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Marco Gandolfi

Labbra | La mascherata


Una delle più grandi difficoltà nello scrivere di sessualità senza fini esplicitamente erotici è la ricerca del tono appropriato. Trovare un equilibrio tra la pedanteria da anatomista e il camuffamento metaforico più o meno greve è un compito tutt'altro che semplice. Con Labbra, Irene Lamponi si destreggia bene in questa prova di equilibrio, riuscendo ad allargare naturalmente il campo al rapporto con i corpi - proprio e altrui -, al sentimento e al contesto sociale.

Irene Lamponi e Valeria Angelozzi

La tripartizione dello spettacolo ha precisa strutturazione tematica, stilistica e ideologica.

Ne "Il Bagno" una coppia di coinquiline condivide un'intimità quotidiana incontrandosi e scontrandosi sulle rispettive fantasie, sentimenti, delusioni amorose e sessuali. Punti di vista essenzialmente femminili che arrivano a interrogarsi sul significato identitario di gesti e atteggiamenti normativamente appunto considerati "al femminile". Quella che forse potrebbe apparire come la sezione più narrativa e innocua dello spettacolo, sotto la maschera della quotidianità rubata, rivela invece un’elaborazione concettuale, più o meno conscia, molto raffinata. Nella visione di Judith Butler, una delle fondatrici della gender theory, la costruzione del genere non solo è normata da costrutti puramente culturali, ma ha una natura essenzialmente performativa, appunto teatrale. È esattamente questo che Lamponi evoca nella parte conclusiva e più amara de "Il Bagno": «Io non posso essere come voglio. Io non posso essere sempre me» perché una norma di definizione inscrive nei corpi stessi cosa si debba essere, andando perfino a coinvolgere la nozione stessa di identità. Così la tragicomica discussione sugli stili di depilazione intima si trasforma in una riflessione sulla possibilità di autodeterminazione dell'identità, e su cosa sia la libertà di genere. Il fatto che le risate del pubblico appaiano perfino eccessive durante questa prima parte testimonia quanto siano sul punto il testo e la recitazione, che crea una buona alchimia e confronto tra due modelli di donna, probabilmente alter ego e personalità coesistenti: da una parte un'identità più riflessiva ed elaborata che prova a ribellarsi alla norma sociale imposta e percepita mutare nel suo sviluppo storico (si vedano i continui riferimenti al "tempo della nonna"), dall'altra una più esuberante e apparentemente semplice accettazione conformista, che si rivelerà tutt'altro nello sfogo finale sul non poter essere ciò che si vuole. La seconda parte di Labbra è quella più ironica e fantasiosa: richiamando i famosi The Vagina Monologues assistiamo a un serrato dialogo tra vagine ricco di ritmo e battute, recitato con virtuosismo da soli volti metaforicamente incorniciati tra gambe; una sorta di intermezzo che porta alla sezione più politica della messinscena: "Io" racconta in un monologo a due quando la norma si fa violenza e quanto la Legge la sancisca. La stratificazione del racconto intreccia vicende di cronaca con sentenze scandite come segnavia di un percorso che, apparentemente senza appello, conduce al tragico esito finale di violenza. Labbra è percorso da una sana ambizione: illuminare le zone taciute ma in realtà parte rilevante del nostro inconscio culturale e sociale. Il fatto che ci riesca in diversi momenti è allo stesso tempo merito della bravura della sua autrice e regista e delle sue attrici, ma anche testimonianza della possibilità che il teatro ha di esplorare l'essenza performativa del genere. Elementi di pregio: la brillantezza della recitazione e l'ampiezza intellettuale del progetto.

Limiti: il rischio della contaminazione di stili e giustapposizione di quadri non è sempre vinto. Visto mercoledì 7 marzo 2018 a La Claque, Genova Labbra di Irene Lamponi interpretato e diretto da Valeria Angelozzi e Irene Lamponi ideazione con il sostegno di Giulia Scudeletti scene Rodolfo Bignardi in collaborazione con Fondazione Luzzati - Teatro della Tosse con il patrocinio di ARCIDONNA e Associazione Interculturale LE MAFALDE

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