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  • Marta Cristofanini

Come gli uccelli | Migrazioni senza ritorno


I due protagonisti dello spettacolo

Foto di Giuseppe Distefano


Il primo bacio che si scambiano Eitan, genetista tedesco di origine israeliana, e Wahida, ricercatrice americana di origini palestinesi, è immerso nelle luci stroboscopiche di un locale notturno. Si sono appena conosciuti in una biblioteca newyorchese grazie ad al-Hasan ibn Muhammad al-Wazzan, o almeno, grazie al libro che Wahida consulta da mesi in quella stessa biblioteca e su cui più e più volte s’imbatte Eitan, per una serie di coincidenze matematicamente calcolate che si fa fatica attribuire esclusivamente al caso. Come Tereza e Tomas de L’insostenibile leggerezza dell’essere, anche i protagonisti di Come gli uccelli sembrano dovere il loro incontro, e quell’amore designato a sconvolgere la loro esistenza, a un calcolo delle coincidenze in grado di trasformare la contingenza in destino. In quale misura siamo noi a scegliere, a determinarci e a determinare ciò che ci succede, e in quale misura invece siamo scelti, determinati dall’ambiente in cui siamo immersi, e dalla ferrea dittatura dei nostri stessi geni, di quei quarantasei cromosomi che compongono le cellule umane?


La drammaturgia di Wajdi Mouawad, drammaturgo e regista libanese naturalizzato canadese, si muove liberamente su piani diversi, da quello storico a quello più zoomato sulle vite dei protagonisti, concretizzando le più astratte questioni identitario-filosofiche che la percorrono, a partire dal contesto in cui vengono innestate: il conflitto israelo-palestinese. La prima parigina dello spettacolo, diretto dallo stesso Mouawad, si è tenuta nel novembre del 2017; vedere lo spettacolo, portato in scena sul palco del Teatro Modena da Il Mulino di Amleto, nel gennaio 2024 non può che avere un impatto diverso, drammaticamente ancora più attuale alla luce di ciò che sta accadendo dal 7 ottobre 2023 a questa parte. La regia è affidata a Marco Lorenzi, che ne ha curato l’adattamento insieme a Lorenzo De Iacovo, mentre troviamo Monica Capuani nel ruolo di dramaturg per il riadattamento scenico italiano.

 

Lo spettacolo è diviso in due tempi; a livello drammaturgico questo combacia alla perfezione con il raggiungimento della climax, lasciandoci sulla soglia di quell’agnizione decisiva per lo scioglimento finale. A livello di messinscena tuttavia nel secondo tempo c’è stato un drop energetico che in qualche modo ha tolto slancio alla narrazione, rendendola paradossalmente più fragile e meno impattante. Non sono sicura se ciò sia dovuto più a un difetto di resa scenica o se si tratti di una debolezza insita nel ritmo del testo stesso, che approcciando il finale si fa sempre più ieratico, caratteristica resa ancora più evidente da una certa rigidità che governa le ultime scene. Indubbiamente Come gli uccelli è una sceneggiatura segnata da un cambio di registro importante, di non facile gestione: i toni da commedia che la caratterizzano inizialmente s’incupiscono mano a mano che la vicenda si sviluppa, tra l’attentato che coinvolge Eitan e Wahida mentre sono in viaggio tra Gerusalemme e Giordania, e il misterioso passato della famiglia ortodossa di lui che comincia a emergere, rivelando un segreto sconvolgente relativo all’identità di David, il padre rigido e osservante di Eitan, il più veemente nell’opporsi alla sua relazione con “l’araba” Wahida. 



I personaggi dello spettacolo

Foto di Giuseppe Distefano


La narrazione dei fatti si sviluppa in modo discontinuo e frammentato, con continui flashback e incursioni nel passato più recente (gli antefatti rispetto all’attentato a Gerusalemme che costringe Eitan in ospedale) e più lontano (in particolare i fatti relativi a suo padre David, e ai suoi genitori, i nonni di Eitan). Per merito del rigore e della pulita metodicità della messinscena, questi continui balzi temporali non risultano confusionari ma anzi, vivacizzano la narrazione valorizzandone gli aspetti tensivi e investigativi, che culminano nella rivelazione delle origini palestinesi dell’ebraicissimo, osservantissimo David. 

Si compie così il momento di rottura definitivo a seguito di questa identità rivelata, dove assistiamo alla morte per crepacuore dello stesso David, traumatizzato dalla scoperta e riconciliato con la madre, Leah, che lo aveva abbandonato da adolescente senza spiegazioni perché impossibilitata a portare avanti la bugia sulle sue origini, e all’allontanamento di Wahida al di là della linea di confine, dall’altra parte della barricata, intenta a riscoprire e ad abbracciare anch’essa le proprie origini. 


Eitan comprende di doverla lasciare andare, di non dover interferire con il suo volo, accontentandosi di assistervi dal basso come si fa con quello degli uccelli. Due migrazioni, quelle di David e Wahida - i due finti opposti della narrazione - che non prevedono ritorno. Così anche la ricerca sull’identità trova una sua risposta: David vive sulla propria pelle la spaccatura creatasi tra una verità del sangue e della lingua, quella della Palestina, e una verità ambientale, impartita e assimilata, quella d’Israele, ed è l’inconciliabilità delle due a decretarne la morte; Wahida dall’altra parte opera una scelta, una scelta non d’odio ma d’amore verso se stessa. La permeabilità dei nostri confini identitari, in un modo o nell’altro, ci definisce, perché il mondo lascerà sempre un’impronta, una traccia su di noi, e sta a noi decidere cosa farne, come lasciarci, appunto, definire da essa. 


Come gli uccelli ha ambizioni diverse da quelle geopolitiche (come si sarebbe tentati di pensare data l’ambientazione), dal momento che si muove su un piano paradossalmente più astratto, ragionando su tutte quelle tematiche che coinvolgono l’umanità in tempo di guerra e in tempo di pace, a qualsiasi latitudine: quelle relative all’identità, all’appartenenza, al potere della scelta, al continuo interrogarsi su dove cominci e finisca il libero arbitrio e sulla genuinità delle nostre scelte. Dipende secondo quale logica decidiamo di leggere e leggerci attraverso il mondo: siamo o non siamo i traumi che ereditiamo? Che potere abbiamo su di essi? Le coincidenze esistono o è il nostro occhio ad allinearsi, per sfuggire all’indicibile dolore del caso, di quel dio distratto che gioca i dadi? Non prendere posizione è comunque una presa di posizione? E in che modo le nostre scelte ci definiscono? Queste sono alcune delle domande che questo testo è in grado di scatenare, e a cui mi piace pensare non abbia voluto in fondo fornire una risposta definitiva. 



Pregi: la pulizia e la metodicità della regia; alcune trovate sceniche, essenziali ma eloquenti; ho trovato molto utili e impattanti le proiezioni delle didascalie e di alcuni dialoghi testuali che via via affollano il muro, scenografia onnipresente, intessendo una drammatica stratificazione confusa di eventi che s’accumulano negli anni: una bellissima metafora visiva. Trovo riuscitissime, per la caratterizzazione di due personaggi così ben costruiti, forti e ambivalenti, le interpretazioni di Rebecca Rossetti e Irene Ivaldi.

Limiti: A tratti, lo stesso pregio di metodicità e controllo, può trasformarsi in svantaggio, sfociando in una certa rigidità che influisce anche sugli interpreti; il testo, nella sua densità, sul finale risulta meno all’altezza delle promesse impostate all’inizio, perdendo in partecipazione emotiva.



Visto al Teatro Nazionale il 12/01/2023



Produzione

Teatro Nazionale di Genova, A.M.A. Factory, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Elsinor Centro di Produzione Teatrale in collaborazione con TPE – Teatro Piemonte Europa e Festival delle Colline Torinesi e con il sostegno di Bando ART-WAVES Produzioni 2022 e 2023 della Fondazione Compagnia di San Paolo

Consulente storico

Natalie Zemon Davis

Traduzione del testo originale "Tous des oiseaux"

Monica Capuani

Adattamento

Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi

Progetto di

Il Mulino di Amleto

Regia

Marco Lorenzi

Interpreti

Federico Palumeri, Lucrezia Forni, Barbara Mazzi, Irene Ivaldi, Rebecca Rossetti, Aleksandar Cvjetković, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Raffaele Musella

Dramaturg

Monica Capuani

Scenografia e costumi

Gregorio Zurla

Disegno luci

Umberto Camponeschi

Disegno sonoro

Massimiliano Bressan

Vocal coach e composizioni originali

Elio D’Alessandro

Video

Full of Beans – Edoardo Palma & Emanuele Gaetano Forte

Assistente alla regia

Lorenzo De Iacovo


oca, oche, critica teatrale
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