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  • Marta Cristofanini

Peng | Infanzia di un mostro

L’ultimo racconto della raccolta Il muro, pubblicata in Francia dal filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre nel 1939, s’intitola Infanzia di un capo e, più che un racconto lungo, potrebbe considerarsi una novella a sé stante. Il futuro capo in questione, Lucien Fleurier, viene impietosamente ritratto nella sua – impietosa – crescita e metaforica ascesa al potere, un potere che rispecchia quello storicamente ravvicinato di un grande dittatore e, più in generale, di tutti quei despoti il cui sofisticato narcisismo e la cui crudeltà egomaniacale affliggono famiglie, società, nazioni intere.


Peng, scritto da Marius von Mayenburg nel 2017 per la Schaubühne di Berlino e riadattato nella versione italiana da Clelia Notarbartolo, a me ha ricordato proprio questo: lo sbocciare calamitoso di una figura pericolosamente patologica, che custodisce in sé dai primordi quell’oscuro seme, quella crudeltà catastrofica di cui spesso si sottovalutano le precoci avvisaglie. Vedere Peng è come guardare qualche eccentrico vivaista mentre coccola una pianta carnivora, confondendo morsi per baci.


Peng_ph Manuela Giusto
Foto: Manuela Giusto

Il protagonista della messinscena è Ralph Peng, che incontriamo mentre è ancora nel grembo materno: una sorta di lunatico ectoplasma, che fa già mostra di un carattere spiccatamente consapevole di sé, benché ingarbugliato in buffi malapropismi. Nel nascere, Peng ammazza la propria gemella, strangolandola a mani nude: l’esordio sulla scena umana non è dei migliori, tanto da spaventare e far fuggire la dottoressa, che si sente responsabile di aver aiutato a mettere al mondo una creatura de(l)-genere. Allontanandosi dal palco, si rivolge profeticamente ai genitori: «(...) Tenetelo sempre d’occhio, questo bambino, non perdetelo mai di vista». Ma come si vedrà durante l’ora e cinquanta di spettacolo, l’iperprotezione del bambino (così tipica al giorno d’oggi e così dannosa a livello educativo) non servirà comunque a molto, al contrario.


Quello che rimane incredibilmente attuale è la spinosa questione a cui nei secoli si è sempre cercata una risposta scientifica e appagante: è possibile quantificare in percentuali esatte l’influenza endogena di un carattere innato o quella esogena dell’ambiente circostante o ancora di quel cocktail genetico solo in parte predicibile? A chi affidare la colpa degli “anticristi” di cui la Storia è costellata? Mostri si nasce o si diventa?


Quale che sia la risposta, lo stentato incedere di Peng ricoperto di sangue (un sangue di nascita, ma anche di morte), mentre rivendica l’omicidio della sorella, con un discorso a metà strada tra l’onirico e un ferocissimo sarcasmo, è una scena che s’imprime nella mente; l’eccezionale interpretazione di Fausto Cabra materializza per il pubblico i vari stadi larvali attraverso cui il mostro prepara e fortifica le ali, armandosi per un volo che comunque (per un pelo) non riuscirà a spiccare.


La regia di Giacomo Bisordi flirta con la contemporaneità e i suoi demoni: la televisione, i social, l’iper-digitalizzazione e l’esposizione tossica alla vita privata delle persone, che ne permette la strumentalizzazione e la spettacolarizzazione più sfrenate. Sicuramente, vederne gli effetti amplificati in un luogo come il teatro, permette di riderne inorriditi, pur ricordando (con un brivido) che, al momento, l’abbattimento del “paradigma Ferragnez” è ben lontano dall’essere socialmente introiettato.


Tra inquadrature a metà strada tra un reality show e un diario segreto instagrammabile, assistiamo alla mala educaciòn del piccolo Ralph, che cresce senza limiti, senza rimproveri, senza confronti oggettivi con la realtà: è la realtà che si piega al suo volere, nutrendo spietatamente un ego fuori dal comune di un individuo non solo mediocre, ma che presenta punte di un’ottusità crudele e spiazzante, e che pure, nonostante tutte le inquietudini del caso, sembra non trovare ostacoli di sorta. Non è difficile rintracciare qui l’indignazione, trasformata in satira nera, del drammaturgo, che ha scritto il testo in seguito all’elezione di Donald J. Trump come presidente degli Sati Uniti d’America.


Peng_ph Manuela Giusto
Foto: Manuela Giusto

Tra donne vittime di violenza domestica segregate in cantina (in scena, un bidone della spazzatura), pubblicità ipocrite, scontri titanici con coetanei al parco giochi, tentativi di stupro della propria baby-sitter, consegne di armi da fuoco a domicilio e umilianti concorsi di bellezza, Ralph Peng arriva quasi ad essere eletto presidente della propria casa, duellando con la madre.


Sarà l’intervento della dottoressa a chiudere il cerchio: colei che lo ha portato al mondo lo elimina a colpi di rivoltella. La narrazione, diventata via via sempre più caotica e tendente all’entropia, culmina nell’omicidio del mostro infante: Peng, benché abbia comportamenti simil-adulti, muore a cinque anni; questo per far capire come la struttura narrativa stessa sia deformata a favore di camera dalla prospettiva di Ralph. Si ha, quindi, in chiusura la perfetta sovrapposizione tra privato e pubblico, tra incompetenza e politica, tra assurdo e ordinario. L’incubo è servito.


Eppure si ha la sensazione che la bomba abbia solo cominciato a ticchettare. A fine spettacolo, mentre una molotov viene buttata nel bidone della spazzatura, non si ha la percezione salvifica di un disastro scampato. D’istinto ci tappiamo le orecchie, consapevoli che è ora il momento in cui la bomba ci esploderà in faccia.


Elementi di pregio: La contemporaneità della drammaturgia e l’effervescente dinamismo della messinscena, brutale e onirica al tempo stesso; la bravura degli attori.


Limiti: Anche se funzionale alla narrazione, la caoticità, se protratta, può rischiare d’indebolire lo spettacolo. Evidenziare troppo un testo, fa perdere di vista le parole chiave. Mi riferisco a un rischio che si può correre in questo tipo di scelte, che però in questo caso mi sono sembrate non solo “organiche” ma anche indispensabili.


Visto al Teatro Nazionale il 17 febbraio 2023.

Produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello con il contributo di NuovoImaie

Traduzione Clelia Notarbartolo

Regia Giacomo Bisordi

Interpreti Fausto Cabra, Aldo Ottobrino, Sara Borsarelli, Giuseppe Sartori, Anna Chiara Colombo, Francesco Giordano e con la partecipazione in video di Manuela Kustermann

Scene e disegno luci Marco Giusti

Costumi a cura di Francesco Esposito

Video Paride Donatelli

Suono Dario Felli


oca, oche, critica teatrale
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