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  • Massimo Milella

"É a minha vida" - Keyla Brasil e l'etica del teatro

Volevo ascoltare un po’ di buona musica, quindi ieri sera purtroppo non sono andato, come invece mi ero prefissato, al Teatro São Luiz, il teatro municipale di Lisbona per vedere Tudo sobre a minha mãe (Tutto su mia madre), la versione portoghese dell’adattamento teatrale che il drammaturgo australiano Samuel Adamson ha tratto dall’omonimo film di Pedro Almodóvar. La regia è di Daniel Gorjão, giovane e già quotato regista, oltre che programmatore culturale del secondo canale nazionale portoghese. Attraverso i media che si sono occupati della promozione dello spettacolo, leggo che Gorjão aveva dichiarato che una delle imprese più ardue per la realizzazione di questo spettacolo era stata la trattativa con chi deteneva i diritti dell’opera, soprattutto per via delle limitazioni che avrebbe dovuto accettare per metterla in scena. Come esempi di limitazioni, il regista lamentava, comprensibilmente, l’obbligo di lasciare il testo intatto e la necessità di mantenere la musica originale (di Alberto Iglesias). Di contro, poteva però inorgoglirsi per il cast di tutto rispetto che era stato allestito per lui (produzione Teatro do Vão): Maria João Luís, Catarina Wallenstein, Sílvia Filipe, interpreti di chiarissima fama nazionale, senza dimenticare l’importanza di avere tra loro l’artista trans Gaya de Medeiros, nei panni della trans Agrado.

Quello che, però, non leggo nelle interviste è che nello spettacolo figura anche un altro personaggio trans, Lola, ma in questo caso l’interpretazione è affidata a un uomo, l’attore André Patricio - parliamo sempre di attori con curriculum fitto, tra tv, cinema e teatro - travestito per l’occasione.

Nonostante le rassicurazioni di Gorjão di voler dare visibilità a corpi queer in scena, la decisione di assegnare il ruolo di Lola a un uomo cisgender aveva attirato alcune critiche di transfake: ovvero l’atto di far interpretare un personaggio trans da una persona non trans. Una pratica che si può equiparare, in termini etici, al “blackface”, consistente nel truccare di nero una persona bianca per fini spettacolari - e non parliamo dell’Alabama negli anni ‘20, ma di Anna Netrebko nella più recente Aida di Zeffirelli, caso che fece infuriare la soprano Angel Blue e, per fortuna, non solo lei.


Tudo sobre a minha mãe_Estelle Valente
Foro di Estelle Valente

Nel caso portoghese, però, non ci si è fermati alla furia o alle polemiche via media. Si è passati all’azione. Durante la replica di giovedì 19 (Tudo sobre a minha mãe è in scena dall’undici gennaio), un’artista trans e prostituta, Keyla Brasil, ha interrotto lo svolgimento dello spettacolo, mentre Lola/André Patrício pronunciava le sue battute.

L’intervento di Keyla Brasil, vestita solo con un perizoma, ha avuto l’effetto di paralizzare lo spettacolo: le attrici in scena, tra le quali Gaya de Medeiros, sono rimaste immobili, così come Patrício, di fronte alle accuse di «Transfake!» mosse a gran voce dalla performer che avanzava con gran foga verso il palco. Non ero presente, purtroppo, ho ricevuto l’estratto del video tratto da Instagram, con migliaia di visualizzazioni e condivisioni che immagino si stiano moltiplicando in queste ore, mentre scrivo. Eppure, nel guardare e riguardare questa clip, ho sentito una profonda gratitudine per Keyla Brasil e per chi, con lei, ha deciso di agire, esponendosi sia alle opinioni più disparate che al martirio delle visualizzazioni.

Le parole di Keyla si concentrano su un aspetto molto semplice, così semplice, che spero di non semplificarlo troppo: il transfake è una scelta che condanna l’artista trans all’invisibilità. Nella parola invisibilità, bisogna saperlo, c’è anche la prostituzione, per sopravvivere, e, con essa, l’esposizione a infiniti pericoli per la propria incolumità, compresa la morte. L’invito di Keyla Brasil - e di un vasto movimento trasversale che la performer, con questo atto di sabotaggio illuminato, davvero incarna con una intelligenza scenica straordinaria - è rivolto alla produzione artistica portoghese in generale, oltre che a quella dello spettacolo di Gorjão: la richiesta, non più rinviabile, è di mettere sotto contratto anche le persone trans. Gaya de Medeiros non basta: i personaggi trans sono due.



Durante l’intervento di Keyla, il teatro - inteso come luogo teatrale specifico, sistema di potere, gruppo di persone che affronta l’emergenza e prende decisioni sul momento - per prima cosa fa calare il sipario, piuttosto goffamente. Il significato è chiaro: lo spettacolo è sospeso, l’arte è interrotta, o almeno sospendiamo qui la nostra capacità di controllare gli eventi, di garantire la fruizione di un’opera in totale sicurezza di chi sta in scena e di chi sta in platea, a vario titolo. È una situazione che sfugge al controllo, ma per fortuna la presenza scenica di Keyla la rende perfettamente in grado di guadagnare il proscenio e di trasformare la chiusura violenta del sipario in uno splendido a parte attaccando con «Ho bisogno di tre minuti per parlare con voi». Successivamente, entra in azione la voce del teatro, quel registro affidabile e burocratico che tolleriamo a fatica per i suoi inviti a spegnere i telefonini o per i suoi auguri di una buona fruizione dello spettacolo. Nel video che ho visto, non riesco a capire cosa dica la voce, ma è evidente che il contenuto delle sue parole sia del tutto privo di importanza, quello che conta è la sua presenza, il suo tentativo, fallito, di coprire l’intemperanza della protesta con un – probabile - invito alla calma: il teatro c’è, che poi sarebbe come dire lo Stato c’è. Esagero sicuramente, ma forse in Italia a questo punto qualcuno avrebbe fatto intervenire la polizia o un qualche servizio d’ordine privato, magari anche tra le urla di approvazione del pubblico pagante. Non dappertutto, magari. Nel Teatro São Luiz di Lisbona, invece, nonostante il goffo tentativo di silenziarla, Keyla invece completa il suo intervento, ringrazia e va via tra gli applausi, certo non di tutti, ma di una maggioranza rumorosa, questo sì. A questo punto, sembra finita la sua performance. E invece no. Riattraversa la platea per dirigersi verso la scena, ancora una volta: ha dimenticato qualcosa di prezioso, vuole che la sua azione ottenga un risultato immediato e concreto. Intima così all’attore Patrício di avere rispetto per questo tema e di non presentarsi nuovamente “in questo posto”. Le attrici, intanto, facendo frusciare i loro lunghi abiti colorati, sfilano dietro una quinta e riconquistano il proscenio, come sfuggite da quello spazio della rappresentazione che ora, improvvisamente, non esiste più, nascosto dal sipario irrimediabilmente chiuso.


Una di loro, Maria João Luís, informa Keyla, con una voce che esprime profonda gentilezza e comprensione ma anche una certa preoccupazione di non finire dalla parte dei “cattivi”, che lo spettacolo è stato fatto per difendere la sua lotta. L’espressione è esattamente “la vostra lotta”. L’attrice sostiene di aver recitato con persone trans da quando aveva diciotto anni, il che dovrebbe garantire la sua piena adesione alle recriminazioni di cui Keyla si fa portavoce. Bisogna notare che tutte le attrici, raggiunte da altre persone dello staff, tra le quali mi pare di riconoscere anche Gorjão, ma non ne sono certo, sono perfettamente a proprio agio, adesso, nella loro posizione di attrici, in scena, sotto le luci, in un’atmosfera elettrica - condizione performativa insperata forse da loro stesse prima dello spettacolo - mentre Keyla, seminuda, ora è a livello della platea, in quella posizione ibrida tra il dare le spalle al pubblico - per rivolgersi alle attrici, deve sollevare la testa verso di loro - e il dare le spalle al teatro, arringando la folla verso una ribellione necessaria.

Poi Keyla Brasil si rivolge all’attore Patrício e gli chiede espressamente: «Stai con me?». La sua risposta è emblematica: «Io capisco la tua posizione». Ma non è quello che Keila vuole. Qui non si tratta di empatia di un privilegiato rispetto a chi ha una condizione svantaggiata, ma di un’alleanza tra colleghi. E gli ribadisce la richiesta, lui corregge il tiro e dice, ripetendo le sue parole con un tono di voce più basso, che sembra arrendevole, «sto con te». Si danno il cinque. Keily ripropone la domanda a ognuna delle persone ora un po’ irrigidite sul palco e scambia con tutte loro un saluto. Stai con me? Stai con me? Quando arriva a Gaya de Medeiros, l’emotività è forte e i tre colpi con cui i palmi delle mani si incontrano sono scanditi da una frase ripetuta con intensità crescente: «São duas travestis. São duas travestis. São duas travestis». Manca una trans in scena. E manca perché probabilmente non c’è più. Nel teatro e nel mondo.

Quando Keyla Brasil esce davvero di scena, tocca a Gaya de Medeiros raccogliere l’esempio della sua performance e fornire al pubblico una sorta di piccolo riepilogo di cosa ha appena visto, toccando con molta lucidità i punti drammatici del discorso di Keila, in un certo senso razionalizzandone la portata, mentre il resto dello staff si tiene la mano, si guarda sorridente o emozionato, non sa bene cosa pensare, ma sente che qualcosa è successo. Forse già pensano ai video su Instagram, alla rappresentazione di questo evento, alle interviste che seguiranno, agli incontri di sensibilizzazione, alle proposte per le scuole, ai comunicati di scuse, alle rettifiche, ai distinguo. Di certo, forse anche per Gorjão, che pure ha sempre dichiarato una grande attenzione per le tematiche di genere nel mondo della produzione artistica, assume un’altra luce la problematica delle limitazioni dovute ai diritti d’autore.


Per quel che mi riguarda, mi dispiace moltissimo di aver preferito ascoltare musica quella sera, perché ho perso del teatro vero, un teatro irripetibile. E non mi riferisco certo all’atto di boicottaggio in sé, che spesso viene fagocitato dal sistema in cui viene contestualizzato e trasformato in spettacolo a sua volta dall’esigenza parassitaria di riportare tutto nella comprensione e nell’ordine costituito - i social aiutano a digerire. Quando dico di essermi perso qualcosa, mi riferisco alla performance stessa di Keila, che ha avuto l’intelligenza e la sensibilità di sfidare il teatro sul suo campo e con il suo linguaggio.

Non dice: «smettetela di fare queste piêce e parlate della nostra vita». Non dice: «il teatro non serve, fate solo retorica» o «siete finti». Qui non siamo di fronte alle urla scandalizzate del pubblico del Teatro Valle dopo il Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello nel 1922. Non è lo spettacolo il problema, non è la scelta artistica, non è il genio di questo o quel regista. E cos’è allora? Cosa dice davvero Keila Brasil? Ci ho pensato un po’, ma ero certo che mi stesse dicendo qualcosa di importante sul teatro, perché continuavo a guardare e riguardare il video e a trovarlo emozionante. E alla fine ho capito. il corpo parla e i suoi gesti sono chiarissimi, liberi, netti: Keyla parla di amore, ama quel luogo, il teatro.

Quando il telo del sipario le cade sulla testa e lei se ne libera, lasciandosi alle spalle la rappresentazione astratta di Gorjão, si ritrova a fronteggiare la platea da sola. Nel tentativo di farla tacere, il teatro finisce per amplificarne la forza: non era previsto che accadesse, ma sarebbe stato un ottimo disegno di regia. Durante il suo discorso, colpisce ripetutamente il sipario chiuso, con rabbia autentica, insistendo sul fatto che il rischio della vita stessa per molte trans «è causa disso», per colpa di questa cosa qui. Dell’esclusione, dell’isolamento. Certo, ma anche del teatro stesso. Keila dice - o mi sembra che dica, forse perché lo penso io - che il teatro è un lugar sagrado, un luogo sacro, perché custodisce il mistero della vita stessa. Ogni pezzo della vita che il sistema produttivo ritiene di poter escludere è un tradimento rispetto al ruolo stesso del teatro. Keyla dice - io immagino che dica - Fatelo Almodovar, fatelo Shakespeare, fatelo Beckett, ma fatelo davvero, perché dentro c’è la vita e c’è la morte, rispettando l’etica del teatro, che coincide perfettamente con quella della comunità.

La performance di Keyla Brasil può essere un passaggio decisivo per la produzione di spettacoli in Portogallo, se letto in un modo fertile, perché spinge, con integrità e intelligenza, il sistema verso la necessità di un’etica, concetto che non coincide propriamente con le espressioni come “questo spettacolo è per difendere la vostra lotta” o “capisco la tua posizione” - sia pure dette con le migliori intenzioni.

Keyla Brasil ha ben chiaro cosa sia il teatro e cosa ci sia dietro quel sipario chiuso e lo urla: é a nossa vida. L’etica del teatro sta qui, nel dire «È la mia vita». E quindi anche la mia lotta.


[Matteo Valentini, che ha corretto il presente testo a nome della redazione, mi ha fatto notare che nel film di Almodovar c’è un momento in cui il personaggio di Agrado (Antónia San Juan) si rivolge a un pubblico teatrale con un fuori-programma che può evocare singolari analogie con l’aspetto politico di quanto accaduto sul palco del Teatro São Luiz: https://www.youtube.com/watch?v=AqFQ9fDp2DA]



Breve drammaturgia dell’evento - una traduzione in italiano dell’intervento di Keila Brasil.



Su un palco all’italiana, l’attore André Patrício nei panni della trans Agrado sta pronunciando la sua battuta:


Ieri notte…


Una voce dalla platea lo interrompe, incalzando: “Transfake!”


Fuori dal palco. Scendi dal palco. Transfake! Scendi dal palco. Abbi rispetto per questo luogo. Abbi rispetto per questo luogo. Rispetto. Signore e signori, buonasera. Io mi chiamo Keyla Brasil. Sono un’attrice, sono prostituta e lavoro con…


il sipario cala nascondendo i corpi degli attori in scena. Il telo sembrerebbe coprire anche Keila che sfugge e si vede consegnata sul proscenio, davanti al pubblico, sotto le luci.


No! No! No! Quello che sta accadendo in questo momento è un crimine, è un cancellamento della nostra identità di trans. Per favore non mi toccate. (al pubblico) Ho bisogno di tre minuti per parlare con voi. Se hanno messo sotto contratto 4 donne e 3 uomini, perché non hanno fatto il contratto a 2 persone trans per fare il loro personaggio? Sapete perché lavoro come prostituta? Sapete perché succhio cazzi come Agrado e come Lola? Perché non abbiamo spazio per stare qui, su questo palco, in questo luogo sacro. Perché se fanno il contratto a 4 donne e 4 uomini non lo fanno a 2 trans? Perché mancano i soldi? No. Tutta la gente qui ha pagato il suo biglietto. Io lo farei gratis questo spettacolo. La settimana scorsa mentre lavoravo come prostituta un uomo mi ha puntato la pistola in faccia e io potevo morire. Sapete perché potevo morire? (colpisce due volte il sipario chiuso) A causa di questo! Di questo! Non danno la possibilità a una persona trans di lavorare. È per questo. Vorrei chiedere alla produzione di questo teatro, all’agenzia che finanzia la produzione artistica del Portogallo di essere nostri alleati. Non contrattate solo donne e uomini, contrattate anche trans. Almeno poter salire sul palco per raccontare la nostra storia, le nostre narrative, perché questo può costare la vita. Grazie.



Keila Brasil scende dal proscenio e torna in platea, tra gli applausi, ma dopo qualche istante si avvia di nuovo verso il palco, stavolta senza salirvi, rimanendo all’altezza del pubblico.


Come si chiama l’attore? André Patricio. Abbia etica. Per favore, domani non torni qui.


Maria João Luís: Cara, noi qui stiamo facendo uno spettacolo che difende la vostra lotta.


Keyla: Non la difende. Lei sta escludendo.


MJL: Io non sto escludendo.


concitazione, le voci si accavallano.


Keyla: Uscita da qui io sono costretta a andare a succhiare cazzi.


MJL: Io ho lavorato con attori trans da quando ho 18 anni. Adoro la vostra causa. Io sono per la vostra causa.


Keyla: E allora mettete sotto contratto una trans. Non ce n’è solo una. Ce ne sono due in scena. Sono due trans. Perché questo può costare la nostra vita. È la nostra vita. È la nostra vita. Non è una rappresentazione. È la mia vita. Io potevo morire la settimana scorsa, perché non sto qui. Per questo.


Voci indistinte tra lo staff presente in scena: Noi stiamo con te.


Keyla: Siete con me?


Keyla si rivolge precisamente all’attore André Patricio.


Sei con me?


André Patrício: Io capisco la tua posizione.


Keyla: Sei con me?


André Patrício: Sono con te.


Keyla: Sei con me? Sei con me? Sei con me?


Si scambia il cinque con tutto il cast dello spettacolo al quale rivolge la stessa domanda, poi quando si trova davanti a Gaya de Medeiros, l’unica artista trans in scena, le dà il cinque per tre volte, con forza:


Ci sono due trans.

Ci sono due trans.

Ci sono due trans.

Buonanotte.


Keyla esce di scena. Il pubblico rumoreggia, applaude, esulta. In scena, l’unica che prende la parola è Gaya de Medeiros.


Gaya de Medeiros:

Io voglio che capiate sinceramente e con cuore generoso perché la libertà di una non sia quella di tutte. Io sono solo l’inizio. Qui le cose non sono come dovrebbero essere. Ma penso che oggi questo atto di Keyla Brasil, un’artista che si prostituisce, entrerà nella storia del Portogallo, affinché si capisca quanto sia importante che questi corpi occupino questo spazio per raccontare le loro storie. Non è una cosa contro l’attore, non è contro il regista. È una denuncia storica di qualcosa che accade da molti anni. Dobbiamo occupare questo luogo.



Applausi.


fine del video condiviso su instagram.





testo originale, desunto dal video:


Fora do palco. Desce do palco. Transfake. Desce do palco. Tenha respeito por esse lugar. (2 volte) Respeito. Gente, boa noite. Eu me chamo Keyla Brasil. Sou atriz, sou prostituta e trabalho com…

Não não não o que está acontecendo agora é um assassinato, um apagamento da nossa identidade como travesti. Por favor não toquem em mim. Eu preciso de 3 minutos para falar com vocês. Se contrataram 4 mulheres e 3 homens, porque não contrataram 2 pessoas trans para fazer a personagem? Sabe porquê eu trabalho como prostituta? Sabe porquê eu tou chupando pau como Agrado e como Lola? Porquê não temos espaço para estar aqui neste palco neste lugar sagrado. Porquê se contratam 4 mulheres, 4 homens e não contratam 2 travestis? É por falta de dinheiro? Não. Todo o mundo aqui pagou. Eu faria de graça esse espetáculo. Semana passada eu trabalhava como prostituta e um homem apontou um revolver na minha cara e eu ia sendo morta. Sabe porque eu ia ser morta? Por causa disso. Por causa disso. Não estão dando oportunidade para uma travesti trabalhar. É por causa disso. Eu queria pedir para a produção dessa casa, para as produtoras que financiam a produção artística do Portugal sejam nossos aliados. Não contratem somente mulheres, homens, contratem travestis. Pelo menos subir ao palco para contar a nossa própria história, as nossas narrativas, porque isso pode custar as nossas vidas. Muito obrigada.


Qual é o nome do ator?

André Patrício. Tenha ética. Por favor, amanhã não retorne para esse lugar.


Maria João Luís: Querida, nós estamos aqui a fazer um espetáculo que defende a vossa luta.


Keyla: Não defende. Você está excluindo.


MJL: Eu não estou a excluír.


Keyila: Daqui, daqui eu vou para o parque chupar pau.


MJL: Eu trabalhei com atores trans desde os meus 18 anos. Eu adoro a vossa causa. Eu estou pela vossa causa.


Keyla: Então contratem uma travesti. Não é só uma travesti. São duas travestis em cena. São duas travestis. Porque isso pode custar a nossa vida. É a nossa vida. É a nossa vida. Isso não é uma representação. É a minha vida. Eu poderia ter sido morta na semana passada, porque eu não estou aqui. Por causa disso.


Keyla: Vocês estão comigo?


Você está comigo?


André Patrício: Eu entendo a tua posição.


Keyla: Voce tá comigo?


André Patrício: Tou contigo.


Keyla: Tá comigo? Tá comigo? Tá comigo?

São duas travestis.

São duas travestis.

São duas travestis.

Boa noite.


Gaya de Medeiros:

Eu quero que vocês entendam sinceramente e com generosidade de coração porque a liberdade de uma não é a liberdade de todas. Eu sou apenas o começo. Isso aqui não está como deveria estar. Mas acho que hoje esse ato da Keyla Brasil, uma artista que está na prostituição que esse ato entra na história de Portugal para que se entenda a importância que esses corpos ocupem esse espaço para contar as suas histórias. Isso não é contra o ator, não é contra o diretor. Isso é contra uma denúncia histórica de algo que vem acontecendo há muitos anos. É preciso ocuparmos esse lugar.


oca, oche, critica teatrale
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