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Chiara Mannucci

Il tango delle capinere e Birthday Party | Danza tra etica ed estetica, oltre la biologia e i canoni

La danza è per il mondo e il mondo è per tutti”, dice Platel. Anche per i vecchi. Anche se la marginalità di questa fetta di popolazione oggi tende quasi all’irrilevanza e alla trascurabilità. Tanto più in un universo come quello della danza, votato al virtuosismo e piegato a determinati standard di perfezione fisica.

Ma per come la vedo io, la danza è anche pratica del margine, atto politico di presenza e presa di posizione. È prova di rivendicazione di uno spazio e di una modalità di espressione. È pratica di dissezione del canone, territorio funambolico che scompiglia la dimensione acquisita e codificata dell’esistente. È azione di confine, luogo d’innesti e rimescolamenti. Sul palco, mentre l’anatomia spaziale e quella dei corpi si scambiano geometrie e risonanze, infinite possono essere le grammatiche del movimento e i vocabolari del gesto tramite i quali interrogare i modelli culturali e gli standard di organizzazione anatomica dei corpi. Danzando l’individuo può scoprirsi dividuo e la dinamica tra molti può assumere le forme dell’epidemia e del contagio. La bellezza può abitare anche cose contorte, incontrare la verità e la normalità della vita vissuta, o accomodarsi accanto a ciò che bello non è mai stato definito. Tra l’altro, qual è l’età e la forma del corpo? Quelle dettate dalla biologia e vicine al canone o quelle liberate da qualsiasi standard e lontane dall’omologazione della Legge del Medesimo?

Nel giro di una settimana al Teatro Arena del Sole di Bologna sono andati in scena due spettacoli di danza nettamente in controtendenza rispetto alle traiettorie vorticose del mercato contemporaneo dello spettacolo dal vivo, trainate della legge del ricambio generazionale. Il tango delle capinere di Emma Dante e Birthday Party di Angelin Preljocaj hanno fatto i conti, ognuno dalla propria prospettiva, col tempo che scorre, che contorce i corpi e i ricordi e rischia di velare di nostalgia tutto ciò che rimane. Lo hanno fatto presentando corpi abituati al movimento ma maturi e concreti, come i gesti cui davano vita.

La sera del 3 marzo è andato in scena l’ultimo lavoro della drammaturga palermitana Emma Dante, Il tango delle capinere, racconto danzato di un’esistenza condivisa e condivisione di una storia d’amore che sfiora l’assurdo nella sua ordinarietà. Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, attori storici della compagnia Sud Costa Occidentale, hanno intrapreso un viaggio nel tempo, tra il passato e il presente, i vivi e i morti, un’esplorazione delle testimonianze della memoria, una rassegna esilarante e desolata d’istanti di vita vissuta. La loro danza ha esitato a prendere slancio, lenta e affaticata dagli acciacchi della vecchiaia, ma poi ha preso a inseguire il ritmo incalzante degli anni che scorrono alla rovescia, come fosse il countdown di quella memorabile sera di fine anno da cui tutto ebbe inizio.


Il tango delle capinere_ph Rosellina Garbo
Foto: Rosellina Garbo

Sulla scena una donna, due bauli, ricettacolo di ogni cosa bella e insieme tombe che inghiottono e obliano, e un carillon, sigillo di un amore promesso che innesca cortocircuiti emotivi e riporta in vita il marito perduto. Nell’impaccio dei fastidi della vecchiaia, quando i riflessi non rispondono e un bacio non può più permettersi la passione di un tempo, al centro della scena la coppia si stringe in un abbraccio tremolante e scivola in un lento sulle note di E se domani di Mina. Insieme ai vestiti, marito e moglie si sfilano via dai corpi anche la fatica degli anni. Mentre rimangono in sottoveste e canottiera, la loro danza si fa più fluida, coinvolgente e sfrenata: sulle note de Il ballo del mattone diventa un twist e poi, in fretta, si trasforma a seconda della fase della vita che racconta: in abito da sposa ricorda i volteggi di Loie Fuller, poi si veste di lustrini e diventa quel tango che segnò nel profondo le vite dei due amanti.

La colonna sonora dello spettacolo incontra uno dopo l’altro i grandi classici della musica italiana: la signora che mi siede accanto li canta tutti dondolando con il busto sulla poltroncina. E insieme a lei, la maggior parte del pubblico reagisce partecipe sia quando si solletica il suo riso sia quando si toccano le corde emotive più profonde. Proprio nel mischiare il comico e il tragico fino a mostrarli come facce della stessa medaglia ritrovo la cifra più originale della drammaturga siciliana: “La ricerca dell’arte impone di non sottrarsi alle emozioni e alla sofferenza. L’arte recupera la ferocia e la restituisce per ricordarci cosa succede. Urta la sensibilità comune per svegliare le coscienze”, ricorda lei stessa in un’intervista. E non nascondo che la rievocazione della dichiarazione d’amore tra i due piccoli amanti, una lacrima di commozione l’ha strappata pure ai miei occhi, intenti com’erano a esaminare gli aspetti più tecnici.

È la sera della gara, la milonga di fine anno, la sensualità viscerale della danza argentina e l’ebbrezza della vittoria coprono le tante fatiche del quotidiano: «Per ballare ci vuole leggerezza!», esclama trionfante la donna in festa. Poi, nello stampo di un bacio, lui le sfugge dalle mani e scivola nel baule. La tosse e i tic della donna non fanno più ridere, trasudano trascuratezza e solitudine. Le luci diventano fioche e a terra restano le tracce di una bellissima festa, le tracce di una vita: le tracce di una bellissima festa lunga una vita.


Domenica 12 marzo lo stesso palco ha visto il debutto italiano dell’ultima impresa del coreografo parigino Angelin Preljocaj, Birthday Party, esito di un progetto aperto alla dimensione della ricerca, del laboratorio e dell’incontro sul tema dell’età del corpo. Attraverso otto artefici del movimento dalla provenienza etnica e professionale variegata, di età compresa tra i 67 e gli 80 anni, il lavoro ha voluto costruire un paesaggio geologico nel quale, ad ogni strato di profondità, si potesse scovare e raccogliere un minerale sempre più prezioso. Il processo creativo si è nutrito dell’esperienza di tante vite, sempre pronto a stravolgersi a ogni nuova fase e a mutare con l’aggiunta di nuovo materiale vitale e muscolare: “Il soggetto è arrivato dalle emozioni e da quello che le persone durante le audizioni mi hanno offerto”, ha spiegato il coreografo in un’intervista.


Birthday Party_ph Christophe Bernard
Foto: Christophe Bernard

Le luci si accendono su uno schieramento di corpi che alternano movimenti lentissimi a fermimmagine del tutto in contrasto con l’affanno che traspare dai volti: il vocabolario dei gesti e delle espressioni riporta a quello di una battaglia, si tendono archi, si tirano pugni, si spalancano occhi e bocche e si allungano braccia in cerca di aiuto. Un respiro di sollievo e una successione di quadri trasportano i/le performer (e noi spettatori con loro) lontano dalla consuetudine di una lotta quotidiana votata a perdersi nello scorrere inesorabile del tempo.

Se non sempre riesco ad afferrare la logica del susseguirsi delle scene e l’unisono mi sembra la strada più sconveniente per dimostrare la coesione del gruppo, alcuni passaggi mi s’imprimono sulla retina e mi spingono a cartografare un modo tutto nuovo di vivere lo spazio scenico.

Una danzatrice vestita di veli incorpora nel vocabolario della danza classica le rivendicazioni di Simone de Beauvoir che intanto una voce fuori campo recita: «Essere donna non è un fatto naturale. È il risultato di una storia. Non c’è nessun destino biologico o psicologico che definisce la donna in quanto tale. È la storia della civiltà da una parte e la storia individuale di ciascun* dall’altra che determina il suo essere donna». Preljocaj parte da questa grande apertura, dall’indefinitezza di sapersi collocat* al di là della biologia e dell’estetica e offrire la proposta (pregevole dal punto di vista etico e umano) di partire dal racconto personale di ogni interprete piuttosto che da un’idea predefinita di cosa sia la danza.

Tre passi a due raccontano le declinazioni dell’amore, tra leve, contro-leve, sostegni e abbandoni, dolcezze, sensualità, baci e abbracci, carezze sui corpi e nell’aria. Le schiene non si inarcano, le gambe non sfiorano le orecchie con slanci leggiadri, ma ogni gesto ha una consapevolezza e un peso tali da propagare il proprio eco anche fuori dal teatro.

Rimasti nudi e adagiati i muscoli a terra, illuminati da una luce color castagna, i corpi diventano dune di carne che si muovono sensuali sul pavimento sulle note di un basso. Gesti autoerotici, atti sessuali: ognun* sembra fare l’amore con sé stess* o ripercorrere tutti i richiami dei sensi di una vita. Un corpo si stacca dal flusso, inizia un solo che catalizza l’attenzione degli/delle altr*: gli si avvicinano, lo toccano, si toccano. Mi viene in mente un passo tratto da un saggio della filosofa Karen Barad: “All touching entails an infinite alterity, so that touching the other is touching all others, including the ‘self’, and touching the ‘self’ entails touching the stranger within.” Ed ecco il sortilegio: il gruppo diventa un unico organismo, un ammasso di braccia o meglio tentacoli, un groviglio del piacere, un’ameba che avanza grazie all’aiuto di mille cilia e flagelli, un coagulo pluricellulare che riscrive i paradigmi dell’identità secondo un’ottica di esistenza collettiva e condivisa.

L’ultimo scorcio: una danza scatenata e senza direzione al grido di «Getting younger every day» sottoscrive il testamento lasciato da questi corpi dalle pareti pericolanti. È solo la convenzione ad accordare minor valore alle cose cadute preda del tempo, la stessa convenzione che predilige lo svolgimento lineare degli eventi e la rimozione delle memorie più remote per dare sempre più spazio al nuovo.

Sospendere il flusso vorticoso della vita, tuffarsi in un mare di ricordi, pesare le rughe e le pieghe della carne, valorizzare i cumuli d’esperienza e i carichi di consapevolezze: questo è il souvenir che mi sono portata via da questi due incontri con la danza, questo è il consiglio che mi sento di lasciare a quant* non hanno ancora assaporato la dolcezza della decelerazione.



Il tango delle Capinere visto il 3 marzo 2023 presso il Teatro Arena del Sole

Regia: Emma Dante

Con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco

Luci: Cristian Zucaro

Assistente alla regia: Daniela Mangiacavallo

Organizzazione: Daniela Gusmano

Produzione: Atto Unico

In coproduzione con: Teatro Biondo Palermo / Emilia Romagna Teatro ERT - Teatro Nazionale / Teatro di Roma - Teatro Nazionale / Carnezzeria / Théâtre des 13 vents, Centre dramatique national Montpellier / MA scène nationale - Pays de Montbéliard

In collaborazione con: Sud Costa Occidentale

Coordinamento e distribuzione: Aldo Miguel Grompone, Roma


Birthday Party visto il 12 marzo 2023 presso il Teatro Arena del Sole

Coreografia: Angelin Preljocaj

Musica: 79D

Musiche aggiuntive: Anton Bruckner, Józef Plawiński, Paul Williams, Lee Hazlewood, Jean- Sébastien Bach, Maxime Loaëc, Craig Armstrong, Stinky Toys

Luci: Eric Soyer

Costumi: Eleonora Peronetti

Assistenti alla coreografia: Claudia De Smet, Macha Daudel

Danzatori Mario Barzaghi, Sabina Cesaroni, Patricia Dedieu, Roberto Maria Macchi, Elli Medeiros, Thierry Parmentier, Marie-Thérèse Priou, Bruce Taylor


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