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FuoriFormato 2021 | Stories We Dance
Cinema America | 2 luglio 2021

Non sono molti i festival italiani di danza a dedicare una parte della loro programmazione alla videodanza: con la rassegna Stories We Dance, FuoriFormato ha il merito di portare nelle sale genovesi una selezione di corti provenienti da ogni parte del mondo. 

Se l'anno scorso le proiezioni erano state trasmesse online, quest'anno sono tornate finalmente dal vivo, ma una riflessione sulla situazione pandemica ha trovato comunque posto nelle scelte di produzione e nell’ambientazione dei singoli corti proposti.

Eva Olcese e Marta Cristofanini ne scrivono.

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Afterlaughter

Antoinette Helbing, Denmark 2020

La rassegna si apre con uno studio su risata e doppio paesaggio: prima una stanza disadorna, riempita d’echi; poi un campo, che questi echi li disperde. Il punto focale è sempre lo stesso: una donna, e il palcoscenico del suo corpo abitato da una risata ripetuta, costante, riverberata in ogni sua forma e vibrazione. Come reagisce, questo corpo riempito, scosso, infine svuotato? Seguendo lo sviluppo fisico con attenzione, quasi con tensione, sono rimasta sollevata quando, questa tensione, viene scaricata a terra, letteralmente.

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The Winter Ghost

Mark Esper and Katja Vaghi, Germany 2021

In questo corto particolarmente concettuale, il protagonista è un corpo abbozzolato, in apnea, intrappolato in un candore di ragnatela che lo costringe ad avvitarsi su stesso, costringendolo ad una dilatazione palpitante, prigioniero di un’immobilità che solo l’arrivo di un predatore oscuro, l’Uomo Nero che è in noi, è in grado di far reagire. Qui la tensione e l’inquietudine non sono mancate.

L’ultimo film della rassegna riesce ad aggiudicarsi il Premio del Pubblico ma ha il sapore nostalgico di un’occasione mancata, di uno spazio scenico - ed emotivo - che rimane inabitato. Il cast sud coreano è colorato, strampalato, affabile nella sua oniricità; rimane purtroppo confinato in una rappresentazione un po’ incompleta e asfittica (nonostante gli ampi spazi cittadini in cui è ambientato); a salvarlo è indubbiamente la fotografia lunare e l’empatia indotta - anche dagli echi della pandemia in atto - da uno scenario straniante di città vuota, come abbandonata, in cui lasciarsi andare al gioco come fantasmi in villeggiatura. 

A Town with a Blue Hill

Joowon SONG, South Corea 2019

Etudes from an inner garden

Orsolya Gal, Romania 2020

Si tratta del corto più anomalo, poetico, evocativo dell’intera rassegna, che ne dà la cifra stilistica globale: se Stories We Dance ha sempre voluto chiamare alla ribalta corpi che danzano, qui il concetto stesso di corpo, e di danza, si allarga, si “specizza” in modi inaspettati. I protagonisti di questi Etudes, di struggente dolcezza e candore, sono foglie, boccioli, rami: corpi di pianta, che vengono strofinati, spiati, immortalati nelle loro piccole, incantate acrobazie. Un pomeriggio di pioggia, silenzi, musica classica, e piccole danze velate, soffuse: quindici minuti in cui sono stata restituita alla mia infanzia, e ho giocato un po’ con lei, di nuovo.

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YOVE

Jasmine Ellis, Germany/Canada 2019


In Yove di Jasmine Ellis la prima sensazione è quella di aver interrotto il riscaldamento di una ballerina, per poi invece renderci subito conto di quanto siano precisi i suoi passi, frutto di una coreografia della stessa regista: un pas de deux tra la performer e la mdp* che le gira vorticosamente intorno. Meno precisa, spesso incerta è però la messa a fuoco, che si perde tra la performer e lo spazio che la circonda – quello di una sala da ballo – in un’alternanza quasi fastidiosa, che ci impedisce di entrare dentro la performance.

Passage

Anna Oren, Germany 2020​

Il film che si porta a casa il secondo premio ex-aequo per la Miglior Regia è un omaggio al trasformismo del cinema, al suo mondo intossicante, dove finzione e realtà si intrecciano e si accavallano senza sosta, fino a fondersi: è questo che accade al (bravissimo) protagonista umano-equino del corto Passage. Un passaggio che è appunto metamorfosi, che è simbiosi, tra il personaggio – un foley artist, impegnato nel doppiaggio di video d’equitazione - e la sua progressiva identificazione/fusione equina. Simon(e) Jaikiriuma Paetau è il/la gender fluid performer che strega lo spettatore, mettendo la propria fisicità permeabile, quasi mitologica, al servizio della sceneggiatura (un dichiarato omaggio agli esperimenti fotografici di Eadweard Muybridge, che rivoluzionarono lo studio del cavallo in movimento).

Un film elegante, sonoro, che strizza l’occhio ai cinefili e che è un omaggio al migliore surrealismo, ammaliandoci con il suo nonsense regale.

EXUFRIDA

Cícero Fraga, Brazil 2019 

Il dramma di Beatrice Martins, ginnasta della nazionale brasiliana vittima di un incidente stradale, ci viene introdotto da una vecchia tv a tubo catodico, come una notizia al telegiornale. Tramite un carrello laterale, la mdp introduce il corpo della perfomer a partire dai piedi, martirizzati dalla disgrazia, che iniziano a saltare, muoversi, riempire lo spazio dell’inquadratura. Alla narrazione asettica da telegiornale prende rapidamente posto una consapevolezza – da parte di Martins – delle azioni possibili per il suo corpo che, nuovamente forte e muscoloso, si esibisce in una danza di gesti reiterati e acrobazie, ispirata a un'antica preghiera di guarigione e che risulta, infine, catartica. 

Affascin

Elisa Baccolo, Italy 2020

 

Progetto sviluppato nel corso della residenza CINECAMPUS – SUD E MAGIA, il corto di Elisa Baccolo si apre con il suono delle cicale e dei passi di tre figure color della pece che attraversano i calanchi lucani. Sono segnati dal tempo i volti delle donne che avanzano verso il casolare ma, nell’arco di una notte – dal tramonto all’alba – riemergono quelli di tre bambine. Quello che avviene nella casa dai toni sabbiosi è infatti un esorcismo contro la mortalità, un rituale sussurrato che, per magia, riavvolge indietro il tempo. La danza in Affascin nasce da gesti e formule ritmate, ispirate a riti di guarigione ancestrali. Viene naturale accostarlo ad Exufrida per la potenza scaturita dalla ripetizione: ma se nel corto di Cícero Fraga questa assume una forza catartica, in Affascin è solo un mero strumento della narrazione fantastica. 

Floor Falls

Jennifer Paterson, Lewis Gourlay, Abby Warrilow, Scotland 2020


Vincitore ex-aequo – con Affascin – del premio Best Concept, Floor Falls è l’esito del lavoro congiunto di una coreografa di danza aerea e i due registi della casa di produzione Cagoule. Protagonista è un corpo che lentamente si risveglia e testa il proprio equilibrio, fino a perderlo completamente in una danza fatta di rotazioni e torsioni in aria. Macchia bianca in uno spazio del tutto nero e imperforabile, quando la nitidezza plastica si affievolisce in un effetto sfocato, la performer scompare all’istante, senza lasciarci la possibilità di leggere qualcosa al di là di un’illuminotecnica calibrata alla perfezione. La sensazione è di un insapore esercizio di stile.

Keines Menschen Eigen

 Dean Ruddock, Bettina Henningsen, Nelly Köster, Joachim Goldschmidt, Germany 2020

 

Girato durante la pandemia, con questo corto il collettivo TanzPoeten risveglia il castello Hülshoff, luogo natio della scrittrice Annette von Droste-Hülshoff. E lo fa attraverso una continua sovrapposizione di immagini, piani temporali e voci. Elemento chiave del corto è infatti la sovrapposizione: il montaggio rende indissolubile il legame tra presente e passato, indistinguibile la realtà dalla finzione letteraria e la stessa danza viene più volte mostrata in reverse, mentre il tempo del racconto riavvolge il tempo della storia. 

La drammaturgia di Bettina Henningsen ben si sposa con i toni cupi della fotografia e gli echi che abitano il Centro per la Letteratura, ma a colpire più della coreografia – per cui il corto viene premiato dalla giuria di Stories We Dance, formata da Lucia Carolina De Rienzo, Elisa Sirianni e Mario Blaconà – è il montaggio che ci permette di scoprire il castello tra poesia e storia.

Dear tree, please don’t spill on our grave.

 Jonne Covers, Sweden/Netherlands 2020


Come in ogni commedia indie che si rispetti, anche nel corto di videodanza di Jonne Covers la protagonista Anna ci viene presentata da un voice over: bastano poche inquadrature, un paio di oggetti (una tigre e uno scheletro giocattolo) e di animali domestici (un coniglio e un cane) per caratterizzare il personaggio, mentre il narratore inizia a perdersi nel racconto di vicende biografiche che vanno dal surreale al comico-grottesco. Nonostante l’ambientazione nello spazio di pochi metri quadrati di un bagno pubblico, la sensazione è quella di trovarsi in uno spazio domestico alternativo: a creare un effetto disorientante sono i movimenti, rapidi e spesso obliqui, della mdp che segue i gesti brevi e netti della performer. Mentre la voce narrante si allontana sempre di più della scena, la regista fa uso di un ulteriore espediente per straniare gli spettatori, quello del ribaltamento del piano orizzontale: capovolgendo l’angolo di ripresa di 180 gradi, è la stessa mdp a danzare e a creare immagini oniriche. Se quindi il ritmo è dinamico persino quando la performer compie azioni minimali e la casa è pressoché vuota, nel momento in cui viene invasa da una festa a sorpresa, diventa lisergico e stravolgente. Ma Jonne Covers non vuole lasciarci la soddisfazione di credere a quello che stiamo osservando neppure per un secondo, e quando il numero di inquadrature per la festa viene esaurito, il corto si chiude in maniera circolare, con la protagonista seduta sulla panchina di un cimitero.

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oca, oche, critica teatrale
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