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  • Francesca Torre

Antigone: Sofocle o Sicignano?


Ph. Antonio Parrinello

Non c’è dubbio che Antigone sia un titolo di forte richiamo: lo dimostrano la presenza pressoché costante nei cartelloni e un pubblico sempre pronto a rispondere in maniera positiva. Difficile infatti non trovare una sala piena. La fortuna di questa tragedia sta nella portata davvero universale di due personaggi, Antigone e Creonte, e del conflitto generato dalle due opposte visioni del mondo e dei rapporti umani di cui sono incarnazione. Passano i secoli e Antigone viene riletta facendo emergere sempre più il contrasto fra la donna ribelle, simbolo della pietas umana e delle leggi degli dei, e la Ragion di Stato, fino a sconfinare, in alcuni casi (soprattutto nel Novecento), in una lettura parziale della figura di Creonte, che in Sofocle non rappresenta tanto il tiranno sordo ai richiami dell’umanità, quanto e soprattutto il rappresentante del diritto, di quelle regole che garantiscono la convivenza civile e la stessa sopravvivenza della società.

Nella regia di Laura Sicignano questo conflitto viene diluito in più personaggi, alcuni dei quali, nel quadro di una ridefinizione generale dei ruoli e della costruzione di una coralità estranea al testo sofocleo, assumono un peso inedito: è il caso soprattutto di Ismene / Lucia Cammalleri, che si eleva a perfetto contrappunto della sorella in ragione della sua risolutezza ad obbedire all’ordine costituito, e di Euridice / Egle Doria. Quest'ultima, moglie di Creonte e madre di Emone / Luca Iacono, evolve nel corso della tragedia e si fa protagonista di quella che, prima della fine dello spettacolo, assomiglia a una pietà, culminante nel gesto di porgere un seno al figlio Emone morto.

Di contro, la forza del testo originario, soprattutto per quanto riguarda le parti in cui Creonte assume il ruolo raisonneur, risulta compromessa. Stessa sorte tocca ad Antigone, interpretata da Barbara Moselli, che ne esce sensibilmente ridimensionata.

Sicignano e Alessandra Vannucci hanno messo in atto un profondo rimaneggiamento, che sconvolge gli equilibri della tragedia senza però riuscire a giustificare davvero l’intera operazione, se non con la costruzione di un ritmo serrato, che conduce all’epilogo lasciando il pubblico digiuno del conflitto al centro della tragedia sofoclea; uno scontro più enunciato che realmente vissuto sulla scena. Legittimo quindi porsi domande rispetto all’opportunità di lasciare la paternità del testo a Sofocle e non indicarlo come adattamento dal tragediografo greco. Appena riconoscibile risulta persino l’intento, esplicitato nel programma di sala, di “affrontare il mito di una terra – la Sicilia – che si è nutrita di grecità e che si dibatte quotidianamente tra potere e strapotere, ribellione e anarchia, eroi del bene e del male, fiera di un’identità, frutto di una stratificazione di popoli”. Questo infatti sembra rimanere confinato alla scelta di Sebastiano Lo Monaco nei panni di Creonte e dei cortigiani dagli abiti e dalla fisionomia medio-orientale, che prendono il posto del coro di anziani tebani.

La tragedia assume in più occasioni toni farseschi: l’entrata in scena di Creonte, contornato dai cortigiani in posa di adulatori, e di Euridice, con movenze da bambola, pare suggerire un rovesciamento parodico del potere, che però non viene sviluppata nel corso dell’azione; la figura grossolana del Messaggero / Simone Luglio, a cui sembra essere assegnata la funzione di stemperare la tensione drammatica; l’indovino Tiresia / Franco Mirabella assume i connotati di un mago, perdendo quella sacralità affidatagli dalla tradizione.

La recitazione, che si mantiene su volumi elevati, ha il potere di omologare personaggi pur fortemente connotati e di ridurli a ingranaggi di un’azione dall’andamento, come abbiamo visto, inesorabile, intervallata dal flauto e dalle percussioni di Edmondo Romano.

La componente musicale, capace di restituire l’atmosfera rituale e ancestrale della tragedia, rappresenta quindi l’elemento più riuscito, insieme alla scenografia, dai toni scuri, geometrica e astratta, che nel finale cade in pezzi, evocando così la rovina destinata ad abbattersi ancora una volte sulla stirpe di Laio.

Limiti: recitazione monocorde e rielaborazione non convincente del testo

Pregi: musica e scenografia evocative e di notevole impatto

Antigone

di Sofocle

adattamento Laura Sicignano e Alessandra Vannucci

regia Laura Sicignano

con Sebastiano Lo Monaco, Lucia Cammalleri, Egle Doria, Luca Iacono, Silvio Laviano, Simone Luglio, Franco Mirabella, Barbara Moselli, Pietro Pace

musiche eseguite dal vivo da Edmondo Romano

luci Gaetano La Mela

scene e costumi Guido Fiorato

audio Giuseppe Alì

produzione Teatro Stabile di Catania

oca, oche, critica teatrale
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