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  • Matteo Valentini

Fantozzi. Una tragedia | La maschera surgelata

Gianni Fantoni è stato uno degli imitatori che più hanno attraversato la rampante galassia Mediaset degli anni Novanta, vestendo variamente i panni di Luciano Pavarotti, Zucchero, Pino Daniele, Maurizio Costanzo, ma, soprattutto, Ugo Fantozzi. Su YouTube è disponibile lo spezzone di una puntata di La sai l’ultima? del 1993 che lo ritrae mentre, nei panni del ragioniere, tenta di acquistare una scatola di preservativi su ordine del Megadirettore Galattico (Antonio Covatta), inserendo all’interno di una scrittura inedita alcuni caratteri tipici della maschera fantozziana, ossia la sottomissione al potere, il debole revanscismo, la demonizzazione del sesso (e del sesso protetto, in questo caso particolare). Diversi anni fa, Fantoni ha ottenuto da Paolo Villaggio i diritti del personaggio Fantozzi per coronare il progetto di allestire un musical su di lui. Il libro Operazione Fantozzi (2023) illumina le varie fasi di questo faticoso processo produttivo e chiude il racconto sull’accordo stipulato con il Teatro Nazionale di Genova e il suo direttore, Davide Livermore.


Fantozzi. Una tragedia_Foto di Nicolò Rocco Creazzo
Foto di Nicolò Rocco Creazzo

 Le premesse di Fantozzi. Una tragedia – non un musical, ma uno spettacolo in prosa per la regia di Livermore stesso – risiedono nelle parole che il Megadirettore Galattico (Marcello Gravina) rivolge a Fantozzi (Fantoni) dopo pochi minuti dall’inizio dello spettacolo: «Lei è una maschera, Fantozzi, non appartiene a se stesso, è di tutti. È nostro». La maschera creata da Villaggio, plasmata dal suo stesso interprete come effettivamente accadeva nella Commedia dell’arte, viene dichiarata patrimonio di tutti, potenzialmente aperta a ogni interpretazione, lettura e deformazione. 

La battuta è inserita in una delle numerose interruzioni che intendono, innanzitutto, informare il pubblico di essere davanti a una rappresentazione basata non sui film, ma sui romanzi di Paolo Villaggio, e, in secondo luogo, sottolineare, nonostante i numerosi rimandi cinematografici, la natura squisitamente teatrale dello spettacolo.

Excusatio non petita

In effetti, sono numerosi i costumi o i passaggi tratti pedissequamente dai film, come l’abito rosso e i ricci selvaggi della Signorina Silvani (Lorenzo Maria Fontana); l’autobus “al volo” e i «3000 gradi Fahrenheit»; il «batti lei» nello scambio tennistico con Filini (Cristiano Dessì); il biliardo con l’Onorevole Catellani (Paolo Cresta) che termina con il trionfo del ragioniere e non, come nel libro, con la devastazione dell’arredamento e della dentatura del padrone di casa. Il pubblico si diverte a riconoscerle e a commentarne la resa teatrale sull’immacolato piano inclinato che funge da palcoscenico, benché il risultato spesso non riesca a raggiungere il ritmo e la sinteticità del suo antico riferimento: pachidermica, per esempio, la partita di biliardo, con gli attori vestiti da bocce che lentamente capitombolano gli uni contro gli altri.

 


Fantozzi. Una tragedia_Foto di Nicolò Rocco Creazzo
Foto di Nicolò Rocco Creazzo

A loro volta, le scene tratte esclusivamente dai romanzi, non si discostano quasi mai dalla prosa originaria di Villaggio e, proprio per questo, sembrano rallentare ulteriormente il ritmo dello spettacolo: l’introduzione in cui Filini rievoca il suo primo incontro con Fantozzi o il miracolo del volo che colpisce il ragioniere hanno lunghe parentesi descrittive ed espressioni romanzesche, anche un poco ingenue («E l’autunno, le piogge leggere e l’odore dell’erba bagnata»), per le quali il rigore filologico è stato forse eccessivo.    

Gli inserti inediti, invece, possono essere divisi in tre categorie: da una parte ci sono le didascalie, recitate con un misterioso accento tedesco da Simonetta Guarino, che approfondiscono alcuni aspetti socio-culturali dell’epoca in cui le vicende sono ambientate (per esempio, la comparsa in Italia, durante gli anni ’70, dei primissimi ristoranti giapponesi); dall’altra ci sono le citazioni  al cinema più noto e popolare (Shining, Kill Bill) o alla tragedia classica e moderna (Edipo Re, Re Lear, La signorina Julie) del tutto decontestualizzate e utili, soprattutto le seconde, a rendere palese il substrato drammatico di Fantozzi e ad attrarre qualche orecchio erudito; dall’altra ancora, e fa parte a sé, il finale, in cui Fantozzi, ritto di fronte alla sua lapide, smette improvvisamente i panni consueti dell’Everyman e accusa il pubblico di deriderlo, ignaro della propria inferiorità sociale, economica e affettiva: «Voi siete sottopagati, avete tre lauree e dieci mutui che non finirete mai di pagare. Voi vivete dilapidando il patrimonio dei vostri genitori, avete relazioni che si consumano in due settimane [...]. Adesso vogliamo vedere chi è il coglionazzo, chi la merdaccia».

Quest’ultimo passaggio insinua dubbi sul senso di riesumare un testo che, pur brillantissimo mezzo secolo fa, si trova poco a suo agio nelle dinamiche sociali dell’Italia contemporanea. Già Fantoni, peraltro, intravedeva questa problematica quando scriveva: «Fantozzi è come Arlecchino, come Charlot, come Pulcinella. Sai cosa fa o non fa, cosa può fare o non può fare, come si veste, come parla. Portarlo in scena in forma di semplice prosa, pedissequamente ripreso dal materiale letterario poi diventato cinematografico, avrebbe fatto correre ancora di più il rischio di sembrare una pallida imitazione e pensavo fosse, a ragione, necessario sparigliare le carte». Da qui l’idea di farne un musical, con un soggetto e uno svolgimento completamente diversi, peraltro approvati dallo stesso Villaggio. 


Fantozzi. Una tragedia_Foto di Nicolò Rocco Creazzo
Foto di Nicolò Rocco Creazzo

Il finale contribuisce, inoltre, a illuminare l’indecisione drammaturgica e concettuale insita nel presentare un Fantozzi tale-e-quale, ma lontano dal suo contesto di riferimento, per farcirlo con una trita e frettolosa retorica che vede nelle relazioni stabili, nei contratti a tempo indeterminato e nella casa di proprietà dei valori a sé stanti. Ci si potrebbe chiedere, allora, quali siano i limiti storici di una maschera. In che modo essa possa essere piegata per rappresentare realtà e tematiche lontane dalle sue radici, al di là dell’interprete, del padrone di turno, del sistema economico dominante. Se essere eredi di un bene culturale comporti necessariamente un’attitudine conservatrice. Se gli spettatori di un teatro pubblico non abbiano talvolta il diritto e la necessità di veder messe in discussione le proprie certezze, la propria storia, i propri modelli culturali.


In questo senso, viene da pensare che quello sketch di La sai l’ultima? del 1993, lungo sì e no cinque minuti, avesse in sé più coraggio sperimentale e spiegasse in modo più accurato, benché indiretto, il clima e l’ambiente da cui scaturiva, rispetto a questa produzione, che in più di due ore (con intervallo), affastella una decina di episodi surgelati, tali e quali all’originale, con qualche innesto posticcio e una spolverata finale di miope moralismo.  


Visto al Teatro Nazionale di Genova - Teatro Ivo Chiesa il 10 febbraio 2023. 


Produzione: Teatro Nazionale di Genova, Enfi Teatro, Nuovo Teatro Parioli, Geco Animation

Drammaturgia: Gianni Fantoni, Davide Livermore, Andrea Porcheddu, Carlo Sciaccaluga

Regia: Davide Livermore

Interpreti: Gianni Fantoni, Paolo Cresta, Cristiano Dessì, Lorenzo Fontana, Rossana Gay, Marcello Gravina, Simonetta Guarino, Ludovica Iannetti, Valentina Virando

Scene: Lorenzo Russo Rainaldi

Costumi: Anna Verde

Supervisione musicale: Fabio Frizzi

Luci: Aldo Mantovani

Regista assistente: Laura Cleri

Assistente alla regia: Alessia Camera

Assistente alle scene: Francesco Isgrò

Assistente ai costumi: Francesca Sartorio

Staff tecnico:

direttore di scena Vincenzo Sorbera

capo macchinista Marco Visone

fonico Luca Nasciuti

sarte Monica Rosini, Giulia Iacovacci

oca, oche, critica teatrale
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