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  • Matteo Valentini

Orlando d’amore furioso | Anastrofi e altre complicazioni

Ha il sapore del rituale estivo ritrovarsi a Villa Duchessa di Galliera, ogni anno, per lo spettacolo itinerante prodotto dal Teatro della Tosse. Se lo scorso luglio a essere messo in scena era stato una sorta di best of Shakespeare, con personaggi più o meno celebri a fare capolino tra gli alberi del parco, quest’anno Emanuele Conte affronta L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, classico della letteratura italiana e, dopo Luca Ronconi, della storia del teatro, in uno spettacolo dal titolo altisonante: Orlando d’amore furioso.


Orlando (Raffaele Barca) in una foto di Donato Aquaro
Orlando (Raffaele Barca) in una foto di Donato Aquaro

La pièce non segue una precisa linea narrativa e neppure presenta un’antologia di episodi tratti dal poema, ma illumina, grossomodo come era accaduto l’anno scorso, alcuni dei suoi personaggi: un Ippogrifo ammiccante e ciarliero (Alessandro Bergallo); Angelica, affannata e vibrante (Alma Poli); Orlando, senz’altro furioso, ma incomprensibilmente abbigliato con costumi di foggia orientale (Raffaele Barca) e un amorino (Pietro Fabbri), che squisitamente eccita e rabbonisce la sua ira. Come spesso accade nelle produzioni della Tosse, l’impianto scenico – curato da Emanuele Conte e Luigi Ferrando – sa sorprendere lo spettatore, ora nella magniloquenza sfarzosa delle pagine sospese a mezz’aria che riportano le prime tre ottave dell’Orlando, ora nel contrasto tra la stretta gabbia in cui è imprigionato Rodomonte (Matteo Palazzo) e la distesa sconfinata del mare alle sue spalle.

Il filo rosso dichiarato che lega queste e altre figure è il rapporto tra amore e guerra, due entità, alternativamente contrapposte e sovrapponibili, che sono anche scivolosi territori di affermazione e distruzione del sé.

Tuttavia, risulta difficile considerare Orlando d’amore furioso qualcosa di diverso da una raccolta di frammenti di varia natura, ispirazione e linguaggio. Il paladino senza nome che accoglie gli spettatori (Marco Rivolta) prepara un’interessante introduzione al poema di Ariosto, simile per tono e ritmo a una lezione di letteratura italiana, che però stride con il racconto in versi recitato dall’Ippogrifo/Bergallo, così come con l’intervento meta-testuale di Angelica/Poli: alcuni interpreti si pongono a commento della narrazione, altri completamente al suo interno, altri ancora a mezza via; alcuni citano il testo originale, altri declamano rime costruite per l’occasione, altri ancora si esprimono in prosa.

Se poi si considerano i fumosi riferimenti del re berbero Rodomonte/Palazzo alle stragi nel Mediterraneo e le didascaliche notazioni femministe di Bradamante (Antonella Loliva), come «noi non siamo cosce di pollo disossate», ci si chiede se l’urgenza di imboccare personaggi antichi con parole d’ordine contemporanee derivi da conformismo o semplice mancanza di fantasia.


Rodomonte (Matteo Palazzo) in una foto di Donato Aquaro
Rodomonte (Matteo Palazzo) in una foto di Donato Aquaro

Il marionettista (Graziano Sirressi) che chiude il percorso parlandoci della ricorsività della Storia è un palese riferimento alla tradizione dell’Opera dei Pupi, da secoli narratrice delle gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini, ma appare, assieme agli altri, estraniato da uno spettacolo che, forse già a partire dall’anastrofe nel titolo, ha voluto rendere la complessità del Furioso con la molteplicità di spunti ed accenti, raccogliendone, per lo più, confusione e complicatezza.



Elementi di pregio: alcuni allestimenti scenici; la convincente partecipazione in ruoli di rilievo di giovani attori e attrici diplomati alla scuola del Teatro Nazionale di Genova.


Limiti: l’assenza involontaria di un centro.



Orlando d'amore furioso

testo e regia Emanuele Conte liberamente ispirato a Orlando FURIOSO di Ludovico Ariosto impianto scenico Emanuele Conte e Luigi Ferrando costumi Danièle Sulewic luci Matteo Selis e Andrea Torazza assistente alla regia Alessio Aronne

con Raffaele Barca (Orlando), Alessandro Bergallo (Ippogrifo), Pietro Fabbri (Amorino), Antonella Loliva (Bradamante), Matteo Palazzo (Rodomonte), Alma Poli (Angelica), Marco Rivolta (Il Paladino senza nome), Graziano Sirressi (Puparo)

direttore di scena Roberto D’Aversa attrezzeria e oggetti di scena Renza Tarantino macchinisti Gianluca Annunziata, Fabrizio Camba, Kyriacos Christou, Amerigo Musi elettricisti Davide Bellavia, Massimo Calcagno, Luca Serra assistente ai costumi Daniela De Blasio sartoria Rocio Orihuela Produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse

oca, oche, critica teatrale
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