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  • Francesca Torre

Il cane senza coda | Nuovo esperimento targato Conte-Bonfiglio


Il cane senza coda

La Tosse riapre il Cantiere Campana, spazio non solo fisico, ma ideale e culturale dedicato alla drammaturgia contemporanea, con il frutto della nuova collaborazione fra Emanuele Conte e Paolo Bonfiglio. Se però in The Penal Colony e nel Maestro e Margherita gli inserti di video-arte di Bonfiglio si ritagliano un loro spazio nell’impianto registico di Conte, Il cane senza coda nasce dalla penna dell’artista piemontese, autore dei due cortometraggi Mater (2007) e Mortale (2009) fonte d’ispirazione della vicenda.

Regia e scenografia ricreano un’ambientazione dalle tinte fosche - che sembra evocare il cinema di David Lynch -, desolata, quasi post-apocalittica. Uno scenario coerente con l’atmosfera che emerge nei cortometraggi, i quali, riproposti, sembrano assumere un vero e proprio ruolo drammaturgico: i due incubi del protagonista, popolati da simboli di morte pronti a materializzarsi sulla scena. I sogni fungono da prefigurazione del destino di un uomo, un poeta fallito nella vana attesa di un treno per “l’ovest” in una imprecisata stazione “dell’est”, circondato da terribili presagi. Mentre un orologio fermo - non a caso - alle 17.13, suggerisce l'idea della paralisi, il tempo è scandito dalle parole di un altoparlante che, raccomandando a ogni “passo falso” del protagonista un «atteggiamento decoroso», sembra uscire da un libro di Orwell.

Ciò a cui si assiste è la cronaca di una morte annunciata, ma che coglie di sorpresa lo spettatore ancora in attesa di veder decollare la storia e di intercettare il legame fra una serie di episodi giustapposti, al di là della capacità di arricchire di ulteriori suggestioni un immaginario a metà fra simbolismo e surrealismo. Stupisce quindi il fatto che il Teatro abbia individuato proprio in «ingranaggi narrativi che si combinano in un inesorabile meccanismo teatrale» il punto di forza dello spettacolo.

Forse, anche complice la recitazione poco incisiva di Andreapietro Anselmi, il testo risulta inadeguato a illustrare una storia: le battute del protagonista fanno da debole cornice ai due ben riusciti cortometraggi. Uno dopo l’altro vediamo avvicendarsi sulla scena una serie di visioni simboliche prese a prestito da Mater e Mortale o ispirate al loro universo immaginativo, che non lasciano solo lo spettatore in balia di sé stesso, ma lo spingono a domandarsi più e più volte se ciò che vede sia frutto di un delirio registico o sia parte dell’elemento drammaturgico. Difficile farsi un’idea delle ragioni dei personaggi e del perché ci si debba interessare a loro. Pietro Fabbri, interprete degli altri tre diversi personaggi accomunati dalle sembianze canine, appare sottotono, mentre il suo apparato costumistico, firmato Daniela De Blasio, sembra recuperare la maschera dalla Commedia dell’Arte, per riadattarla ad un nuovo linguaggio, con il risultato di disorientare ulteriormente il pubblico.

Ciò che ci è dato vedere e cogliere fra le righe non ci permette di individuare nella metafora dell'uomo come cane senza coda nulla di più di un pretesto, né di comprendere il senso di rimandi sessuali che rimangono, quindi, gratuiti agli occhi dello spettatore.

La produzione della Tosse sembra essersi ormai attestata su una precisa cifra stilistica, sulla scia dell'eredità di Conte-Luzzati. Con il passare del tempo si corre però il rischio di cadere nella variazione su tema, nel virtuosismo fine a sé stesso su schemi consolidati, che, in questo modo, finiscono per svuotarsi. In una Prima gremita di volti noti, affezionati e spettatori qualunque, la componente grottesca millantata dal comunicato stampa e dal programma di sala sembra essere passata inosservata, a giudicare dalle sporadiche e timide risate del pubblico.

Bisogna, però, spezzare una lancia a favore dell’apparato scenografico di Conte e di quello illuminotecnico di Matteo Selis che, come già dimostrato in altri spettacoli precedenti, conferma il talento di Conte più in questo ambito che nella regia.

Il cane senza coda si rivela un tentativo fallito di tradurre in narrazione le suggestioni dell'opera di video-animazione di Bonfiglio, con il solo risultato di inserirla in un artificio teatrale debole e velleitario: «in una parola ridicolo», ma non nel senso indicato dal programma di sala appena citato.

Elementi di pregio: scene e luci capaci di delineare in maniera efficace un'atmosfera di morte

Limiti: una macchina narrativa che non riesce a innescarsi e che non aggiunge nulla di rilevante ai cortometraggi.

Visto al Teatro della Tosse martedì 23 ottobre 2018

Di Paolo Bonfiglio

Regia Emanuele Conte

Collaborazione drammaturgica di Antonio Tancredi

Interpreti Andrea Pietro Anselmi e Pietro Fabbri

Produzione Teatro della Tosse

oca, oche, critica teatrale
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