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  • Irene Buselli

Fine dell'Europa


Sette prologhi e un finale: la struttura episodica di Fine dell'Europa, costituito da otto quadri indipendenti in incessante dialogo tra loro, è una marca stilistica del drammaturgo argentino Rafael Spregelburd - conosciuto in Italia soprattutto per le regie curate da Luca Ronconi di due delle sue pièces di Heptalogía de Hieronymus Bosch.

Questa costruzione narrativa consente all'autore di creare un alternarsi caotico ma sistematico di punti di vista, una sfilata di possibili "fini": la fine dell'arte, della nobiltà, della sanità, della famiglia, dei confini, della storia e della realtà. Su questo, infatti, si concentra lo spettacolo: l'idea stessa della fine, come termine fisiologico degli eventi o come illusione annunciata; fine che Spregelburd riesce a portare in scena senza mai assumere toni profetici, facendo spesso, invece, ricorso all'ironia, giocando continuamente su più livelli di significato.

I dieci giovani attori che si avvicendano sul palco - interpretando di episodio in episodio personaggi anche molto diversi tra loro - aggiungono un ulteriore elemento di discontinuità recitando in francese, tedesco, italiano, spagnolo, turco, rendendo ancora più vivida l'immagine di un'umanità eterogenea che, nel tentativo quasi ridicolo di sopravvivere a se stessa, talvolta si serve delle diversità per giustificare qualunque contrasto; così, in scena, il chirurgo svizzero si occupa quasi con fastidio della paziente belga, lo sforzo della cantante tedesca che cerca di tradurre il significato della sua canzone viene coperto dal chiacchiericcio superficiale di una telefonata. Eppure, un confine è solo «un incidente tra due masse corporee», i fraintendimenti del linguaggio solo una scusa: «scusatemi, 'pedofilo' dalle mie parti significa 'tipo cool'», insinua provocatoriamente il professore in crisi di fronte a quella che sembra «la fine dell'arte».

Ma non è solo la lingua a generare incomprensioni: le otto fini raccontate da Spregelburd cercano di mettere in luce le criticità di un'Europa fatta di consumi e calamità mediatiche, disinteresse e spiriti conservatori, riuscendo a farlo perlopiù senza moralismi.

Sebbene non tutti gli episodi riescano a essere ugualmente incisivi, l'attenzione del pubblico si mantiene viva per tutta la durata dello spettacolo, che si muove senza difficoltà tra il teatro dell'assurdo e quello della catastrofe (per definizione stessa dell'autore), suscitando spesso il senso del ridicolo di fronte a contraddizioni quasi tragiche.

Il gioco di analogie e codici ironici, che si mantiene nei sette "prologhi" quasi sottocutaneo, esplode nell'episodio conclusivo in una più evidente convivenza di farsa e attualità: "Europa" è una serie tv di infima qualità coprodotta da vari stati europei, di cui alcuni produttori americani hanno appena comprato i diritti. La fine dell'Europa è quindi quella di una telenovela senza futuro, nutrita solo di stereotipi e messaggi estremamente goffi, una fine annunciata il cui vero annuncio, tuttavia, scatena il desiderio di resistere.

«Nonostante il successo ottenuto in passato i produttori decidono di chiudere la serie. La trama è diventata insostenibile, i costi di produzione sono inaccettabili. Un gruppo di assistenti tenta invano di arrestare il progressivo sfacelo di questa fiction tanto amata dal pubblico.»

Lo spettacolo si chiude su un'apocalisse grottesca, l'Europa finisce come Atlantide sotto gli occhi indifferenti dello stesso Dio che prima aveva voluto salvarla; e sotto quelli del pubblico che, in platea, fatica a smettere di ridere.

Elementi di pregio: l'ottima interpretazione degli attori, la capacità del testo di proporre suggestioni sempre nuove per tutta la durata dello spettacolo.

Limiti: In alcuni episodi la dimensione del “non detto” risulta più debole, rendendo il gioco delle metafore a tratti eccessivamente didascalico.

Testo e regia di Rafael Spregelburd

Produzione: Teatro Stabile di Genova, Comédie de Caen - CDN de Normanidie, Comédie de Reims-Théatre de Liège.

Visto il 15/10/17 al Teatro Duse.

Durata: (versione integrale) 250 minuti.

oca, oche, critica teatrale
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