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Claudia Burzoni

“Cara mamma…” | Secondo giorno a "Quando la terra dorme"

C’è un paesino, con la sua storia.

Ci sono persone che raccontano le loro, di storie.

Arrivano le attrici, che raccolgono le storie.

Tutti raccontano tutto, ma tutti tacciono riguardo a una donna.

Tutte le storie, ma non quella riguardo la donna.

Si cammina, si seguono le attrici e si ascoltano le storie.

Ci si ferma davanti a una casa. “Cara, mamma…” L’attrice non può proseguire. Tre signore iniziano a piangere davanti a quel portone.

I loro singhiozzi si disperdono per il corteo. Come le venature di una foglia rossa.

Era la casa di quella donna.

La loro mamma.


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Solo le domande semplici hanno il potere di essere spiazzanti. Ed è proprio da un semplicissimo, apparentemente innocuo interrogativo che è nato questo aneddoto.

Il nostro primo incontro di oggi è avvenuto con Eleonora Luciani, dottoranda in Storia del Teatro presso l’Università dell’Aquila, che ha avviato la discussione chiedendoci: «Qual è l’ultima, o magari la prima, immagine che vi viene in mente quando dico la parola “teatro”?». La domanda è rivolta anche a chi legge queste righe.

Ci avete pensato?

Bene, custodite questo fotogramma. Ora, un’altra: «Si può parlare di un “teatro” senza attori? E di un teatro senza spettatori?».

Forse non esiste una risposta univoca, poiché ognuno ha la propria idea, la propria motivazione che l’ha condotto a rispondere. Ma posso darvi le mie, di risposte. La prima immagine che mi si è parata davanti alla parola “teatro” è stata quella di una platea vuota, composta da tante sedie di velluto rosso. Mentre, alle altre due domande ho risposto: no e no. Eppure, perché ho pensato subito a un teatro vuoto se, per me, il teatro non può esistere senza qualcuno che performa e un altro che osserva? Il vuoto è simbolo di attesa, è presagio di un desiderio e, questo desiderio, viene esaudito nel momento in cui avviene l’incontro. Il teatro è unione, sia esso un abbraccio o uno schiaffo, ma di un contatto sempre si tratta, tra chi agisce e chi osserva o interagisce in altro modo. È un hic et nunc irripetibile.


Il paesino è Cellino.

I suoi abitanti si raccontano.

Ma non menzionano mai la signora Lilliana, che ha avuto sei figli,

che a loro volta hanno avuto altri figli, popolando quasi l’intero paese. Lilliana è come la quercia di Cellino, ma da qualche anno non c’è più.

Sara e Valentina, di Teatro Vagante, giungono a Cellino

e ascoltano le storie del paese. Tante storie, ma non quella di Lilliana.

Lo spettacolo si snoda proprio tra quelle strade.

Si arriva davanti alla casa della signora, ma

Sara e Valentina non sanno chi l’abbia abitata.

“Cara, mamma…” dice Valentina,

ma non può proseguire,

perché le figlie di Lilliana cominciano a piangere.

I loro singhiozzi diventano, inaspettatamente,

parte di quel momento.

È il qui e ora. E forse, mai più.

Era la casa ormai abitata da altre persone,

ma che è rimasta “la casa di Lilliana”. Cara mamma.


Sotto il sole sfumato di nuvole grigie, ci incamminiamo verso la conferenza stampa di presentazione del progetto Quando la terra dorme, a cui hanno preso parte, oltre a Sara Gagliarducci e Valentina Nibid di Teatro Vagante, Roberta Gargano, responsabile di comunicazione e marketing del Teatro Stabile d’Abruzzo, che già abbiamo incontrato ieri, Doriana Legge, docente dell’Università dell’Aquila e responsabile dell’Incubatore di Creatività (istituzione pensata per sostenere progetti culturali in ambito universitario), Paolo Federico, sindaco di Navelli, di cui il borgo di Civitaretenga - che ci ospiterà nei prossimi giorni - è frazione, e Gianni Padovani della onlus Antonio Padovani. Una conferenza sintetica, elegante, chiara e concisa, da cui è emersa l’importanza di riscoprire i luoghi di una “bellezza enorme e, forse, inesplorata” attraverso progetti culturali altrettanto significativi.


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Al termine della giornata, il concetto di riscoperta viene riconsiderato sotto un’altra lente, quella dell’economia e dello sviluppo sostenibile. Il professore Piero Carducci, parla con limpidezza di aree interne, del tempo che vi si impiega per raggiungere l’ospedale più vicino, delle materie prime da cui si deve ripartire, insomma di paesi come Civitaretenga che si spopolano. Ora, occorre un modo per ricondurre i giovani verso questi posti magnifici, ma dimenticati, e Teatro Vagante li sta portando a Civitaretenga: mentre leggerete saremo già in cammino, perché venerdì, il 28 luglio, avverrà una grande festa.

Un grande incontro.

Per citare Eleonora Luciani, rivolta agli studenti e alle studentesse del progetto: «Quella sera, sarete anche voi teatro».


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oca, oche, critica teatrale
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