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Marco Gandolfi

Una bestia sulla luna | Cosa accade dopo?


Lo sfondo del testo Una bestia sulla Luna di Richard Kalinoski è il Genocidio Armeno degli anni 1915-16, dal quale emerge la storia familiare dei due protagonisti sopravvissuti, Seta e Aram Tomasian. Ambientato negli Stati Uniti degli anni '20, ci racconta con delicato acume psicologico le solitudini, i sensi di colpa dei vivi perseguitati dall'orrore senza fine; il dramma matrimoniale della sterilità e la difficile transizione verso una normalità irraggiungibile. Che questo ampio ventaglio di temi non appesantisca la messinscena è allo stesso tempo merito di un testo che strutturalmente svela gradualmente se stesso e dei mezzi toni con cui la recitazione e la regia lo incarnano e lo evocano. Il problema di cosa accade dopo la singolarità inimmaginabile del genocidio - alla cultura e alla vita quotidiana - è il fulcro attorno a cui ruota Una bestia sulla Luna, che pare rispondere in maniera opposta alla famosa sentenza di Adorno ("Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie"): solo l'elaborazione intellettuale, soprattutto attraverso l'arte, può dare un senso alla necessità della sopravvivenza. La sensazione di levità quasi comica dell'incipit della vicenda contestualizza l'arrivo di Seta nella Terra Promessa: sposa scelta a distanza - tra ben 34 fotografie, ci viene detto - si rivela subito non solo sbagliata - la fotografia associata al suo nome era di un'altra - ma ben più bambina di quella donna vagheggiata da Aram per riempire la propria solitudine di esule. Pozzi rende bene questa ingenuità infantile al cospetto di un autoritarismo maschile più evocato che messo in pratica. Narrato in scena dal figlio adottivo della coppia in flashback, il dramma passa a indagare la terribile infelicità privata della sterilità di Seta. L'approccio è quasi sottovoce, per culminare poi in uno scatto drammatico quando Aram evoca la Tradizione che assegna il compito di moltiplicarsi come fine ultimo e senso della vita stessa. Il cerchio si amplia consequenzialmente quando da questo dramma privato si passa alla causa prima (o almeno quella individuata come tale) della sofferenza: il genocidio. Sono infatti gli stenti, la fame e le terribili esperienze vissute prima della fuga ad aver determinato l'impossibilità materna per Seta. Il rimosso dello sterminio, la cappa di piombo che pesa sulle loro vite viene affrontata in una splendida sequenza del prefinale: finalmente dopo anni di matrimonio Aram racconta la fine della sua famiglia, e Seta di sua madre e sua sorella. Questa pallida catarsi non risolve la tragedia, ma la fa avanzare su un piano di elaborazione verbale, nascondendo i simboli che in scena rappresentavano questo rimosso: il cappotto, unico ricordo del padre di Aram, e la fotografia della sua famiglia con le teste cancellate. Specularmente la vicenda familiare evolve con l'ingresso in famiglia di un figlio adottivo, il narratore adulto della vicenda appunto. La regia di Andrea Chiodi trasmette un senso di rispettosa solidità, come la recitazione controllata e asciutta degli interpreti. Le note di colore sono dosate senza troppe sbavature; la Pozzi si rivela l'interprete più armoniosa. Bilanciati gli interventi musicali di sottofondo a sottolineare gli stacchi, così come le proiezioni fotografiche che fissano i momenti decisivi della vicenda. La sensazione complessiva è quella di una messinscena calibrata e di mestiere, senza virtuosismi. Lo spettacolo riesce a sviluppare il piano pubblico e quello privato armoniosamente senza finire in una didascalica determinazione tra i due. Considerando la complessità e rischiosità dei temi si tratta di un risultato di non poco conto. Elementi di pregio: convincente capacità di descrivere la tragedia pubblica e quella privata senza facili retoriche. Limiti: decontestualizzazione forse eccessiva della vicenda familiare dalla realtà contemporanea. Visto mercoledì 24 ottobre 2018 Sala Modena del Teatro Nazionale di Genova. Di Richard Kalinoski Produzione CTB Centro Teatrale Bresciano, Fondazione Teatro Due Parma Regia Andrea Chiodi Traduzione Beppe Chierici Scene Matteo Patrucco Costumi Ilaria Ariemme Musiche Daniele D’Angelo Luci e video Cesare Agoni Interpreti Elisabetta Pozzi Fulvio Pepe Alberto Mancioppi Luigi Bignone

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