Il pervinca è il colore protagonista de L’estinzione della razza umana (andato in scena al Teatro dei Filodrammatici di Piacenza), scelto quasi casualmente - o perché ricordava il grigio-azzurro del cielo sopra Milano - da Emanuele Aldrovandi, che presenta il suo secondo lavoro da regista e drammaturgo (il primo, Farfalle, ha vinto il premio Hystrio 2015, debuttando a New York per poi raggiungere l’Italia). Per Aldrovandi, un colore neutro e unico porta lo spettatore a percepire una realtà fittizia ma, allo stesso tempo, resa estremamente concreta tramite una drammaturgia intrisa di quotidianità, acume e ironia - tendente al tragicomico e al grottesco.
Nel breve scambio di battute tra regista, attori, il direttore artistico Jacopo Maj e pubblico si percepisce una sorta di allarmante profezia autoavverante: in psicologia e sociologia si parla di self fulfilling prophecy quando le convinzioni – positive o negative – di un individuo esercitano un’influenza tale sulla realtà da generare schemi di comportamento stabili e rigidi che, ripetuti nel tempo, non fanno altro che avverare ciò che prima era solo un pensiero, una supposizione.
«Abbiamo scoperto che il pervinca è il colore dell’anno!»
«E chi l’ha stabilito?»
«La moda. Certo non noi.»
Il color pervinca è soltanto una sineddoche rispetto all’intera profezia che L’estinzione della razza umana contiene.
Cinque attori, per un totale di otto personaggi, interagiscono nell’androne di un condominio (una struttura ad altezze differenti e praticabile dagli attori, composta da due finestre poste tra recinzioni per pollaio); due coppie fisse interrotte di tanto in tanto da un corriere sempre diverso, ma sempre interpretato da Riccardo Vicardi. Fuori dal palazzo, il mondo sta precipitando: gli esseri umani si stanno ammalando di un virus che trasmuta in tacchini. Alcuni sopravvivono e tornano ad avere sembianze umane, ma i più muoiono soffocati, a causa dello spuntare del becco. La popolazione è invitata – anzi, obbligata – a rimanere in casa e a non uscire per nessun motivo. Lo spettacolo prende vita da una discussione tra due condomini: uno vorrebbe andare a correre, stremato dall’imposta sedentarietà, l’altro fa di tutto per impedirglielo, tenendo alto lo scudo della “questione di principio”. Nel momento in cui entrano in gioco le rispettive consorti, la diatriba degenera, provocando un susseguirsi di accuse e conseguenti giustificazioni di matrice sofista: tutti hanno ragione, quindi tutti hanno anche torto. È giusto avere figli o occorre pensare che si è già in troppi sul pianeta? Se si vedesse cosa accade nei Paesi in cui si estrae il petrolio, continueremmo a utilizzare un’automobile? Questi sono alcuni esempi delle tante tematiche che emergono dalla lite, ma tutti portano, in conclusione, a un’unica ossimorica domanda: se la razza umana si estinguesse, non sarebbe un bene per il pianeta?
I martellanti dialoghi colpiscono perché specchio delle conversazioni che ognuno di noi ha probabilmente avuto almeno una volta negli ultimi tre anni e, seppur intrisi di una brillante comicità, non perdono la loro vena inquietante. Il confronto con Dati sensibili di Teodoro Bonci Del Bene, visto a Parma lo scorso 22 settembre, è per me inevitabile: se le tematiche delle due rappresentazioni sono pressoché identiche, diversi sono gli intenti. L’estinzione si colloca su un piano satirico-provocatorio, mentre Dati sensbili si accende di polemicità e allarmismo (giustificato). Il sarcasmo de L’estinzione risulta a mio avviso più efficace: proiettare uno spaccato di vita recente – il cui peso non si è ancora del tutto levato dalle nostre spalle – in maniera così lucida e dinamica porta lo spettatore a riflettere anche su quello che sta cercando di tralasciare.
Ho parlato di “allarmante profezia autoavverante” e ora ne chiarisco il motivo. Come lo stesso Aldrovandi chiarisce nelle note di regia:
«Quando ho iniziato a lavorarci [a L’estinzione della razza umana ndr], a gennaio 2020, ero appena diventato padre e mi stavo interrogando sul desiderio assurdo di generare altri esseri umani in un mondo che probabilmente non arriverà al 2050. Volevo scriverne attraverso personaggi che viaggiavano per il mondo, ma poi è arrivato il lockdown, io sono rimasto bloccato in casa e anche i personaggi, in un certo senso, sono finiti lì, nell’androne di un palazzo, durante una pandemia. Non volevo scrivere una cronaca del Covid – e infatti nel testo il virus è un altro – ma ho deciso di nutrirmi di ciò che stavo vivendo, prendendola come una sfida: partire dai litigi “da bar” o “da social network” – che tutti abbiamo dovuto affrontare, subire o alimentare – per raccontare cinque esseri umani nel periodo di passaggio all’età adulta, scavando dentro di loro senza pietà per trovare l’ultima cosa a cui si aggrappano, quando tutto sembra franargli sotto ai piedi.»
Emanuele Aldrovrandi aveva l’urgenza di scrivere questo spettacolo e la realtà si è offerta a lui: non era la necessità di raccontare di una società piegata dalla pandemia, bensì ingrandire, con la lente del teatro, il pensiero del singolo e le sue meschinità, i suoi dubbi e i suoi punti fermi che, solo con il mondo capovolto, sono venuti allo scoperto.
Nella scrittura, sia essa sceneggiatura, drammaturgia o letteratura, sono rari gli esempi dotati di tale lungimiranza e perspicacia – oltre che di un innato talento nel farsi portavoce schietto e sincero della realtà contemporanea, senza abbellimenti o patetismi, ma solo con l’autentica necessità di lasciare impresso il proprio messaggio (il testo è stato selezionato da Eurodram 2022, comitato che segnala le migliori novità drammaturgiche adatte alla circuitazione internazionale)
Se tutto è pervinca, solo l’essere umano-tacchino è multicolor.
Finché non accadono eventi che stravolgono le nostre vite, tutto rimane pressoché nell’anonimato (il pervinca), ognuno pensa a sé e certe discussioni e dinamiche non si creano (vedi le coppie protagoniste: fino a quando non ci si “sposta” dalla linea comune, le relazioni interpersonali sono in perfetto clima da “quieto vivere”). Il tacchino è multicolor (parola usata da Aldrovandi) perché frutto di tutte le sfaccettature, correnti di pensiero e comportamenti emersi con la pandemia.
Elementi di pregio: la scrittura e l’interpretazione degli attori.
Limiti: l’incipit non è stato molto convincente, il tono differisce dal resto della performance, ma il tutto si riprende quasi immediatamente.
L’ESTINZIONE DELLA RAZZA UMANA
visto il 10 ottobre 2022 presso il Teatro dei Filodrammatici di Piacenza
testo e regia Emanuele Aldrovandi
con Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia, Riccardo Vicardi
scene Francesco Fassone
costumi Costanza Maramotti
maschera Alessandra Faienza
luci Luca Serafini
consulenza progetto sonoro GUP Alcaro
progetto grafico Lucia Catellani
assistente alla regia Giorgio Franchi
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Associazione Teatrale Autori Vivi
In collaborazione con La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna
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