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  • Marco Gandolfi

Father and son


Claudio Bisio in "Father and son"

Esiste un imbarazzo di fondo in questo Father and son che comincia dal titolo: ispirato a due testi di Michele Serra ("Gli sdraiati" e "Breviario comico"), sceglie di chiamarsi come l'oggetto del suo contenuto, in una lingua che non gli è propria, citando l’omonima canzone di Cat Stevens. Ma il conflitto che questa racconta è solo parzialmente sovrapponibile al testo, quasi finendo per denunciare uno spiazzamento: lo spettacolo è una sorta di ambiguo ibrido, difficile da catalogare. In esso coesistono tanti aspetti, ma in maniera irrisolta, senza omogeneità.

Quella preponderante è l'anima cabarettistica di stampo televisivo - degnissima e sicuramente divertente - con tanto di accompagnamento musicale in scena. È la naturale incarnazione del Claudio Bisio personaggio, più che attore, ed è quella che strappa le risate e gli applausi. Accanto ci sono i monologhi, che si dividono a loro volta in leggere satire della quotidianità padre-figlio nel mondo contemporaneo e in appelli pieni di sentimento a un rapporto incerto e oscillante nelle rispettive istanze.

Sembra infatti che Father and son descriva un’ambiguità fondamentale nei ruoli: padri che non sanno essere padri, figli che non sanno essere figli, in uno svuotamento di senso delle etichette e delle parole; è la stessa mancanza di precisione che lascia lo spettatore incerto su cosa sia lo spettacolo cui sta assistendo. Nel caso del rapporto padre-figlio sembra perdurare solo un vago sentimento di attaccamento indefinibile: il momento migliore dell'intero spettacolo è quando il padre smarrito si sente chiamare "papà" e realizza quanto lontani siano nome e pratica. Per la rappresentazione più in generale, sicuramente in maniera meno positiva, resta invece uno sguardo dolceamaro connaturato alla nostra realtà quotidiana, che viene assediata e contenuta in scena dai numerosi intermezzi comici, contrappunto che si trasforma in centro, forse alla una ricerca di un’amnesia consolatoria?

Claudio Bisio

In un certo senso, e al di là delle intenzioni, si potrebbe anche lodare questa comunanza di intenti verso l'ambiguità, l'indecisione: sia nel rapporto tra padre e figlio, che nella messa in scena. Si tratta ovviamente di un paradosso: preso interamente lo spettacolo è irrisolto, le sue singole componenti non amalgamate, da cui segue una specie di disagio, specialmente durante i lunghi applausi finali, probabilmente dedicati alla naturale simpatia dell'interprete.

Gli interventi musicali in scena servono sia da commento che da intermezzo e risultano a volte un poco invadenti. Claudio Bisio mostra una discreta gamma di toni, senza esagerare, senza allontanarsi troppo dal suo stile televisivo. Regia e scenografia modulano i tempi e gli spazi in funzione di una giustapposizione senza armonia, reiterando il problema originale.

Sarà un caso che uno spettacolo dedicato ad analizzare il rapporto padre-figlio ai nostri giorni finisca come risucchiato dalla stessa incertezza e indeterminatezza che, secondo il sentire comune, è la cifra del nostro oggi?

Elementi di pregio: il brio comico del cabaret di Claudio Bisio.

Limiti: la mancanza di elaborazione verso una armonia delle diverse componenti teatrali.

Visto il 20 gennaio 2018, Teatro Stabile di Genova.

Testo: Michele Serra.

Regia e drammaturgia: Giorgio Gallione

Produzione: Teatro dell’Archivolto

Interpreti:

Claudio Bisio

Laura Masotto, violino

Marco Bianchi, chitarra

Scene e costumi: Guido Fiorato

Musiche: Paolo Silvestri

Luci: Aldo Mantovani.

oca, oche, critica teatrale
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