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  • Marco Gandolfi

Night Bar | La mancanza


Cosa accomuna i quattro testi di Harold Pinter riuniti da Valerio Binasco in Night Bar? La risposta più semplice è il luogo: il bar in cui sono ambientate le quattro composizioni è lo stesso; varia per minimi aggiustamenti, evolve e si adatta nelle luci o nella musica di sottofondo, mantiene il suo nome. Ma, allo stesso tempo, potrebbe essere un bar qualunque, addirittura un posto qualunque. Perché quello che si vuole evocare è solamente un'atmosfera, un sentire comune: la mancanza.

una scena da Night Bar

La sequenza procede per scarti stilistici: si passa dal grottesco quasi assurdo de Il Calapranzi al minuzioso minimalismo de L'ultimo ad andarsene; dalla dolorosa esuberanza narcisistica di Tess al raffinato ingranaggio narrativo di Night. Le parole di Pinter, spesso levigate e affascinanti, sono incarnate da una recitazione di un virtuosismo spesso per sottrazione, specialmente del lodevolissimo Nicola Pannelli.

È difficile scegliere una sequenza o un momento che superi in coerenza e precisione gli altri. Per incisività e brevità probabilmente L'ultimo ad andarsene ha la caratteristica di cifra dell'intera messinscena; mentre l'apertura de Il Calapranzi e la chiusura di Night hanno una duplice e speculare ambizione: la riflessione sull'assenza evocata è trasformata in un lavoro sul linguaggio, verbale e non solo. Nel primo, infatti, non sono solo le parole a franare, ma la corporeità dei personaggi trasmette il senso dell’inquieto disagio dell'incomunicabilità; mentre nel secondo si ottiene paradossalmente lo stesso risultato in forme opposte: la rievocazione compiuta da una coppia del suo percorso romantico, dall'incontro a una festa, al primo bacio fino alla stessa conversazione, è punteggiata di intimità verbale e corporea solo per svelare i vuoti di un ricordo sempre fallace, frammentario, con cui convivere però senza drammi. Un orizzonte umano di misurata inadeguatezza.

La stessa mancanza è curiosamente rilevabile nel progetto di questo Night Bar: si ha continuamente la sensazione che questa attenzione minimalista ai frammenti di vita che si incontrano al bancone o tra i tavolini, ottenga forse l'opposto della levità ipotizzabile nelle intenzioni. Come se fosse necessaria una dose doppia di intellettualismo e concettualizzazione per comprendere questo desiderio di rappresentare un vuoto. Il fatto che in fondo chi scrive non sia in grado di dire se questo sia un limite o un pregio, testimonia probabilmente l’acutezza di Pinter nell'aver fissato e della messinscena nell'aver evocato una realtà così comune da sfuggire spesso allo sguardo del quotidiano?

Night Bar

L'unità di luogo è rispettata in modo straniante violando quella di tempo in una cucitura non tanto di momenti, ma addirittura di testi lontani e diversi. Questo rispetto formale ma non sostanziale genera una sorta di astrazione, una sottolineatura di un altrove proprio in opposizione al qui della scena. Così siamo in attesa, alla ricerca di un altro, sempre. Testualmente in tutti e quattro i quadri si evoca un personaggio assente; simbolicamente il bar rimanda ad altro continuamente, è il luogo dove non accade nulla se non il racconto e la sua incarnazione: è il teatro.

Elementi di pregio: ottimo comparto attoriale; la coerenza progettuale nella scelta dei testi di Pinter.

Limiti: l'ambizione degli scopi appesantisce un poco il risultato finale.

Night Bar. Il calapranzi – Tess – L’ultimo ad andarsene – Night

Harold Pinter

Produzione: Teatro Stabile di Genova, Teatro Metastasio di Prato

Regia: Valerio Binasco

Interpreti: Nicola Pannelli, Sergio Romano, Arianna Scommegna

Versione italiana: Alessandra Serra

Scene: Lorenzo Banci

Costumi: Sandra Cardini

Musiche: Arturo Annecchino

Luci: Roberto Innocenti

oca, oche, critica teatrale
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