Un neon blu colpisce i profili dei due coniugi e Vanessa Scalera, nei panni di Vanda, inizia a leggere nove delle tante lettere indirizzate al marito Silvio Orlando (Aldo). «Se te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie»; la voce dapprima pacata ed implorante di lei passa come in una sinfonia attraverso la rabbia, la derisione, la disperazione, la speranza e il ricatto.
Lacci, adattamento a partire dall'omonimo romanzo di Starnone, è il racconto di un dramma generazionale. Due giovani si ritrovano sposati troppo presto e con due figli da crescere. Lui si trasferisce a Roma per insegnare e lì conosce la libertà di reinventarsi una vita con un'altra donna, lei invano gli mette davanti le sue responsabilità, i lacci che legano un padre di famiglia, ma solo dopo anni di assenza lui ritorna e scopre qualcosa mai provato prima: la paternità. Sicuramente troppo tardi.
Armando Pugliese con Lacci entra nelle crepe della famiglia borghese e attraverso tre quadri ci racconta lo stesso episodio - la fine di un amore - da diversi punti di vista.
I lacci logori del matrimonio, che trattengono e si sciolgono, stringono e si allentano, sono il pretesto che guidano lo spettatore nell'essenza sgrammaticata e "acronologica" del racconto - simile a quella di un puzzle film.
Dopo il monologo di Vanda, la luce si spegne e dalla porta entrano i due coniugi riuniti. Trovano la casa, quella dai muri candidi, delle cornici vuote e dagli alti scaffali ordinati e colmi di segreti, completamente sottosopra. In poco tempo si rendono conto che nulla è stato rubato, che qualcuno si è semplicemente divertito a rovistare nei loro armadi e nella loro immensa libreria. Così, mentre la moglie si riposa dallo shock, aiutato dall'amico e vicino Nadar - un poco convincente Roberto Nobile, quasi totalmente privo di spessore -, Aldo mette in ordine la casa devastata e si ritrova a confessargli il motivo della loro passata crisi. Silvio Orlando si spoglia davanti al pubblico in modo goffo ma senza vergogna e ci parla della gioia di uscire dal laccio soffocante del tetto coniugale. Era innamorato di Livia, la giovane donna che aveva ridato improvvisamente un senso, una direzione alla sua vita, la stessa che pensava l'avrebbe stancato dopo un'intera stagione, ma di cui conserva tutt'ora le foto; nascoste in una scatola a forma di cubo rappresentano il compromesso su cui si regge il matrimonio: qualcosa che bisogna tacere per stare insieme e l'unico rifugio per la routine quotidiana.
«Ma allora se Livia era così fantastica perché sei tornato?» gli chiede Nadar.
E' stata colpa dei lacci. I lacci della famiglia non si possono sciogliere, Aldo se ne rende conto quando durante una visita sporadica si commuove nel scoprire di aver tramandato una cerimonia al figlio, il modo stravagante di allacciarsi le scarpe. Aldo è tornato per un paio di lacci, ma a pagarne le conseguenze sono i figli, protagonisti del terzo e ultimo quadro. «Ai figli finisci in ogni caso per fargli del male» dice Anna al fratello. Entrambi quarantenni appaiono in scena trattenuti da una sofferenza che li rende infantili nelle loro scelte: cresciuti nel disamore, l'una rifiuta l'istituzione del matrimonio, l'altro ha tre famiglie e non ne rinnega nessuna.
Armando Pugliese riesce a rinnovare la storia del declino dei sentimenti di un matrimonio comune attraverso una struttura e un intreccio del racconto assai originali, rendendo con lucidità e chiarezza uno dei drammi dell'età contemporanea.
Elementi di pregio: la narrazione tripartita e "acronologica", le meravigliose lettere scritte da una donna tradita, la recitazione di Scalera e di Orlando, di spicco rispetto agli altri attori.
Limiti: l'eccessiva caratterizzazione di alcuni personaggi che toglie autenticità alla storia.
dal romanzo omonimo di Domenico Starnone
Regia di Armando Pugliese
Produzione Cardellino srl
Con Silvio Orlando, Pier Giorgio Bellocchio, Roberto Nobile, Maria Laura Rondanini, Vanessa Scalera, Matteo Lucchini
Teatro dell'Archivolto, sala Gustavo Modena
durata 105 minuti
Visto il 9 Novembre
Comments