Al termine della rappresentazione, dopo intense e lunghe ovazioni, Neri Marcorè - protagonista e voce narrante dello spettacolo - ringrazia il pubblico e i suoi collaboratori e racconta brevemente della sua visita al carcere di Marassi. Racconta del potere di redenzione che ha il teatro e l'arte più in generale. Quindi mostra una maglietta, forse con una citazione di Fabrizio De André o forse no, che può essere acquistata per sostenere forse la causa dei carcerati o forse qualche altra buona causa sponsorizzata da Emergency; Marcorè con un sorriso conclude che la si può comprare anche online come qualsiasi altro oggetto di merchandise.
Questo piccolo e banale episodio, che avviene nella zona limite tra teatro e realtà, getta luce, forse di più e meglio di tutte le riflessioni e le citazioni che sono state fatte durante l'ora e mezza precedente, sulla realtà dell'oggi che Quello che non ho vuole indagare. La prima stella polare dello spettacolo di Giorgio Gallione è Pier Paolo Pasolini, con la sua penetrante analisi di quella mutazione antropologica che il Consumismo avrebbe indotto su una preesistente e fantomatica società contadina innocente. Il fatto che la nuova preistoria pasoliniana possa essere utilizzata come spiegazione dell'oggi è da una parte testimonianza della sua acutezza e visionarietà, e dall'altra ci dice quanto poco l'Italia sia cambiata, almeno nelle sue dinamiche fondamentali. Così l'appello finale di Marcorè sollecita inevitabilmente la domanda: è possibile consumare a fin di bene? O, per parafrasare una delle migliori intuizioni di Gallione, è possibile "produrre rifiuti" per una giusta causa? La seconda colonna su cui poggia il teatro canzone di Quello che non ho è Fabrizio De André, con le sue poesie in musica, la sua ricerca della "goccia di splendore" in ogni cosa. Così abbiamo ben due poeti anomali come numi tutelari di uno spettacolo che fa della citazione e della chiosa la sua struttura. Alle canzoni di De André - eseguite in scena con garbo e maestria da tre musicisti e dallo stesso Marcorè - seguono le citazioni pasoliniane dagli Scritti Corsari e La Rabbia; l'ossatura originale è invece costituita per lo più da amare riflessioni, che strappano a volte un sorriso ironico, sulle grandi questioni della contemporaneità: il modello di sviluppo non sostenibile, il neocolonialismo, lo sfruttamento, l'inquinamento, ecc. Si alternano così in una forma tripartita gli elementi di un teatro canzone a cui mancano il respiro e l'ambizione di Giorgio Gaber, ma che ha il coraggio e la coerenza di appoggiarsi a grandi intellettuali per leggere l'oggi, e scoprirlo non troppo diverso dal passato più o meno recente. Non mancano purtroppo le frasi fatte, o le battute spuntate; Marcorè è poco credibile nelle sezioni più impegnate e di denuncia, più a suo agio nei piccoli frammenti recitati, dove l'affabulazione ironica spicca. Le canzoni di Fabrizio De André sono un contrappunto a volte ironico - la popolarissima Don Raffaè ha trascinato prevedibilmente la sala -, a volte cupo e riflessivo. La sensazione complessiva è di una certa dislocazione delle componenti, ma forse è il prezzo da pagare per nell’accostarsi con testi originali sull'oggi a questi giganti del nostro recente passato. La scenografia spoglia ed essenziale è usata con intelligenza. Le sedie, non solo funzionalmente utili ai musicisti durante l'esibizione, diventano protagoniste e strumenti musicali quando sono fatte cadere per segnare un accento o separare un momento. La parete del palcoscenico con un effetto simil roccia si illumina nel finale di mille lucciole: sono quelle di cui Pasolini lamenta metaforicamente la scomparsa, eclissate dal Moloch consumistico. Ma Gallione suggerisce che anche i profeti possono sbagliare: basta andare in campagna, lontani dalle luci della città e aspettare, avere la pazienza e loro si mostreranno. Così come il teatro, che è capace di evocare queste "gocce di splendore", magari solo un attimo, in uno spettacolo imperfetto come questo, ma a contare davvero è quel momento. Elementi di pregio: l'evocazione garbata e rispettosa di Fabrizio De André e Pier Paolo Pasolini. Limiti: Marcorè non sempre in parte; qualche banalità di troppo nel testo. Visto venerdì 16 febbraio 2018 Teatro Stabile di Genova. Di Giorgio Gallione Produzione Teatro dell’Archivolto Regia e drammaturgia Giorgio Gallione Canzoni Fabrizio De André Interpreti Neri Marcorè Giua, Pietro Guarracino, Vieri Sturlini (voci e chitarre) Scene Guido Fiorato Costumi Guido Fiorato Canzoni Fabrizio De André Arrangiamenti musicali Paolo Silvestri Luci Aldo Mantovani
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