top of page

Teatro della Tosse 25 - 30 settembre 2018

AXTO.jpg
Oca5.jpg

Axto si inserisce compiutamente nel percorso estetico intrapreso dalle recenti produzioni della Tosse firmate Emanuele Conte e Michela Lucenti: l’obiettivo resta quello di cercare un linguaggio in grado di trasformare il lucido immaginario del primo e le ostinate coreografie della seconda in un’azione teatrale che combini drammaturgia, musica, danza e installazioni visive. Axto, in particolare, si mostra subito come opera ambiziosa, ma la sua complessa natura si infrange ben presto su un difficile rapporto con l’essenzialità, l’arte di saper togliere anziché aggiungere. Il desiderio di dire/fare troppo, infatti, rischia di rovinare le scelte artistiche più felici. Un esempio su tutte è la pancia del labirinto, ovvero gli ambienti della Sala Campana in cui il pubblico accede seguendo un emozionante percorso visivo tra foyer, palco, camerini, fino a raggiungere le poltroncine della sala Trionfo: è un gioiello di creatività, echi del mito, bozze di personaggi, attualizzazioni semplici e raffinate. Ma breve, troppo breve. E il tempo che intercorre tra l’uscita dal labirinto e l’inizio dello spettacolo è, invece, lunghissimo, con l’esito di annullare l’effetto brillantemente costruito nell’introduzione itinerante. Quanto all’azione scenica, poi, l’indubbia bravura dei danzatori - su tutti l’intenso Aristide Rontini - è frenata da un testo pulito ma forse troppo informativo che sembra voler compensare la presunta oscurità del mito danzato. La presenza stessa dei narratori seduti in fondo alla scena su due postazioni rialzate appare una scelta a metà tra una cronaca radiofonica e una lettura, qualcosa di impreciso e di non organico, a prescindere dalla bellezza delle due voci. Ultima nota, estremamente positiva, per le rielaborazioni musicali di Massimo Calcagno, capace di espandere il senso della scena in più direzioni diverse, lavorando su volumi e sfumature.

Il sogno metafisico fra foyer, palco e camerini non è solo troppo breve, ma mostra una mancanza di audacia della Tosse: la loro nuova produzione si ferma alla forma, ormai troppo standardizzata, del percorso itinerante e non osa nella direzione del teatro immersivo, alla quale sembrava inizialmente ammiccare.

Non si distacca quindi di molto per attualità dallo spettacolo classico che osserviamo seduti in poltrona, dal racconto disegnato nella sabbia dai danzatori di Balletto Civile che, nelle vesti di personaggi mitologici dai tratti steampunk, non fanno altro che raccontarci la storia componendo una serie di immagini potenti - da un carro che ricorda i veicoli postatomici di Mad Max: Fury Road fino al cordone ombelicale con cui Asterione erige i muri della sua stessa prigione, il labirinto -, ma non sufficienti per sostenere il testo di Emanuele Conte che, debole, incapace di amalgamarsi armoniosamente al ballo, sfocia in un vacuo e talvolta didattico lirismo.

Oca1.jpg

Axto chi, Axto come, Axto perché: le domande che precedono, accompagnano e seguono lo spettacolo di Emanuele Conte e Michela Lucenti sono essenzialmente queste.

Al di là di ogni nascosta mitologia, Axto è un testimone marginale di fatti straordinari. Il suo sguardo fissa stupefatto la scomposta caduta dei miti, come fa il nostro tra Sala Campana e i camerini del teatro, frantumato in infiniti punti di vista possibili.

Attraverso il suo antenato, Conte e Lucenti sembrano quindi ambire a discutere la condizione dello spettatore contemporaneo, teatrale e non, considerata la sua posizione tra quotidiani mirabilia all’orlo del disfacimento. Ma quando entriamo in Sala Trionfo e assistiamo a quello che, ancora una volta, si può definire Lo Spettacolo, l’introduzione nelle viscere del teatro diventa un’appendice, e l’ambizione, velleità.

Oca2.jpg

Già dalla scelta del titolo, dedicato al pastore testimone delle origini del Minotauro, si comprende di essere davanti a una riscrittura del mito del Re Toro e del suo Labirinto. Conte e Lucenti creano una rievocazione in cui l'elemento Terra è simbolicamente e fisicamente al centro della scena, introducendo almeno due brillanti scelte interpretative. Teseo è un ridicolo burattino, un antieroe che percorre il labirinto per trovare un Minotauro meditabondo, il personaggio più umano di tutti perché conscio della propria duplice natura umana e animale: che è di tutti gli uomini, ma in essi nascosta illusoriamente e rimossa. Il sacrificio del capro espiatorio sarà la liberazione di questa coscienza, che emergerà dal labirinto seguendo il filo rosso di Arianna. Fosco e raffinato, molto cerebrale, lo spettacolo decisamente riuscito sa anche colpire emotivamente, come nella splendida sequenza della nascita del Minotauro e la costruzione del Labirinto.

oca, oche, critica teatrale
bottom of page