“Per aver proposto un classico come il Saul in una interpretazione registica solida e convincente; Giovanni Ortoleva è riuscito a mantenere una coerenza di scelte e un rigore quasi analitico che, di fatto, riteniamo rare e insolite per un giovane regista, tali da giustificare la segnalazione di una promessa”: questa è la motivazione che accompagna la menzione speciale a Giovanni Ortoleva alla Biennale di Venezia 2018, nella sezione Registi Under 30. Insieme ad Arca Azzurra Produzioni e a Teatro i, il Teatro della Tosse ha il merito di aver contribuito alla produzione di questo spettacolo, ispirato al Saul biblico e a quello di André Gide, che vede in scena Marco Cacciola (Saul), Alessandro Bandini (Davide), Federico Gariglio (Gionata).
Eva Olcese
Sono i giorni che consacrano sul palco dell'Ariston la nuova figura queer di Achille Lauro quando a Genova arriva finalmente Saul di Giovanni Ortoleva. Dal foglio di scena veniamo a sapere che il giovane drammaturgo e regista, ex-allievo della Scuola Civica Paolo Grassi e menzione speciale alla Biennale di Venezia 2018, si è liberamente ispirato nella scrittura dello spettacolo all'Antico Testamento e al testo omonimo di André Gide, primo dramma gay della storia del teatro moderno.
La scena è già in azione quando prendiamo posto al Teatro della Tosse: un uomo sprofonda nella poltrona di una logora suite d'albergo mentre un televisore riproduce in loop i crediti di un film di Marcello Baldi del '64, Saul e Davide. La storia biblica è una traccia sotterranea, interna alla narrazione della vita monotona di una vecchia rockstar (Marco Cacciola), raccontata attraverso i dialoghi aspri e arpagoni con il figlio Gionata (Federico Gariglio), continuamente interrotti dal fastidioso brusio di un'assenza di segnale.
A spazzare la noia da questi due personaggi soli e sordi l’uno all’altro è l'arrivo del "ragazzo", il giovane astro nascente della musica David (Alessandro Bandini), che Saul re-rockstar inizialmente custodisce geloso, ma che presto diventerà confidente e amante del figlio.
L’invasione del campo metateatrale avviene attraverso il racconto di Gionata, in cui Re Saul è rinchiuso dentro una torre dorata nel centro della città e minacciato da un leggendario e intangibile gigante: i tempi della narrazione diventano quelli dell'azione finché la trama non sfugge al suo stesso tessitore e gli stessi personaggi contravvengono al copione, in una ripetizione incessante di azioni che rende lo scrittore impotente.
Il racconto s’interrompe nuovamente: il resto del copione è ignoto anche allo stesso Gionata, che vede l’amato scappare dalla suite polverosa dell’hotel, partire per una lunga tourneè e dimenticarsi di lui. La scena si spoglia, le quinte sono in vista, e il palco grazie alle coreografie pop di Gianmaria Borzillo si divide in tre piani: mentre il televisore entra in cortocircuito proiettando il negativo di scene di guerra (estratte dal film di Baldi), i personaggi si fanno narratori della loro stessa fine. E la vita stessa nel suo ciclo mostra come il trionfo di David non sia nient’altro che una progressiva corsa verso una fine già annunciata.
Marta Cristofanini
Questo Saul di Giovanni Ortoleva ha avuto per me un andamento trifasico di stampo hegeliano: l’ascesa dalla tesi alla sintesi è stata di temperatura variabile, che dal tiepido mi ha portato all’incandescenza in modo decisamente inaspettato.
Durante la prima fase, viene inscenata una routine “famigliare” dal retrogusto tetro: lo spicchio scenico che ci viene mostrato (estrapolato da una camera d’albergo consunta) in modo rigorosamente frontale accentua lo straniamento provocato dagli scambi verbali tra Saul (ex rockstar in declino in preda a violenti capricci senili, semi-immobile sulla sua poltrona/trono) e il figlio Gionata (figura emblematica del figlio d’arte che non riesce a smarcarsi dall’ingombrante ombra paterna). L’arrivo del Ragazzo, chiamato per una collaborazione musicale che appare essere più un salvataggio in extremis della rockstar in preda alla depressione, non scombina inizialmente il vizioso equilibrio che lega i personaggi, i quali d’altronde sembrano essere anche psicologicamente poco approfonditi, bidimensionali. E fino a qui, impegnata nel decriptare una tesi tutto sommato lineare, la mia partecipazione è stata da spettatrice algida, in bilico sul filo della noia e di un quasi-affanno, nonostante fossi stata immediatamente colpita dalla recitazione scarna e brutale di Marco Cacciola.
Comincia la seconda fase meta-teatrale, l’antitesi: la sceneggiatura deflagra, i ritmi accelerano, il gioco a tre impazzisce e sono folgorata dalla metafora che strappa i costumi, i ruoli, il fondale, la narrazione. Il protagonista è l’amore del vecchio Saul, dell’egoista Saul, del mediocre Saul, dell’impaurito Saul, per il giovane David, per il Ragazzo David, per il talentuoso musicista David, per l’astro nascente della musica David che lo inghiottirà, condannandolo all’oblio o, semplicemente, ad accettare quella fase della vita che tanto terrorizza la società contemporanea: la vecchiaia. La passione non ricambiata di Saul per il giovane fanciullo in fiore - alla cui ombra si abbevera avidamente - mi ha riaccesa di febbre rivoluzionaria e di una scomoda consapevolezza: la tirannia dei vecchi che non accettano di lasciare la poltrona ai giovani, letteralmente. La negazione dell’individualità libera e indipendente di David - che si allontana grazie alle tournée dalla passione tossica di Saul così come dal timido amore di Gionata, il quale vestirà i panni del profeta rendendolo consapevole del suo ruolo centrale nel rovesciamento del potere - ci traghetta direttamente alla terza febbricitante fase, la sintesi, dove tutti gli elementi vengono combinati insieme, in una narrazione che si fa battaglia, echeggiando bibliche, catartiche lotte per il potere, questa volta non a colpi d’arma ma di passerella. La ferocia è la stessa così come l’inevitabile conclusione di ogni guerra: ci sono i vincitori, e i vinti. Nell’asciutto finale - in contrasto con i bombardamenti pop musicali precedenti, scanditi dagli irresistibili balletti dei tre attori - abbiamo il ristabilirsi di un nuovo monarca, di un vecchio potere: David, finalmente, conquista il regno che denuncia già la sua futura sconfitta, quel trono asfittico a cui sarà condannato dalla solitudine della propria celebrità. Nel momento in cui affonda nella poltrona, il cerchio si chiude e la storia è destinata a ripetersi. David è Saul. Ancora una volta.
Con Saul inauguriamo una nuova rubrica, quella delle #RecensioniIllustrate, grazie alla collaborazione con alcune ragazze del Liceo Artistico Klee, conosciute attraverso #locacriticalab. Le prime artiste che vi presentiamo sono Linda Nuzzolo e Anna Pennini della classe 3D, di cui ci ha colpito il tratto e l'uso dello sfumato. Qui alcune delle illustrazioni che hanno iniziato ad abbozzare in platea e continuato a casa sulla base delle foto di scena.
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