parte dei primi tre atti a parlare, scrivere, contorcersi su un inginocchiatoio, sottolineando la tensione del suo desiderio di vendetta e il suo rapporto peculiare con il trascendente. Con l’inizio del quarto atto, la pazzia di Ofelia sembra insinuarsi negli animi, ribaltare gli atteggiamenti dei personaggi e, con l’eccezione di Amleto, innalzare l’istrionismo barocco della scena: Claudio (Francesco Manetti) diventa un re esagitato e posticcio; Rosencrantz e Guildenstern (Andrea Sorrentino) sclerotizzano la loro natura ambigua; Laerte (Ludovico Fededegni), furibondo, si scaglia contro il re mentre un pianoforte emette assordanti dissonanze.

Hamlet di Antonio Latella_Foto di ©Masiar Pasquali
Foto di ©Masiar Pasquali

Il fulcro di questo meccanismo bipolare è impersonato da Orazio (Stefano Patti) che, vestito di un elegante completo blu scuro, oltre a recitare la sua parte, legge integralmente la prima scena della tragedia, quella del cambio della guardia, e l’ultima, il duello e la conseguente strage, con voce pulita e composta. Orazio è il sopravvissuto che Amleto designa in punto di morte come testimone degli avvenimenti: «Se mi tieni nel cuore, resta lontano dal sollievo della morte, almeno per un po’. Resta a sospirare in questo duro mondo per raccontare la mia storia». Orazio è l’artista a confronto con il proprio tempo: colui che si sistema un poco discosto dalle cose che accadono per prenderne nota, ricordarle e restituirle.

Elementi di pregio: la ricchezza delle scelte registiche non soffoca mai il testo shakespeariano che, anzi, risuona nella nuova traduzione di Federico Bellini poetico e contemporaneamente limpido: gli attori e le attrici, su tutti Federica Rosellini, Anna Coppola e Michelangelo Dalisi, ne sono perfetti interpreti.

Limiti: il delirio scenico del quarto atto si sostanzia in scelte che, in alcuni casi, estenuano il ritmo dello spettacolo.


Visto al Piccolo Teatro – Studio Melato l’1 ottobre 2022


Hamlet

di William Shakespeare

traduzione Federico Bellini

drammaturga Linda Dalisi

regia Antonio Latella

scene Giuseppe Stellato

costumi Graziella Pepe

luci Simone De Angelis

musiche e suono Franco Visioli

con Federica Rosellini, Anna Coppola, Michelangelo Dalisi, Francesca Cutolo, Fabio Pasquini, Francesco Manetti, Ludovico Fededegni, Stefano Patti, Andrea Sorrentino, Flaminia Cuzzoli

produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Foto di ©Masiar Pasquali

oca, oche, critica teatrale
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