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  • Marco Gandolfi

Enrico IV | Mise en abyme


«Guai se voi affondaste come me a considerare questa cosa orribile, che fa veramente impazzire: che se siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi - come io guardavo un giorno certi occhi - potete figurarvi come un mendico davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell'altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca...» Luigi Pirandello, Enrico IV. Nel momento in cui Carlo Cecchi - che adatta, dirige e interpreta questa geniale versione di Enrico IV - si rivolge direttamente al pubblico apostrofando malamente uno spettatore per aver fotografato la scena, la platea si paralizza. Il tempo si arresta svelando in un istante tutto il carico di significati in corto circuito del celebre testo pirandelliano; parte un applauso isolato e insistito dalle prime file. Gli altri spettatori si chiedono: c'è davvero qualcuno che sta fotografando o anche questo fa parte della messinscena? Gli applausi isolati sono combinati o veri? In questo momento siamo semplici osservatori esterni o qualcosa è mutato anche per noi? Enrico IV esplora il nesso tra pazzia vera e dissimulata, tra recitazione e vita; attraverso un gioco di specchi vuole svelare il perturbante che va evocato in scena per gettarci - spettatori e attori assieme - nella scomoda posizione interrogativa circa la nostra identità. L'adattamento di Carlo Cecchi si spinge in questa direzione accumulando in modo barocco i piani interpretativi e riuscendo a rimanere fedele allo spirito originario del testo. In questa sorta di mise en abyme teatrale a cosa stiamo assistendo? Allo stesso tempo allo spettacolo Enrico IV e alle sue prove; a una sgangherata eco dei topoi pirandelliani e alla loro lucida incarnazione come nella scena dello spettatore fotografo. L'espediente dei copioni in scena, con cui gli attori suggeriscono le battute del testo di Enrico IV l'un l'altro, è il simbolo più efficace di questa amplificazione infinita dell'eco originario. La riflessione di Pirandello sulla maschera e sull'identità ha intrinsecamente connotati meta-teatrali, con il personaggio di Enrico IV in bilico continuo tra la malattia e la sua recitazione. Così vedere Carlo Cecchi farsi suggerire in scena le battute di Enrico IV nella sequenza in cui il suo personaggio recita la propria pazzia in modo imperfetto, crea una risonanza indelebile. Sancita e consacrata poco dopo visivamente: il protagonista siede su un trono improvvisato, spalle al pubblico che lo osserva attraverso lo specchio posto in fondo alla scena. Perché qui tutto è la propria parodia, un simbolo che sta per se stesso e rimanda a niente. Come Andy Warhol parlando di sé: «Se volete sapere tutto su Andy Warhol, guardate solo la superficie: dei miei dipinti, dei miei film e di me, eccomi là. Dietro non c'è niente.» Dietro la pazzia di Enrico IV non c'è nulla: solo la pazzia di definirsi con un'identità, una qualsiasi. La recitazione oscilla tra lo sgangherato e l'aulico, una moltiplicazione di registri che prova a incarnare la vita, non a imitarla sembra dirci Enrico IV, perché il teatro stesso è fuori scena, in platea. Carlo Cecchi riassume alla perfezione questa imprecisione del riflesso, questo dialogo tra ombre che si credono corpi: forse i veri pazzi sono quelli che neppure sanno di recitare un ruolo e sono intrappolati tanto quanto Enrico stesso? Lo specchio che chiude la scena viene metaforicamente mandato in frantumi da questa rimodulazione del testo pirandelliano. I frammenti rivelano solo la natura di questo meccanismo imitativo, moltiplicando senza fine uno sguardo che osserva se stesso. La chiusa sbrigativa dello spettacolo rimanda alla necessità di riposarsi per la recita del giorno successivo, gli spettatori applaudono. Elementi di pregio: brillante adattamento e rivisitazione dello spirito di Enrico IV; raffinate scelte registiche.

Limiti: quelli - umani, troppo umani - del teatro. ENRICO IV

di Luigi Pirandello adattamento e regia Carlo Cecchi con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò e con Dario Caccuri, Edoardo Coen, Vincenzo Ferrera, Davide Giordano, Chiara Mancuso, Remo Stella scene Sergio Tramonti costumi Nanà Cecchi luci Camilla Piccioni

produzione Marche Teatro

oca, oche, critica teatrale
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