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  • Francesca Torre

Bastiano e Bastiana - Opera in Rivoluzione

“Siete pregati di tenere accesi i vostri cellulari per fare più foto e video possibili taggando il Teatro Nazionale di Genova e usando gli hashtag #TIR e #TeatroinRivoluzione”. Di sicuro non si tratta delle parole esatte, che ho tentato di parafrasare pur mantenendo il virgolettato, ma il messaggio che solitamente anticipa l’inizio di ogni spettacolo si è trasformato in un invito a fruirne come solitamente non siamo abituati. Nonostante ciò, la platea, composta da sedie rigorosamente distanziate, non si è riempita di luci: combinato disposto fra il venir meno del fascino del proibito, di un pubblico per età non così abituato a condividere su Instagram i momenti della propria giornata e della capacità di questo spettacolo di mantenere alta l’attenzione degli spettatori.

Come dichiarato da Davide Livermore, direttore del Teatro Nazionale di Genova, regista di questo Bastiano e Bastiana e ideatore del progetto TiR che quest’estate ha portato il teatro in luoghi non convenzionali nel cuore delle province liguri, “i teatri itineranti non li ha inventati nessuno, sono sempre esistiti”. Eppure non possiamo dire di essere avvezzi a un teatro che non solo trasferisce su una piazza di paese il rituale che tipicamente si svolge fra quattro pareti nel centro città, ma che si muove fisicamente verso le persone. Nulla a che vedere quindi con la formula del semplice festival estivo all’aperto, di norma stanziale e ormai radicato in un preciso contesto: da questo punto di vista, quindi, una vera e proprio rivoluzione, come da aspettative sottese al nome del progetto. Progetto che si è concluso proprio con quest’ultima replica di Bastiano e Bastiana, in piazza Claudio Ferralasco a Busalla.





Il nome “Mozart” sul boccascena del Tir trasformato in palcoscenico lascia poco spazio a equivoci non solo riguardo al compositore dell’opera, ma anche alla chiave di lettura dello spettacolo, orientata a restituire l’essenza della musica di Mozart e a ricostruire un ambiente scenico tipicamente settecentesco, richiamando quello che si pensa sia stato il luogo della prima rappresentazione: il giardino del celebre medico tedesco e cultore di alchimia ed esoterismo Franz Anton Mesmer, nonché presunto committente dell’opera. Eppure, nonostante queste premesse, lo spettacolo di Livermore si tiene ben lontano dall’aria spesso stantia che emana la regia d’opera “tradizionale”, strettamente vincolata alla proposta di una messa in scena attinente a quelle dell’epoca in cui l’opera è nata: lo dimostrano sia lo svelamento, in più momenti, degli artifici scenotecnici, sia la scelta di inserire una controparte comica, incarnata da 4 personaggi/maschere interpretati da Paolo Li Volsi, Cristiano Dessì, Sergio Gil e Valentina Virando.

Attraverso intrusioni metateatrali che non di rado mettono alla berlina il teatro nell’accezione accademica e borghese e trovate comiche che affondano le radici nei lazzi da commedia dell’arte rivisti alla luce della cultura popolare contemporanea,

è proprio questa componente comica a guidare le sorti della vicenda e a definire i contorni entro i quali si muovono i cantanti, giovani quanto convincenti nei panni da loro interpretati: Giorgia Rotolo (Bastiana), soprano che passa con disinvoltura dal canto a uscite in dialetto genovese, il baritono Jorge Eleazar (il mago ciarlatano Colas) e il tenore Valentino Buzza (Bastiano).


A dispetto delle apparenze e di una tradizione dell’opera che nel tempo si è codificata e cristallizzata assumendo gli stilemi del melodramma, è proprio quest’ultima la scelta più “filologica”, manifestando la volontà di recuperare ed enfatizzare la matrice popolare e prettamente comica propria del singspiel.

Tutto ciò ovviamente non sarebbe stato possibile senza la musica di Mozart, eseguita, in forma ridotta rispetto all’organico previsto dalla partitura, dal quintetto d’archi del Teatro Carlo Felice, l’ente grazie alla cui collaborazione è nato il TiR, prima prova per il neo direttore del Teatro Nazionale di Genova e che, nonostante il periodo di incertezza, mantiene alte le aspettative per la nuova stagione. Ultima, ma non meno importante, la direzione di Aida Bousselma, che pur rimanendo al cembalo viene coinvolta nell’azione scenica in un’occasione, rompendo quella frattura fra palco e orchestra già resa precaria da un’orchestra ben visibile e non, come siamo abituati, confinata nel golfo mistico.


Elementi di pregio: macchina teatrale ben oliata, prove attoriali convincenti e divertenti.

Limiti: i rumori ambientali di una location non convenzionale, che compromettono una fruizione ottimale dello spettacolo.


oca, oche, critica teatrale
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