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  • Marta Cristofanini

Amore di Pippo Delbono | Così violento, così fragile


Ho visto il primo spettacolo di Pippo Delbono quando avevo quindici anni. Lo spettacolo era Questo buio feroce, e cambiò il mio modo di vedere e concepire il teatro. Non che i grandi classici fossero ai miei occhi privi di fascino; ma la scoperta della drammaturgia contemporanea, il fatto che il teatro stesso potesse essere così, carne lacrime sudore e voce spezzata, rovesciò il mio sguardo. Nacque in me un gusto, un orientamento, che da lì in poi seguii come un’inclinazione naturale.

Piaccia o meno, il teatro di Pippo Delbono ha fatto la rivoluzione: a partire da Il tempo degli assassini, l’attore e regista originario di Varazze ha dato vita a una forma drammaturgica particolare, che fa dello “zibaldone” letterario e poetico il suo punto di forza. Ci sono tematiche portanti che vengono nutrite da diversi affluenti, creando un effetto “fiume in piena” in grado di esondare e trascinare emotivamente gli spettatori.


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Foto: Estelle Valente

In questo non fa eccezione la sua ultima opera, prodotta da Emilia Romagna Teatro ERT e Teatro Nazionale, dal titolo sintetico e sfuggente: Amore. Lo spettacolo è immerso, musicalmente e non solo, nelle atmosfere del fado portoghese. Le chitarre dei tre musicisti in scena (Aline Frazão, Pedro Jóia e Miguel Ramos) ne accompagnano i canti e le voci vibranti, mentre sul palco si avvicendano gli attori impegnati a ricreare diversi quadri fisicamente animati: le varie performance sono a metà tra il teatrodanza e i tableau vivant. L’impatto visivo è, come sempre, mozzafiato, nonostante l’apparente povertà scenica. L’uso delle luci valorizza e amplifica ogni atto rappresentato: a lato del palco torreggia solo un albero spoglio, dall’aria secolare e stremata. Il colore dominante riflesso sulle pareti che incapsulano la scena è il rosso, il colore dell’amore e della passione per eccellenza. Il colore pulsa in scena, coadiuvando i movimenti scenici degli attori e sottolineando i cambi di stato suggeriti dallo stesso Delbono, straordinariamente seduto in platea insieme a noi, barricato dietro una defilata postazione registica.


Pippo Delbono_Amore_Estelle Valente
Foto: Estelle Valente

Delbono, con la sua voce che è ormai anch’essa uno stile teatrale a sé stante, un “marchio di fabbrica” ben riconoscibile e a cui mi rendo conto di essere affezionata, scandisce tempi e narrazioni attingendo a diverse ispirazioni letterarie e a intime dichiarazioni autobiografiche. Si passa così dalla lettura di Questo amore di Jacques Prevert (climax di questo viaggio emotivo-musicale) al racconto parziale di un momento vissuto durante il lockdown del 2020, a Catania. Il lutto, il dolore, sono ancora ben presenti attraverso le parole del regista. Nel 2019 è morto Bobò, l’attore della compagnia che più di tutti, con tragica delicatezza, ha incarnato l’ambivalenza di gioia e dolore della poetica delboniana. Bobò era un attore sordomuto, analfabeta, che ha vissuto fino a metà degli anni Novanta in un ospedale psichiatrico, prima che il regista lo incontrasse e lo coinvolgesse come co-protagonista in Barboni, spettacolo del 1997, una sorta di manifesto del teatro di Pippo Delbono e Pepe Robledo, suo compagno di vita e di scena fin dal Tempo degli assassini. Da lì in avanti, non si sono più lasciati: la maschera seria e profonda di Bobò è l’alter ego fisico ideale delle parole dell’autore.


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Bobò in "La gioia" di Pippo Delbono (2018). Foto: Luca Del Pia

Bobò scompare, con tutta la sua bellezza e potenza scenica, lasciando orfana un’intera compagnia, che dalla bellezza del diverso ha tratto ispirazione e forza per spettacoli indimenticabili. Insieme a Bobò non si possono non citare gli immancabili Gianluca Ballarè e Nelson Lariccia, attori veterani, anch’essi underdog di una società che sicuramente non premia il diverso, l’anomalia, ma al contrario ne è spaventata e tende a rimuoverla, nasconderla. In un modo o nell’altro, Pippo Delbono è sempre riuscito a sacralizzare la diversità, rendendola interprete privilegiata dell’esperienza unica e irripetibile dell’arte, anche attraverso di sé. Devo dire che, all’inizio, mi è mancata la sua presenza scenica, il suo saper stare sul palco, con il vuoto, con il silenzio, con la pesantezza e commovente leggerezza di un corpo che sa però lasciarsi animare da danze indomabili, capricciose, e per questo così reali. Il suo corpo è stato per me la porta verso altri modi di avere un corpo, di pensarlo, di danzarlo: è stato un corpo liberato e liberatorio, il primo.


Pippo Delbono_Amore_Luca del Pia
Foto: Luca Del Pia

Pippo Delbono è salito sul palco, alla fine: solo il tempo di ammirare l’albero (ora in parte fiorito dopo una danza mascherata volta a celebrare i morti e il nostro amore per loro) e di sdraiarsi sotto di esso, con un orecchio poggiato contro le sue radici invisibili. Questo più di tutto trovo meraviglioso: l’autenticità con cui ogni stato d’animo viene rispettato e traslato in scena, nonostante ciò avvenga in modo elegante, impeccabile, perfettamente “confezionato”. In questo piccolo atto finale, ho visto tutta la fatica (che un po’ si riverbera sulla scena, durante l’ora di spettacolo a cui assistiamo: ma come potrebbe essere altrimenti?), tutta l’onesta fatica di essere lì nonostante tutto, a raccontare qualcosa sull’amore, che è come raccontare di tutto e di niente, soprattutto oggi, soprattutto dopo tutto quello che è stato (la morte, la pandemia, la guerra, questo senso di disgregazione ineluttabile).

E per me questo è stato un potentissimo, coraggiosissimo atto d’amore.


Elementi di pregio: L’impatto visivo, la sua pulsazione cromatica, la vulnerabilità.


Limiti: Qualche meccanismo ripetuto che, per chi ha visto altri spettacoli, crea in certi momenti un effetto déjà vu.



Visto al teatro Nazionale di Genova, il 10 dicembre 2022.


Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale Co-produttori associati: São Luiz Teatro Municipal – Lisbona, Pirilampo Artes Lda, Câmara Municipal de Setúbal, Rota Clandestina, República Portuguesa – Cultura / Direção-Geral das Artes (Portogallo), Fondazione Teatro Metastasio di Prato (Italia) Co-produttori: Teatro Coliseo, Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires e ItaliaXXI – Buenos Aires (Argentina), Comédie de Genève (Svizzera), Théâtre de Liège (Belgio), Les 2 Scènes – Scène Nationale de Besançon (Francia), KVS Bruxelles (Belgio), Sibiu International Theatre Festival/Radu Stanca National Theater (Romania) con il sostegno del Ministero della Cultura (Italia)

Regia

Pippo Delbono

Interpreti

Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Aline Frazão, Mario Intruglio, Pedro Jóia, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Miguel Ramos, Pepe Robledo, Grazia Spinella

Musiche originali

Pedro Jóia e autori vari

Scene

Joana Villaverde

Costumi

Elena Giampaoli

Luci

Orlando Bolognesi

Consulenza letteraria

Tiago Bartolomeu Costa

Suono

Pietro Tirella

Cast tecnico

capo macchinista Enrico Zucchelli responsabile di progetto in Portogallo Renzo Barsotti, responsabile di produzione Alessandra Vinanti, organizzazione in produzione Silvia Cassanelli, organizzazione Davide Martini, amministratore di compagnia Riccardo Porfido direttore tecnico tournée Fabio Sajiz personale tecnico in tournée Pietro Tirella (suono), Elena Giampaoli (costumi), Alejandro Zamora (luci), Mattia Manna (scena) assistente volontaria in Portogallo Susana Silverio foto Luca Del Pia, Estelle Valente Teatro São Luiz

Si ringraziano per la messa a disposizione dei costumi per le prove: São Luiz Teatro Municipal di Lisbona, Théâtre de Liège e la Compagnia Teatro O Bando


oca, oche, critica teatrale
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