«Se a un attore nero non è neppure concesso di interpretare Otello, a che ruolo dovrebbe aspirare?» si chiede Ntando Cele, in scena con Go Go Othello nella cinquantaduesima edizione di Santarcangelo Festival – un’edizione che, a detta del direttore artistico Tomasz Kireńczuk, vuole rendere conto della diversità di corpi, voci, contesti e prospettive che domina il contemporaneo. L’attrice e regista sudafricana fa riferimento all’inveterato utilizzo della black face per impersonare il protagonista shakespeariano, un problema che non investe solamente il teatro elisabettiano e che viene ciclicamente risollevato nell’opinione pubblica italiana, senza produrre conseguenze apparenti. È recente, infatti, la dichiarazione del soprano statunitense Angel Blue che ha cancellato il suo debutto all’Arena di Verona, atteso per il mese di luglio con La traviata, rifiutandosi di essere associata a un’istituzione che mette in scena, nello stesso periodo, la black face in un problematico allestimento dell’Aida.
In tutta risposta, l’Arena di Verona avrebbe invitato la cantante a tornare sui suoi passi, specificando la propria volontà di rispettare la sensibilità di ciascuno, pur obbedendo alla necessità di seguire una tradizione. La tara dell’opera in questione, che porta la firma di Franco Zeffirelli, consta infatti nella pratica di dipingere di nero il volto di una cantante bianca – interpretata da Anna Netrebko. Di fronte all’abbandono del cast di Blue, la reazione della platea mediatica si è espressa tra una deflagrazione di polemiche e l’invocazione del discusso politically correct, tanto che viene da chiedersi se l’astenersi dal trucco nero segnerebbe davvero un tradimento delle intenzioni di Giuseppe Verdi o se non ci sia modo per mettere in scena l’opera in un allestimento che dialoghi con l’attuale orizzonte estetico ed etico. Il senso di un repertorio classico non risiederebbe, forse, nella sua capacità di farsi ogni volta materia viva? O ancora: perché l'industria operistica non ha la cura di assumere cantanti neri per ruoli così spiccatamente connotati a livello culturale? Sono alcune delle domande che è inevitabile rivolgersi e che la stessa Cele, trascendendo dal contesto operistico italiano, si pone.
Appena mettiamo piede nello spazio del piccolo teatro all’italiana di Longiano, ci rendiamo subito conto che l’atmosfera è quella di uno spettacolo di cabaret. Tanti tavolini color rubino circondati da sedie, alcune panchette, luci rosate che rimandano al mondo dello strip club. Persino una palla da discoteca. Ci lasciamo abbacinare da questi luccichii ritmici, finché la performer non invade la platea.
Ma il suo sarà solo un breve preludio. Dopo pochi minuti, infatti, Cele abbandona la scena per lasciarci davanti alla proiezione di alcuni brevi estratti video e mostrarci, così, i suoi riferimenti culturali: la soprano Leontyne Price, la danzatrice, cantante e attrice Joséphine Baker, la cantante Nina Simone, la pop-star Cardi B, la comica e attrice Tiffany Haddish e, infine, l’attore e doppiatore James Earl Jones, famoso per la sua interpretazione di Otello, impegnato in un discorso su Desdemona. Rientrata in scena con un completo maschile, Cele legge un estratto da Otello che, sotto le note del pianista Simon Ho, presente sul lato destro del palco, si trasforma in uno spogliarello sul ricalco beffardo dei canoni machisti.
Inizia così Go Go Otello, uno spettacolo che intende decostruire la rappresentazione del corpo nero attraverso diverse tipologie di palcoscenico. La tragedia shakespeariana è il punto di partenza, la miccia che innesta il dubbio nell’artista, ma si trasforma presto nel pretesto per parlare della persistenza di stereotipi razzisti nel mondo dell'arte e per esplorare il corpo delle performer nere alla luce di esotismo, desiderio e sfruttamento, un’indagine che ha spesso caratterizzato la sua produzione artistica, nutrita da riferimenti specifici come Phoebe Boswell, Saidiya Hartman – autrice di Wayward Lives, Beautiful Experiments: Intimate Histories of Social Upheaval – e Paula Charles, con il suo Soul Stripping, punti di partenza essenziali, nello specifico, per il suo Go Go Othello.
Se nel teatro dell'antica Grecia per esprimere sentimenti e personaggi differenti era essenziale avere il viso coperto da maschere, oggi sembra che sia ormai l’intero corpo del performer ad assumere la funzione di “maschera”. Una maschera che si riflette nell’uso della voce, della postura e dei costumi e che, come nota lo studioso Friedemann Kreuder nel saggio “Maske/Maskerade” in Metzler Lexikon Theatertheorie, permette un gioco mimetico di identità, differenza e appropriazione, in un'oscillazione estetica tra verità e illusione. In questo senso, Go Go Othello si contraddistingue, oltre che per un carattere frammentario e una struttura basata su un alternarsi ciclico di backstage e onstage, per l’emersione in scena di Cele di volta in volta nei panni di un personaggio sempre diverso: ora cantante lirica, ora performer di burlesque, rapper, go-go girl, comica, pole dancer e ballerina di flamenco.
«Penso che dovrei essere in grado di parlare di qualsiasi cosa sul palcoscenico, non dovrei essere confinata a ruoli e spettacoli che parlano solo di razza, di pregiudizi e di quanto soffrono le persone di colore» dichiara la regista e attrice sudafricana al “Corriere Romagna”, affermando di utilizzare la molteplicità come cifra stilistica, in quanto affine al suo pensiero e unica soluzione per lei possibile di fronte alla difficoltà di parlare di pregiudizi.
Ebbene, è proprio in questa ricerca spasmodica di una varietà nei linguaggi e di personaggi che lo spettacolo incespica. A nulla serve il mettersi a nudo e il biografismo che si insinua tra le fratture delle varie maschere, di fronte a un carattere titubante della drammaturgia. Cele appare, infatti, indecisa tra il voler festeggiare la grandezza del teatro – il suo potere di liberarci di ogni piccola preoccupazione con lo scivolare nell'esistenza di qualcun altro –, il prodigarsi in un omaggio alle proprie icone e il mettere in scena un atto politico, appropriandosi di ruoli prima d’ora a lei preclusi. Viene, infine, da chiedersi se l’essenza dell’atto creativo non risieda in una scelta. In questo caso, tra ciò che si intende comunicare chiaramente e ciò che si preferisce soltanto suggerire, quando non rimandare a un’altra occasione per garantire una maggiore coesione dello spettacolo. Una scelta che Go Go Othello sembra ignorare.
Elementi di pregio: lo strip tease machista; l’allestimento del teatro Errico Petrella di Longiano; la qualità canora di Cele. Limiti: il carattere caotico di una drammaturgia viscerale; l’intermedialità vacillante; una molteplicità che non riesce a restituire uno sguardo prismatico, ma che confonde lo spettatore; la bassa qualità delle riprese nelle video-interviste proiettate.
Go Go Othello
Visto a Santarcangelo festival 2022, il 15 luglio 2022
performance Ntando Cele
ideazione e co-direzione Ntando Cele, Raphael Urweider
testo Raphael Urweider
composizione e musiche Simon Ho
loops&beats Michael Sauter
tour manager tecnico Pit Hertig
luci Maria Liechti
suoni Valerio Rodelli
assistente alla regia e sottotitoli Sandro Griesser
costumista Allen Owemigisha
coreografia Chera Mack
ideazione abiti Rudolf Jost
foto Janosch Abel
responsabile produzione e tour manager Boss & Röhrenbach
traduzione italiana a cura di Ilaria Patano
spettacolo sostenuto da Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia
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