0. «Il lavoro sulla leggerezza è un lavoro sul peso»*
Quello che state per leggere non sarà una cronaca ordinata di quanto visto e vissuto durante i giorni di osservazione presso il Workshop di Contact tenuto da Joerg Hassmann nell'ambito delle iniziative di Resistere e Creare | Pubblico Corpo – rassegna curata da Teatro della Tosse e Balletto Civile a cui l'O.C.A. ha dato ampio spazio a dicembre.
Troppo tempo è passato dal fatto perché una cronaca sia ancora vivida. Troppo poco, invece, se pensiamo non a un fatto, ma a un'esperienza, troppo poco davvero il tempo per farla sedimentare e crescere in un pensiero più organico e ampio.
E allora come si risolve. Come si possono raccontare i giorni in cui il gruppo che ha lavorato con Hassmann, un nutrito collettivo di anime diverse, non solo genovesi, ma provenienti da più parti d'Europa, ha saputo convivere con un critico, un non addetto ai lavori, una sorta di straniero?
Come spiegare lo stupore dei ragazzi che componevano il cerchio durante il loro consueto confronto, dopo una sessione di lavoro pomeridiano, quando mi sono presentato appunto come critico, uno stupore assai nuovo rispetto a una consolidata tradizione teatrale per cui, in fondo, una compagnia il critico di turno lo accetta sempre, nel bene o nel male, e quasi se lo aspetta.
Stavolta, invece, si è attivato un processo profondo, si è dato – finalmente? - un peso alla parola critico, in quanto specialista della crisi: a quale crisi quest'uomo è interessato? Cosa cercano i suoi occhi, in un contesto in cui tutti fanno parte di un gioco di cui conoscono perfettamente le regole, tutti sono dentro e nessuno è fuori e chi si chiama fuori, per scelta o per riposarsi, pone il proprio giudizio in una dimensione estranea ai parametri comuni? Il gruppo si è confrontato, a lungo e mediando posizioni divergenti, ovvero ha lasciato entrare nel proprio processo di lavoro la nostra richiesta di O.C.A., l'esigenza di conoscere, l'ha fatta propria e alla fine l'ha accolta. Di fatto, questa consapevolezza ha valorizzato la funzione stessa di critica, responsabilizzando la presenza, la visione, la pratica di un racconto.
Da qui bisogna partire, dal peso di una parola, dalla trasformazione di essa in qualcosa di diverso. Di leggero
1. «Danzare richiede un cambio di ruolo tra chi dà e chi riceve»
Il fruscio degli abiti dei partecipanti al workshop, che attraversano lo spazio nel silenzio concentrato della ricerca, ha l'effetto sonoro ed emotivo di un'unica carezza. In modo discontinuo, ora improvviso come una fiammata, ora lento come un mulino, vedo prendere vita una danza senza musica, a coppie, un'esplorazione dei confini propri e altrui. Il livello profondo di questa danza è la messa in relazione del proprio peso con quello dell'altro, idealmente, gradualmente, in modi difficili da raccontare o prevedere. Sarebbe troppo facile usare il termine affidarsi, qui la direzione è più dinamica, si attiva tramite un'altra parola, bumping, rimbalzare, perché davvero questa ricerca di rapporto tra peso e leggerezza si cerca sperimentando il rimbalzo del proprio corpo in quello dell'altro – «Molto del rimbalzo viene dal lasciare apertura nelle articolazioni», aggiunge Hassmann –, con un tono muscolare «delicato».
2. «Le voci che si liberano, da dove vengono?»
Quando non si danza e non ci si confronta nel cerchio, il luogo dove si annullano le distanze e dove le parole provano a raccontare quello che ha o non ha funzionato, si può praticare, sempre a coppie, il bodywork, che non è sufficiente definire un massaggio: sembra piuttosto una cura reciproca, in cui dare e ricevere costituiscono un'unica azione. Un corpo abbandonato all'ascolto, all'osservazione, al tocco del partner, rivela ancora segreti sul discorso peso/leggerezza, è una ricerca del piacere, ma contemporaneamente del funzionamento organico stesso del corpo di cui ci si sta prendendo cura.
Una mano a supportare il collo, l'altra sulla nuca, nessuno sforzo. «Le voci possono articolarsi.», interviene Hassmann, «Quando offriamo qualcosa, ci fa piacere sapere che funziona. E invece se c'è qualcosa che non funziona, si può fare qualche suono di non apprezzamento»
E man mano che l'invito viene raccolto dal gruppo, iniziano effettivamente a liberarsi suoni, i corpi sembrano aprirsi o forse gli organi interni non sono più ostacoli, ma anzi, morbidi, lasciano risuonare, attraverso il respiro, delle voci - non parole, ma espressioni inequivocabili - semplici, quasi infantili, di piacere o di difficoltà: autentici racconti, a loro modo, di un corpo inteso come unico organismo.
E poi? Poi ci si scambia, naturalmente.
3. Pausa
Si avvicina a me una partecipante del Workshop, in un momento di pausa.
«Qual è la tua ricerca?», mi chiede.
«Il mio è un lavoro sull'osservazione. Su come l'occhio possa essere leggero, pesante, un esercizio per insegnare alle parole a restituire un tessuto connettivo naturale.»
Mentre ascolta la mia risposta, mi chiedo: come può esserle utile un lavoro come il mio? Chi è il reale destinatario di questo racconto?
Chi non c'è, mi rispondo. Devo ricambiare l'onore dell'accoglienza e farmi ponte per chi non ha idea di cosa sia successo qui, in questi giorni.
Qual è la tua ricerca, mi ha chiesto.
«E qual è la tua?» le restituisco la curiosità.
«Io non ricerco niente. È un piacere.»
«Una presenza?»
«Sì. Un andare oltre i propri limiti.»
«Un'espansione.»
Evidentemente le mie parole non risuonavano rispetto alle sue, io alludevo a una condizione fisica, ostaggio del mio sguardo, lei, togliendo peso eppure scavando insieme, puntava all'essenziale, alla sensazione generale, alla direzione del proprio processo.
Mi guarda e annuisce.
«Grazie» aggiungo.
«Grazie a te» conclude e torna nel gruppo.
4. «Una disciplina»
La Contact a cui ho assistito non ha prettamente finalità estetizzanti, benché la grazia e la fluidità del movimento siano dirette conseguenze della luce irradiata dal corpo e dalla chiarezza del suo processo. Può avere una qualche relazione con l'arte performativa, questo sì, ma solo nella misura in cui la danza non è oggetto dell'esibizione, ma condizione emotiva per una condivisione autentica – dato brillantemente dimostrato dallo stesso Hassmann nella restituzione pubblica del proprio percorso di Workshop, davanti a una platea curiosa e coinvolta. E, fatto assai singolare, nella Contact, mi pare davvero che il ritmo non conti come in altre danze. Non c'è un tempo tiranno a cui obbedire, non c'è un posto in cui bisogna arrivare, uno schema da seguire. Anzi, alcuni tra i momenti più emozionanti dell'intero processo di lavoro sono stati innescati da inviti alla rottura, alla predisposizione all'imprevedibile: «Se trovate un ritmo che funziona, non siate troppo timidi nel romperlo» e «Non abbiate paura di sentirvi persi qualche volta, di non sapere cosa dovrebbe succedere o non succedere». Richiede, dunque – e non chiede poco – di fondare un patto di fiducia anche sul concetto di errore.
L'individuo, che si lavori in coppia, in tre, in quattro o in un contesto di gruppo, è chiamato a prendersi il proprio tempo e il proprio spazio, ha il controllo e la responsabilità di sé, il ritmo diventa quello dei propri processi. Possono crearsi anche dinamiche per cui si scopre improvvisamente un volto rigato da lacrime: è un passaggio, qualcosa che si è liberato nello scambio, nel contatto. E a volte, invece, non si innesca nulla, nonostante la fiducia reciproca, l'intensità, la qualità del tocco e del movimento.
Davanti ai miei occhi, accade comunque sempre qualcosa: un processo fluido, che può essere intimo, ludico o le due cose insieme.
Se su un piano concreto, quasi fisiologico, la direzione sembra quella, per nulla banale, di «trovare un modo semplice per permettere alla propria spina dorsale di espandersi», il senso profondo di questa danza – «una disciplina», dice Caterina Mocciola, che assiste, coordina, traduce e pratica, instancabile, per tutta la durata del Workshop – sta in un'illuminante immagine di Hassmann, una delle molte disseminate lungo i tre giorni, il senso di questa ricerca, per nulla utopistica: «una connessione miracolosa che porta in qualunque posto.»
Un posto di cui prendersi cura, anche con le parole.
*I virgolettati all'inizio dei paragrafi e all'interno degli stessi sono citazioni dirette di interventi di Joerg Hassmann durante i diversi processi di lavoro, estrapolati e riordinati da me al fine di ricostruirne un percorso generale. I contesti in cui queste frasi sono state pronunciate erano sempre quelli della danza e del bodywork, coerenti con ciò che accadeva in quel momento. Il titolo del quarto paragrafo, invece, riprende un'espressione dell'assistente Caterina Mocciola.
Lightness & Clarity | Workshop con Joerg Hassmann
assistenti Caterina Mocciola e Filippo Serra
Genova 7-10 Dicembre 2017
Resistere e Creare | Pubblico Corpo
Teatro della Tosse
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