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Marta Cristofanini

Madre Courage e i suoi figli | Apolide, corsara apocalisse


Quando Bertolt Brecht cominciò a scrivere Madre Courage e i suoi figli, era il 1938: la scure nera della Seconda Guerra Mondiale si stava per abbattere sulla Germania e su tutto il mondo allora coinvolto nel conflitto. Andò poi in scena, durante la guerra, a Zurigo, territorio caratterizzato da una lunga storia di neutralità a livello di politica estera, concretizzando così sulla scena – quasi come un cavallo di Troia – tutto quell’orrore e quella miseria che la Svizzera stava tenendo fuori dai propri confini.


Madre Courage è un’opera totale, una pietra miliare della storia del teatro che sfida o intimorisce, a seconda dello sguardo che vi si posi sopra: sono felice che Elena Gigliotti, regista dello spettacolo ed ex-alunna della scuola del Teatro Nazionale di Genova, abbia deciso di avventurarsi in essa, dando vita a una messinscena vitalissima; pur conservando e omaggiando il messaggio originale brechtiano, la regista scava e trova una sua via di rappresentazione, caratterizzata da una visione fortemente coerente e al tempo stesso innovativa. L’apparato scenico, grazie al prezioso contributo tecnico e scenografico, agevola lo spettatore nel varcare la tumultuosa soglia di questo mondo distopico, dove la guerra è diventata la dimensione normale (e normativa) di un vivere distorto.


Brecht ambienta la propria opera nel secolo XVII, durante la guerra dei trent’anni, con l’intento d’immergere il pubblico nell’atmosfera claustrofobica di una guerra percepita come infinita, di un tutti-contro-tutti di cui non si intravede la fine; la sua non è altro che un’operazione strategica, in grado di permettergli di parlare degli orrori di un conflitto incombente e al tempo stesso di rappresentarlo come entità astratta e ricorsiva.


La drammaturgia riattualizzata ben coglie questo aspetto (che vede qui contrapporsi tra loro, in una rassomiglianza eloquente, l’Alleanza Santa e la Sacra Coalizione, i cui vessilli sono caratterizzati rispettivamente dai marchi dell’Eni e della Shell) vede mischiate tra loro componenti sacre e profane, religiose ed economiche. Non riesce difficile immedesimarsi in un mondo amputato del futuro come lo è, confusamente, del suo passato, dove si è costretti a sopravvivere, un giorno dopo l’altro, a un eterno presente: la filosofia di vita della stessa Anna Fierling, detta Madre Courage, ne è l’esempio più lampante.


ph Federico Pitto


L’interpretazione di Simona Guarino è impeccabile nel rendere la perseveranza e insieme il cinismo di una donna del popolo, sradicata e tenace, un’apolide corsara che cavalca la guerra a bordo del suo carro strabordante di merce con disprezzo e sdegno, cercando di volgere come può la fine del mondo e della civiltà a suo favore: ovvero facendone una fonte di guadagno, per lei e i suoi figli, costi quel che costi. La scelta stilistica di unire a questa attitudine una parlata dalla cadenza slava caratterizza ulteriormente la beffarda e tremenda testardaggine di questa donna, donandole una cantilena irresistibile, ipnotica; la scelta di attribuire ai personaggi diversi accenti (sia regionali nostrani sia a carattere internazionale, come nel caso di Courage) espande i confini della messinscena, dando luogo a una Babele caotica, dove la globalizzazione c’è ma è bellica a tutti gli effetti.


Madre Courage, nonostante la sua ferrea forza di volontà, è destinata a pagare a caro prezzo il suo tentativo di neutralizzare la guerra esternalizzandola in una “semplice” fonte di guadagno: perderà violentemente tutti i suoi figli, Eilif, Schweizerkas e Kattrin, rimanendo sola con il suo carro, difeso strenuamente fino alla fine e, forse, come lascia intuire il finale in un crudo baluginare, finalmente consapevole.


Le attrici e gli attori hanno dato vita a una performance indimenticabile, che si contraddistingue per l’inserimento di numerose partiture fisiche (un forte e gradito richiamo al teatro-danza), cifra stilistica della regista che le propone nei propri spettacoli sin dai tempi di una delle sue prime regie, Città Inferno. Le coreografie di Claudia Monti ben accompagnano i momenti di climax emotivo della narrazione: l’impattante scena collettiva d’apertura, una sorta di prologo miniaturizzato dell’epopea che andrà a seguire, così come l’accompagnamento delle morti dei figli di Madre Courage, mentre tentano un ultimo, disperato dialogo. L’assolo di Schweizerkas, interpretato con grande sensibilità da Sebastiano Bronzato, omaggia il Café Müller di Pina Bausch e la Pietà di Michelangelo, nel reiterarsi di un abbraccio ripetutamente destinato a sciogliersi scivolando via dalla presa, fino al fotogramma che immortala la madre nel reggere il corpo esanime del figlio; quello di Kattrin, la giovane figlia muta più di tutte e tutti vittima della violenza insensata, emana una tribalità viscerale e contagiosa nella sua danza di ribellione e salvezza, mentre raggiunge l’apice nel gridare le sue ultime – e in scena, prime – parole prima dello sparo assassino: ‹‹Mamma, mamma!››


ph Federico Pitto


Kattrin, interpretata magistralmente da Didì Garbaccio Bogin, è l’autentica eroina dell’opera, sfregiata e stuprata dalla guerra, che al tempo stesso rimane moralmente incorrotta. Non si può dire lo stesso di Madre Courage, nonostante le buone intenzioni: il suo attaccamento veniale alla sopravvivenza materiale ed economica sembra impedirle di vedere il quadro completo della vicenda nella quale, volente o nolente, è immersa. Riecheggia in me sul finale la Canzone del maggio di De André, quel suo “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti.” Per quanto si provi, è impossibile non appartenere al mondo, che sia da vittime o da carnefici. Madre Courage, nel bene e nel male, ci rappresenta: è un essere umano imperfetto, che sbaglia nonostante le migliori intenzioni, e che non riesce a impedire gli sbagli degli altri, subendone le tragiche conseguenze.


Anche tutti i restanti personaggi (numerosi) sono caratterizzati da un’ambivalenza crudele, dove sembra emergere l’enunciato hobbesiano: homo homini lupus. Nella lotta alla sopravvivenza, suggerisce profeticamente Brecht, la prima vittima è l’empatia disinteressata. Il cuoco, il cappellano, Yvette possono contare per le loro spigolose sfaccettature sulla bravura attoriale di Aldo Ottobrino, Alfonso Postiglione e la magnetica Esela Pysqyli.


Le 3 ore di spettacolo si riversano in platea con leggerezza nonostante tutta la loro densità drammatica, interrogandoci sul nostro ruolo nel mondo, su una sempre più diffusa tendenza all’ignavia. Il precetto brechtiano di un teatro di straniamento viene tuttavia saldamente mantenuto: il coinvolgimento rimane quello, non meno sublime, della mente più che del cuore, andando ad assestare comunque qualche colpo nello stomaco.


La rappresentazione mi ha coinvolta come qualcosa di estraneo, distante eppure di tremendamente vicino. A questo ha probabilmente contribuito un allestimento delicatamente surreale, onirico (nell’utilizzo dei costumi, delle scenografie, di video-proiezioni) e che la finzione scenica fosse esplicitata in scelte specifiche come accendere in alcuni momenti le luci in sala, sfondare con lo sguardo e alcune significative battute la quarta parete (sfruttando anche qualche entrata e uscita dalla platea), e mantenere i macchinari teatrali a vista: lo stesso piano rotante, elemento scenico centrale, viene attivato visibilmente in scena da un attore-manovale. Ho trovato inoltre ben orchestrate e inserite le canzoni originali di Paul Dessau, rilette in chiave elettronica, dove la distorsione vocale dell’autotune ha rafforzato in me un senso di riverberante inquietudine e disfonia cacofonica da Apocalisse 2.0.


Questa Madre Courage me la porterò nel cuore in tutta la sua scanzonata ferocia da apolide virtuosa, da circense stravagante e contabile minuziosa. Una voragine di vita, nonostante tutto.



ph Federico Pitto




Visto a Genova, presso il Teatro Modena, il 19 maggio 2023.


Punti di forza: la regia dalla tenuta forte senza perdere dinamismo; la gestione fluida dei cambi di scena; il cast attoriale, brillante di talento ed energia; l’inserimento della danza e delle partiture fisiche in grado di fluidificare il massiccio tessuto narrativo.

Limiti: Come ho detto, le canzoni, in perfetto stile brechtiano, a me sono piaciute molto; so che sono state anche percepite in modo diverso: ma credo che anche questo “allontanamento” in termini musicali faccia parte della sfida che lo spettacolo ha accolto e vinto.

Aggiungo un limite che non è propriamente attinente a questo spettacolo, ma più in generale a quelli che sto vedendo al Teatro Nazionale: trovo che i microfoni ad archetto siano incredibilmente limitanti, oltre ad essere anti-estetici. Specie quando, per necessità sceniche, la loro presenza diventa evidente, impedendo allo spettatore un'immersività totale.



Produzione

Teatro Nazionale di Genova

Traduzione

Saverio Vertone

Regia

Elena Gigliotti

Personaggi e interpreti

Madre Courage | Simonetta Guarino Kattrin sua figlia muta | Didì Garbaccio Bogin Eilif suo figlio maggiore | Aleksandros Memetaj Schweizerkas suo figlio minore | Sebastiano Bronzato Il reclutatore (Alleanza) | Matteo Palazzo Il sergente (Alleanza) | Ivan Zerbinati Il cuoco | Aldo Ottobrino Il generale (Alleanza) | Andrea Nicolini Il cappellano | Alfonso Postiglione Il capo dell’armeria (Alleanza) | Matteo Palazzo La soldatessa (Alleanza) | Sarah Pesca Yvette Pottier | Esela Pysqyli La donna con la benda all’occhio (Coalizione) | Sarah Pesca Il sergente (Coalizione) | Ivan Zerbinati Il vecchio colonnello (Coalizione) | Andrea Nicolini Lo scrivano (Coalizione) | Ivan Zerbinati Il giovane soldato (Coalizione) | Matteo Palazzo Il soldato anziano (Coalizione) | Andrea Nicolini Il soldato al banco (Coalizione) | Ivan Zerbinati Il contadino (Coalizione) | Andrea Nicolini La contadina (Coalizione) | Sarah Pesca L’altro soldato al banco (Coalizione) | Matteo Palazzo Il soldato ubriaco (Coalizione) | Andrea Nicolini Il giovane | Matteo Palazzo La vecchia | Sarah Pesca Il soldato che scorta Eilif (Alleanza) | Andrea Nicolini L’altro soldato che scorta Eilif (Alleanza) | Ivan Zerbinati Il caporale (Coalizione) | Ivan Zerbinati Il soldato semplice (Coalizione) | Aleksandros Memetaj L’altro soldato semplice (Coalizione) | Sebastiano Bronzato Il contadino (Alleanza) |Andrea Nicolini La contadina (Alleanza) | Sarah Pesca Il giovane contadino (Alleanza) | Matteo Palazzo Soldati e civili | Andrea Nicolini, Matteo Palazzo, Sarah Pesca, Ivan Zerbinati

Scene e costumi

Carlo De Marino

Musiche

Paul Dessau

Musiche originali e adattamenti da Paul Dessau

Matteo Domenichelli

Coreografie

Claudia Monti

Luci

Davide Riccardi

Video

Daniele Salaris

Regista assistente

Dario Aita

Cast tecnico

direttore di scena Fabrizio Montalto macchinisti Nathan Copello, Francesca Mazzarello, Letizia Paternieri fonico Edoardo Ambrosio sarta Cristina Bandini consulenza trucco ed effetti speciali Barbara Petrolati



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