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  • Massimo Milella

Delitto e castigo | Il blasfemo Dio sofferente di Bogomolov


La San Pietroburgo del 1886 – rispettivamente luogo di ambientazione e anno di pubblicazione del celebre romanzo di Dostoevskij, Delitto e castigo – è il racconto dimesso della povertà straziante del suo sottoproletariato urbano, di una borghesia burocratica e frustrata e di una classe dirigente corrotta e decadente: una civiltà desolante stordita dall'alcolismo che, spenti ormai gli ardori ideali delle grandi arie dei Borodin e dei Musorgskij, non lascia scampo alla depressione disperata di intellettuali falliti come Raskol'nikov, protagonista del romanzo, ex studente e assassino, inquieto ma senza vero pentimento, di un'usuraia priva di scrupoli.

La sfida principale del regista Konstantin Bogomolov, invitato da E.R.T. a firmare questo allestimento per celebrare i 40 anni dello Stabile dell'Emilia Romagna, è quella di mantenere intatti l'intreccio del celebre romanzo di Dostoevskij e le parole stesse dei suoi personaggi, in una sintesi tra filologia e drammaturgia, costruendo però una scena non naturalistica, con quattro schermi, una telecamera, divani e un vecchio mobile, senza perdere mai la forza, la concretezza, l'emozione della prosa originale.

Eppure, nonostante trama e personaggi siano gli stessi, sarebbe un errore parlare di adattamento o rivisitazione.

Delitto e castigo di Bogomolov, infatti, fa molto di più: riesce nel miracolo di rendere Dostoevskij un autore contemporaneo, senza che in alcun modo si ostentino collegamenti vistosi con l'attualità stringente. Si potrebbe obiettare che il Raskol'nikov "afro" – interpretato dalla forte presenza del talentuoso Leonardo Lidi – voglia in realtà rimandare alla figura dell'immigrato che tenta una problematica integrazione con la metropoli occidentale, ma parrucca e tintura nera sul viso e sul corpo sono solo artifici che in alcun modo distraggono dal vero centro delle sue azioni, ovvero la messa in discussione dell'ingiustizia del proprio atto – l'omicidio – in un contesto sociale fortemente iniquo a sua volta. Su questo piano, il Raskol'nikov di Bogomolov non è più un vero e proprio protagonista, ma solo una delle maschere di questo carnevale squallido, senza nulla di diverso dagli altri tasselli che ne compongono il mosaico: è perfettamente alla pari, quindi, con il suo ambiguo accusatore Porfirij – il sinistro Paolo Musio, ricco di sfumature –, l'infelice Marmeladov – Enzo Vetrano, autore di un monologo dalla tenuta sontuosa –, e Sonja, prostituta devota alla religione – l'algida ed efficace Diana Höbel.

Bogomolov fa tutto questo con l'onestà di un linguaggio volutamente immorale che, attraverso chiarissime scelte di scene e costumi – entrambe ad opera di Larisa Lomakina – incarna con intelligenza la volgarità, la blasfemia, la povertà delle ambientazioni – e delle misere anime che in esse si muovono – dell'intero impianto dostoevskijano.

Uno scorcio scenico dello spettacolo

Esiste un altro livello di analisi, tuttavia, di questo Delitto e castigo, conseguenza diretta dell'adesione di Bogomolov a una corrente sempre più diffusa nel teatro internazionale contemporaneo: contaminazione tra generi, tempi dilatati, ritmo anti-naturalistico che sovverte le aspettative del pubblico, recitazione straniante che lavora sui propri personaggi attraverso pennellate grottesche e, a tratti, espressioniste.

E di fronte a queste istanze estetiche non è sempre facile, a Genova come altrove, naturalmente, trovare un pubblico preparato, pronto a recepire le diversità dei linguaggi, ad accogliere con pazienza ciò che non è di immediata fruizione e, per esempio, a non scambiare per blasfemia – va dichiarato l'esempio del crocefisso raffigurante un Cristo né uomo e né donna che cala dall'alto in molti momenti dello spettacolo – quello che è in fondo una lettura fedele del testo, ovvero l'incarnazione di un Dio sofferente, madre, padre, a uso e consumo dei suoi fedeli, a seconda dei loro bisogni di consolazione e di espiazione.

In questo contesto, immaginate la scena, comica e apocalittica insieme, in cui sparute fronde di spettatori ribelli decidono di abbandonare la visione di Delitto e castigo durante il suo svolgersi, manifestando così un dissenso irriverente nei confronti di ciò che accade – o, secondo la loro rispettabile opinione, non accade – sul palcoscenico.

Un gesto netto, sacrilego: recuperare il cappotto adagiato sulla poltrona vuota al proprio fianco e inforcare, con sorriso di sdegno e passo deciso, l'uscita nell'oscurità della sala, mentre le parole degli attori continuano a risuonare, improvvisamente fragili, nella platea. E poi magari, usciti anzitempo dal teatro, solidarizzare gli uni con gli altri, insistendo sull' inopportunità dei ripetuti riferimenti al sesso orale disseminati nella rilettura di Bogomolov o sulla presunta inadeguatezza della recitazione. E sulla noia, naturalmente.

Ma la ribellione non ferma il teatro che, invece, libero nella sua coerenza, continua ad "accadere", tra gli spettatori superstiti, divisi tra chi subisce in silenzio il pentimento di non aver avuto lo stesso coraggio di andarsene e chi invece si gode la divertita volontà di resistere e insistere, forse anche per non rischiare di fraintendere uno spettacolo che evidentemente ha una sua coerenza, un suo linguaggio peculiare, rarissimo in questa stagione teatrale 2017/2018.

E in fondo, Delitto e castigo, in scena al Teatro della Corte dal 6 all'11 marzo, è anche questo: il racconto umorale di un incontro tra una corrente vitale e autorevole del teatro contemporaneo internazionale, in questo caso interpretata dal regista Konstantin Bogomolov, e il pubblico dello Stabile genovese, generalmente – e per tradizione – purtroppo poco abituato a esiti di questo calibro.

Elementi di pregio: il valore pregevolissimo di tutti gli interpreti in scena, nessuno escluso, un gruppo eterogeneo e compatto di personaggi equilibrati, coerenti, capaci di rispecchiare il mondo dostoevskjiano con sensibilità e coraggio; l'urgenza della prosa di Dostoevskij in un'istantanea attuale e a tratti emozionante – il bellissimo monologo di Enzo Vetrano/Marmeladov, la lettura di Margherita Laterza / Dunja del cosiddetto "Vangelo degli animali", in particolare.

Limiti: la possibilità, evidentemente non tenuta affatto in considerazione, di preparare maggiormente il pubblico di un Teatro Stabile, abituato a proposte piuttosto "tradizionali", a uno spettacolo con una vocazione, invece, fortemente contemporanea e sperimentale.

Emilia Romagna Teatro

Regia e adattamento

Konstantin Bogomolov

Interpreti

Anna Amadori Marco Cacciola Diana Höbel Margherita Laterza Leonardo Lidi Paolo Musio Renata Palminiello Enzo Vetrano

Versione italiana

Emanuela Guercetti

Scene e Costumi

Larisa Lomakina

Luci

Tommaso Checcucci

oca, oche, critica teatrale
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