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  • Marta Cristofanini

La Tempesta | Il Teatro degli Spiriti


“Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita.”



Con una delle frasi più iconiche del teatro di tutti i tempi, si apre il quarto atto dell’ultima commedia shakesperiana, La tempesta. Un’opera crepuscolare che è come un commiato alle scene, alla loro magia.

Nelle parole di Prospero non possiamo non intravedere il drammaturgo stesso, nascosto tra le pieghe della veste dell’adirato sovrano in esilio, l’intrepido mago. Colui che riuscì a domare gli spiriti dell’isola sconosciuta in cui fece naufragio, e in cui fu costretto insieme alla figlia Miranda prima a sopravvivere, poi a regnare, con tutta l’ambivalenza crudele che tale ruolo comporta.


Ogni artista, ogni creatore e creatrice hanno esperienza del dolce-amaro duettare con la parte più oscura, e tirannica, della propria ispirazione. Un tema tragico, che svela i termini – crudeli, disumani – del sacrificio. Per apprendere e dominare le proprie magie, Prospero ha un’intera biblioteca a disposizione; ma per farne pienamente uso, attualizzandole, ha dovuto schiavizzare gli spiriti prima liberi dell’isola, e tra tutti l’ariosә Ariel, una creatura che ci ricorda nostalgicamente il dispettoso Puck del Sogno di una notte di mezza estate, ma decisamente più potente. L’intimità ambivalente tra i due personaggi, nella messinscena di Alessandro Serra, è resa alla perfezione da Chiara Michelini (Ariel), che mesmerizza il pubblico con i suoi movimenti intangibili, e Marco Sgrosso (Prospero): la frizione vivace tra i due elementi, aria e pietra, accende un fuoco ipnotico, dal ritmo incalzante.


La tempesta_ ph Alessandro Serra
Foto: Alessandro Serra

Ariel è al tempo stesso la Musa, l’ispirazione, la creazione tramite cui il re può operare i propri sortilegi: anela la libertà dal proprio padrone ma, venuto il momento, ne soffre indicibilmente l’abbandono. Ariel è l’opera di Prospero: la ispira e la realizza al tempo stesso. Entrambi non possono fare a meno l’uno dell’altro, bisticciando e lusingandosi come una coppia d’innamorati. Entrambi sono consapevoli che perché un’opera nasca, e viva, un sacrificio deve essere compiuto. E a che prezzo avviene la rinuncia alla magia, alla creazione, da parte di Prospero: l’atteso ritorno alla vita che gli spetta, la vita “civilizzata”, comporta l’abbandono della propria arte, dei propri libri, e di Ariel.


La regia è ispirata e spiritata, nella sua accezione più positiva: sul palchetto posto al centro del palco reale (un’isola a tutti gli effetti) si avvicendano i vari personaggi, ora emergendo dal nero fondale, ora facendosi strada tra coltri nebbiose, ora guidati dalla sapiente geometria delle luci. Come sempre, nulla è lasciato al caso: tuttavia in questa rivisitazione, il regista ha lasciato spazio al fluttuare sinuoso delle acque, al guizzare dei colpi d’aria. Arioso, ecco: in questo aggettivo c’è tutta la comunione, la sorellanza che si è andata a creare tra l’opera scritta e l’opera rivissuta oggi. Come se questa partitura inquieta avesse trovato modo di farsi indossare alla perfezione dai suoi interpreti, e non solo nei termini dei curatissimi costumi e delle trovate scenografiche, essenziali e, per questo, potenti (pensiamo ad esempio all’indimenticabile scena d’apertura, con Ariel che danza in orizzontale la sua tempesta, un ampissimo velo di scena dai singulti e svolazzi conturbanti; o alla lunga asse di legno, che porta incontro, sostegno, riparo ai personaggi a seconda del contesto).


La tempesta_ph Alessandro Serra
Foto: Alessandro Serra

Il travestimento gioca un ruolo decisivo nel teatro shakesperiano, elemento che qui viene ripreso in modo diretto e metaforico.

La scena del matrimonio, con la vestizione dei due sposi (Miranda e Ferdinando), avviene in un’atmosfera ludica e grottesca al tempo stesso, con i personaggi en travesti ad animare la scena, donando al momento della consacrazione un che di pagano e cabarettistico al tempo stesso. Il momento dell’after party incarna alla perfezione questa sorta di stroboscopico rito bacchico; esaurita l’esultanza, i partecipanti ritornano ad essere attori che si ritirano – con aggraziati movimenti meccanici, da ballerine inceppate – nell’oscurità dei camerini, così come si spogliano delle proprie maschere le visioni che popolano i nostri sogni. Secondo la teoria freudiana, il contenuto reale del sogno è mascherato da qualcos’altro, che percepiamo come meno traumatico: a scopo protettivo, siamo ingannati da noi stessi.


Una menzione speciale va a Calibano (Jared McNeill), il principe indigeno detronizzato, dalla voce strappata: le sue grida storpie ricordano lo sforzo preistorico di un uccello a cui sia stato imposto il dono della parola. I suoni che produce sono crivellati di rabbia, la sua presenza fisica sul palco viene amplificata da una sorta di portantina intrecciata con lunghi rami che gli ingabbia la schiena, rendendogli gli spostamenti goffi e minacciosi allo stesso tempo. Una perfetta sintesi che racchiude l’anima di questo personaggio, che per ingenuità e odio nei confronti di Prospero, scambia un volgare ubriacone (Stefano, interpretato da Vincenzo Del Prete) per un Dio, regalando al pubblico alcune delle scene comiche più memorabili grazie al terzetto che si viene a formare con Trinculo (Massimiliano Poli): i due mozzi napoletani, pronti a sovvertire la gerarchia sociale grazie al nuovo stato di natura in cui si ritrovano, sembrano usciti dritti dritti da un canovaccio della Commedia dell’Arte.


La tempesta_ ph Alessandro Serra
Foto: Alessandro Serra

Terra e aria, fuoco e acqua sembrano essere bilanciati in un equilibrio miracoloso, dove ogni elemento è onnipresente: d’altronde, una tempesta nasce proprio dalla combinazione perfetta di tutti questi elementi, mescolati insieme.


Un’alchimia degna dei migliori incantesimi di Prospero, che chiede alla fine di essere liberato con un applauso dal suo pubblico; e un omaggio struggente, una libagione, agli spiriti del teatro, quelli di ieri e di oggi: Ariel è l’ultimә ad abbandonare la scena, mentre sciabole di luce lә trafiggono da parte a parte.

Ogni sogno ha pur sempre bisogno dei suoi spettatori: che ne è della magia, senza nessuno a evocarla?



Elementi di pregio: La rappresentazione scenica duttile, elegante, che alterna toni alti e bassi tramite una calibrazione registica ben oliata, con interpreti perfetti per il ruolo assegnatogli; l’immersività, l’esperienza corale che mi ha ricordato il teatro dell’antica Grecia, dove si ha la sensazione che un personaggio non sia solo se stesso, ma incarni allo stesso tempo l’eco di numerosi archetipi, di numerosi voci.

Limiti: Aumentare leggermente la potenza vocale (la voce in alcuni momenti ha rischiato di perdersi, un po’ sacrificata) per far rimanere degnamente al passo la narrazione orale con l’eccellenza di quella scenico-corporea.


La tempesta

Visto presso il Teatro Nazionale di Genova il 27 gennaio 2023

di William Shakespeare traduzione e adattamento Alessandro Serra con (in ordine alfabetico) Fabio Barone, Andrea Castellano, Vincenzo Del Prete, Massimiliano Donato, Paolo Madonna, Jared McNeill, Chiara Michelini, Maria Irene Minelli, Valerio Pietrovita, Massimiliano Poli, Marco Sgrosso, Bruno Stori regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra collaborazione alle luci Stefano Bardelli collaborazione ai suoni Alessandro Saviozzi collaborazione ai costumi Francesca Novati maschere Tiziano Fario Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro di Roma – Teatro Nazionale / ERT – Teatro Nazionale / Sardegna Teatro in collaborazione con Fondazione I Teatri Reggio Emilia / Compagnia Teatropersona


oca, oche, critica teatrale
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