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Federico Pedriali

Fattoria Vittadini_Lab


Per generare un corpo in movimento è necessario costruirsi daccapo, ripartire dalle ossa e dallo scheletro, recuperare il respiro.

Il Fattoria Vittadini_Lab, workshop organizzato dalla compagnia Fattoria Vittadini e diretto dalla co-fondatrice Chiara Ameglio, per me comincia così, con l'immagine di uno scheletro - il mio scheletro - disteso al suolo. Ci troviamo in una saletta riscaldata della Falegnameria del Teatro della Tosse: per tutto il tempo io e i miei quattro compagni di lavoro saremo sotto la guida di Chiara.

Si parte: cerchiamo sin da subito di assottigliare la non corrispondenza quotidiana fra pensiero e azione, di rendere il corpo trasparente. Ci immaginiamo senza pelle e muscoli, un'architettura di ossa retta da alcuni princìpi fisici essenziali. All'improvviso gli scheletri stesi al suolo si animano per magia, assumono forme varie, trovano un ritmo nel respiro ed esplorano i propri limiti.

Nel procedere del lavoro ho l'impressione di seguire un preciso percorso evolutivo: dalla struttura al corpo, dalle ossa scopriamo i muscoli. Siamo bambini che imparano a muoversi: portiamo il peso in avanti, cadiamo, di nuovo ci spingiamo nell’esplorazione dei nostri limiti. In breve tempo siamo di nuovo interi, abbiamo abbattuto il corpo quotidiano per ricostruirlo extra-quotidiano: la seconda parte del workshop ora può cominciare.

Si riparte: cosa può fare un corpo immerso nello spazio fisico? La risposta, a mio parere, può essere duplice, ma, al tempo stesso, univoca: esplorare il mondo che lo circonda o esplorare un altro corpo a lui simile, in ogni caso esplorare per esplorare se stesso.

Cerchiamo di adottare entrambi gli approcci: dallo spazio personale passiamo allo spazio di condivisione.

Chiara ci parla delle relazioni come di passaggi di energie: tra più corpi l'azione funziona al meglio quando è un tutt'uno col pensiero, se si svolge secondo un ritmo interno che nasce e muore nella relazione. Io e i miei quattro compagni ora ci muoviamo assieme, alterniamo diverse temperature, diventiamo tifosi allo stadio, ragazzi in discoteca, scioperanti in manifestazione.

Ci avviamo alla conclusione del workshop ponendoci insieme un'ultima domanda: come utilizzare i mezzi espressivi appresi oggi nella nostra vita, nei nostri individuali percorsi artistici? Affrontiamo la questione centrale della partitura, un argomento sicuramente complesso. Un'altra volta, nel movimento fissato, scritto, ci confrontiamo con la tirannia della mente che cerca di gestire il movimento; un'altra volta ricerchiamo la spontaneità del corpo e l'organicità dell'azione attraverso un macchinoso inganno: la drammatizzazione.

Il workshop si conclude proprio quando nascono le prime domande. Siamo davvero così lontani da noi stessi e dalla nostra “età dell'oro” da doverci ingannare da soli? Si può davvero definire la drammatizzazione un inganno, oppure, è proprio il thinking in motion a uniformare mente e corpo? O è invece un altro subdolo stratagemma del pensiero per restaurare una gerarchia minacciata?

Laboratorio condotto da Chiara Ameglio

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