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  • Francesca Picci

Baliani alla prova | “La tragedia è una tragedia di popoli”

Bottega XNL – Fare Teatro è un bel progetto ideato da Paola Pedrazzini, direttrice artistica del Festival di Teatro Antico di Veleia e della Fondazione Fare Cinema (Presidente Marco Bellocchio).

Gli ingredienti sono pochi e semplici: un Maestro, un gruppo di giovani attori, un testo classico, la meravigliosa cornice dell’area archeologica di Veleia (PC).

E un po’ come avveniva per l’arte nel Rinascimento: grazie alla produzione delle opere, intorno al maestro e alla sua bottega si crea una scuola dove i saperi possono essere trasmessi. Una trasmissione concreta, artigiana, spalla a spalla.

Il Maestro è Marco Baliani, gli allievi 20 giovani attori e attrici selezionati tra circa 300, il testo l’Edipo di Sofocle.


Entriamo nel grande salone di XNL a Piacenza. Il gruppo è in pausa, la pausa breve di metà mattina.

Marco Baliani ci viene incontro, ci saluta e ci invita a fermarci alle prove.

Il gruppo ha già alle spalle un paio di settimane di lavoro e qualche costume è già pronto.

Prendiamo posto sulle sedie: saremo noi l’unico e privilegiato pubblico di questa prova.

Il lavoro riprende.

È il momento in cui Edipo scopre di non essere figlio legittimo di Polibo e Merope, sovrani di Corinto, e intuisce di avere un qualche legame con la casa di Laio.

Giocasta capisce e abbandona la scena.

Edipo rimane con una domanda “Io chi sono?”


Intervista a Marco Baliani

(Intervista del 16 giugno 2023)


O.C.A.: Io sono una fan del tuo lavoro e quindi per me è emozionante incontrarti. Pensavo a una chiacchierata, muovendoci tra Kohlhaas [spettacolo del 1989 con cui si dà inizio al teatro di narrazione in Italia] e Corpo Eretico [Corpo eretico. Dialogo in tempo presente con Pier Paolo Pasolini, che ha debuttato il 3 dicembre del 2022, trasmesso in diretta radio il 16 dicembre su radio 3], per poi parlare di come, all’interno di questi due poli, si colloca il tuo lavoro di pedagogia, il tuo lavoro da Maestro. Non a caso questo progetto prende il nome di “Bottega”.

Baliani: Qui di Pasolini c’è molto, l’inizio e la fine dello spettacolo sono una citazione del film Edipo Re di Pasolini. Edipo Re inizia con Silvana Mangano vestita di bianco, con un bambino in braccio, è la madre contemporanea; poi da lì si passa a Edipo. Nel finale del film, Edipo è cieco, ma è cieco nelle città di oggi, con Ninetto Davoli che lo accompagna come guida.

All’inizio dello spettacolo si vede Giocasta in vestaglia bianca e tutti gli altri attori ancora vestiti con abiti contemporanei; lei scende dalle scale di Veleia con un bambino in braccio e si sente la voce di un bambino che piange; da qui c’è tutto l’inizio in cui questo bambino viene passato di braccia in braccia, ma nessuno lo vuole in realtà. Poi nel finale, quando Edipo si acceca, gli mettiamo addosso una giacca assolutamente contemporanea e lui va e continua a camminare, attraversa il pubblico, se ne va e tutti dicono cose che hanno a che fare con lo straniero, il profugo, l’esule, cose sugli sguardi, sul fatto che nessuno lo guarda. Insomma, due citazioni di un film eccezionale. Pasolini è Pasolini...



Intervista_Marco_Baliani_ph_Claudia_Burzoni

O.C.A.: Come ti trovi in questa figura di Maestro? Perché non è soltanto una regia questa che stai facendo con loro…


Baliani: Infatti. Diciamo che sono più interessato alla maestria che alla regia, perché quello che mi interessa è la trasmissione del sapere; sono molto in mezzo a loro, faccio vedere le cose, do loro suggestioni, suggerimenti sull’uso del tempo, sugli esercizi fisici.

Soprattutto tanta fisicità, tanti esercizi fisici. Penso sempre che le voci escono perché c’è un corpo che le mette in moto. La prima settimana è stata una settimana solo di esercizi fisici. Training, ma un training che permette che accadano cose che poi mi piacciono e subito le inserisco nello spettacolo. Anche l’immagine che hai visto [un momento di danza del coro dei cittadini di Tebe] è nata da improvvisazioni loro.

L’idea mia è che per produrre una formazione teatrale occorre che chi lo fa si metta in una condizione molto maieutica, non una regia classica in cui il regista sa già tutto, che arriva che ha chiaro tutto. Io fin dall’inizio dico che non ho chiaro che cosa faremo.

Edipo è una mappa da esplorare.


O.C.A.: Quindi questo lavoro è molto basato anche su un rapporto di fiducia e affidamento anche reciproco…


Baliani: … che loro devono acquisire perché ognuno di loro viene da scuole diverse, culture diverse, dal Sud, dal Nord. La prima settimana serve a vedere se riesco a tirar su un gruppo. Non è scontato.


O.C.A.: Anche in Pinocchio nero [Spettacolo nato con Amref all’interno del progetto formativo Acting from the street realizzato con ragazzi di strada degli slums di Nairobi e Premio Ubu 2004] avevi tirato su un gruppo di lavoro che funzionava. Il contesto era ovviamente completamente diverso.


Baliani: Però - guarda - alla fine il modo di lavorare non era diverso. Nel senso che anche con loro ho passato mesi a fare solo esercizi fisici per fare gruppo. Loro venivano tutti da bande diverse di Nairobi, vere gang, e riuscire ad avere fiducia… anche il lavoro con loro [indica il salone, ora vuoto, dove si è appena conclusa la prova] è stato di fiducia, una grande fiducia reciproca: non ci sono competizioni interne, non c’è chi vuole primeggiare; per fare questo ogni volta devi trovare cose che funzionano. Con i ragazzi di Nairobi funzionavano i contatti: loro nessuno li toccava mai, quindi lavorare sul contatto per loro era un soprassalto, all’inizio era paura, perché chi li tocca lo fa per sfidarli, e quindi è un pericolo essere toccati. Lì ho lavorato molto con esercizi “di contatto”.

Qui ho lavorato sulla relazione perché erano molto addormentati (come siamo tutti in questa società…): esercizi che servono a creare una grande dinamica di relazione occhio a occhio, faccia a faccia, sapere come sei fatto, che corpo hai, sentire il tuo sudore. Non è un volersi bene generico, per andare avanti nel lavoro bisogna che tutti sappiano esattamente cosa stanno facendo gli altri in quel momento, dove si trovano, dove guardano, cosa vedono.


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O.C.A.:Infatti quello che abbiamo visto è un lavoro molto corale, sempre tutti e sempre sentire.


Baliani: Questa è una decisione -se vogliamo- anche “drammaturgica”, per poter lavorare alla formazione. Edipo si potrebbe fare con sei personaggi e via. Ma è anche qualcosa di più: io ho sempre pensato che la tragedia è una tragedia di popoli, non è una tragedia di singoli. Già quando ho fatto I Sette a Tebe a Siracusa, ho lavorato all’idea che il coro – il coro tradizionale in cui parlano tutti insieme - non c’è più: lo frammento in tanti cittadini e ogni cittadino dice la sua. Quelle frasi lì non sono più frasi compatte, ognuno ha i suoi testi interni di interventi, di cose che vengono dette, di commenti. Questo ci permette di costruire Tebe come città. “Cosa sta succedendo ai cittadini in questo momento?”. Questa è la vera domanda. Non è cosa sta succedendo ad Edipo. Ai cittadini sta succedendo che c’è una peste diffusa nella città, che però non è una peste di bubboni, è una peste morale. Le similitudini… [risate]


O.C.A.: D’altronde la tragedia va sempre bene, purtroppo…


Baliani: In questo modo lavoro a far sì che ciascuno di loro sia cosciente e responsabile di tutto il processo, sappia che cosa sta succedendo e anche creare. Hai visto, nonostante siamo alla fine [delle prove] continuiamo a ricreare il testo. Loro danno suggerimenti, hanno capito che possono essere coautori, non solo attori. È un po’ questo il lavoro: far sentire che hanno dentro una creatività che non viene mai sfruttata perché le scuole di teatro ti insegnano a interpretare, quindi una direzione assolutamente povera dell’essere umano… loro hanno dentro di più dell’interpretare. Abbiamo passato giornate intere a fare delle performance. Ognuno di loro portava una performance su un personaggio dell’opera, come voleva, molto simbolica, molto alla Marina Abramović… è stato bellissimo, hanno fatto cose stupende. Alcune sono entrate nello spettacolo.

Oppure il primo giorno - il primissimo incontro che faccio - ognuno si deve sedere e raccontare come si chiama. Non “chi è”, che diventa psicologia, ma come si chiama... “Che nome hai? Chi te l’ha dato? Quando te l’ha dato?”. Escono storie, storie di famiglia... Poi chiedo: “Te lo sei sempre portato così, ‘sto nome? Quante volte l’hai cambiato?” Ognuno di noi ha le sue storie. “Alle elementari, alle medie, come ti chiamavano? Come ti facevi chiamare? Hai cambiato tu nome?, Ti piace o no?, L’etimologia del nome…” Un quarto d’ora, venti minuti per raccontare il proprio nome. E poi l’ultima domanda…. “Quand’è che il tuo nome è suonato alle tue orecchie in un modo speciale?”

E questo è spiazzante, loro arrivano credendo che qui c’è un regista, che bisogna fare Edipo, che questi sono i ruoli…. Perché quella è la tradizione. Arrivano qui e si sentono dire “come ti chiami?”

O.C.A.: Domanda che dà una luce non da poco anche sull’opera dell’Edipo...


Baliani: …chi sei? Chi siamo veramente?

A questo punto Marco Baliani mi chiede della cicatrice che ho, quella che segna il mio braccio destro, lunga 33 punti di sutura.


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Baliani: Con i ragazzi di Nairobi, giorni e giorni a raccontarci delle cicatrici… Loro ne avevano… Con questo gruppo non l’ho fatto.


O.C.A.: Quali sono stati i tuoi maestri, da dove hai preso quello che hai? Non mi riferisco solo al teatro... Uno mi sa che è Pasolini...


Baliani: Pasolini, Camus, Melville, Jack London, Malcom Lowry, Cormac McCarthy. Io non ho fatto scuole di teatro. Studiavo architettura, quindi ho cominciato tardissimo a fare teatro e tutto quello che ho imparato l’ho imparato facendolo. Ho imparato facendo animazione teatrale per bambini, per tanti anni, lavorando nelle carceri, negli ospedali psichiatrici, sempre pensando al teatro come a una cosa da usare, non da ammirare, non un fatto solo estetico. Un imprinting – sono gli anni Settanta – molto politico, un’idea di uso sociale dell’arte.

Carlo Formigoni del Teatro del Sole di Milano aveva messo in piedi un gruppo che viveva facendo teatro per ragazzi, una delle prime compagnie vere; c’erano Angela Finocchiaro e tanti attori che poi sono diventati famosi in altro modo. Noi – io e la mia compagna Maria - lo andammo a trovare e da allora siamo rimasti a fare teatro andando via dalla facoltà di architettura. Andammo a Milano per incontrarlo e poi lui ci invitò a Vieste dove teneva uno stage molto lungo. Quello è stato un imprinting. Lui è un grande formatore di gruppo, ti insegna come stare insieme, quali sono le dinamiche di gruppo, come gestirle. Bellissimo, è stata un’esperienza veramente fondante.

Poi nel tempo ho avuto insegnamenti da Yoshi Oida, attore di Peter Brook, da Bruce Myers… quando venivano a fare degli stage persone che sapevo che avevano cose da dire, io mi iscrivevo, li andavo a fare. Ho imparato tanto facendo e soprattutto dai bambini, sono loro che ti fanno capire se stai lavorando in una direzione giusta oppure no. Tutti gli anni Ottanta sono stati così. Ho cominciato a raccontare storie grazie al fatto che raccontavo storie ai bambini. Kolhas è arrivato dopo, nell’89, ed è arrivato perché c’era questo percorso, questo rapporto con l’infanzia , questo modo di stare con loro. Veniva dall’idea tutta politica che era più giusto fare qualcosa per quelli che sarebbero diventati adulti dopo piuttosto che per quelli già adulti. Una cosa un po’ ideologica, però è servita.


O.C.A.: è il secondo anno che vieni a Veleia…


Baliani: Lo scorso anno avevamo due attori professionisti e uno era Massimo Foschi (84 anni), l’attore che aveva interpretato Orlando nell’Orlando Furioso di Ronconi, un grande attore della tradizione, e Petra Valentini, giovanissima. I due protagonisti erano loro. Quest’anno è molto diverso, e non ci sono protagonisti esterni. Quindi ho dovuto cercare questo Edipo, che fa Pasquale, e ci ho messo un po’ a capire che poteva essere lui.


O.C.A.: Quando hai selezionato, la selezione è avvenuta in base al loro percorso, non li hai visti prima?

Baliani: No, non li ho visti prima. Ho visto un video, il curriculum e la lettera motivazionale. Ho guardato soprattutto il curriculum, le esperienze che hanno avuto. Lì vedi molto. Chi ha lavorato in un certo tipo di teatro, che è quello che interessa a me, me lo sento più vicino rispetto a quelli che hanno fatto esperienze molto accademiche. Le scuole vanno bene, molti di loro vengono da scuole. Quando dico “accademiche” intendo un teatro con i ruoli, il camerino, queste cose qua, dove so già che chi viene viene per sgomitare, per essere il primo, per essere lui il protagonista. Li preferisco più ruspanti, ma disposti al gioco. Sì, li ho selezionati così… erano 280 domande quest’anno, l’altro anno erano 380. C’è una fame di teatro in Italia…


O.C.A.: e anche di Maestri…


Baliani: e anche di Maestri, purtroppo sì. Qui fanno un’esperienza piuttosto fuori dal comune. Stanno un mese con me e poi anche in scena. Di solito i laboratori finiscono senza messinscena.


O.C.A.: Oppure c’è la messinscena senza laboratorio…


Baliani: …quella non la concepisco proprio (risate), a meno che non devi fare una produzione teatrale; ma anche lì, quando mi propongono produzioni teatrali, non le faccio mai nei venti giorni – che ormai sono venti – che ti danno le produzioni. Chiedo sempre che ci siano almeno quattro mesi prima altri incontri e anche di lavorare fuori dal contesto dello spettacolo. Chiedo questo perché anche se saranno spettacoli da replicare, ho bisogno di un gruppo che devo poter formare io, non attori nominati dalle produzioni che sono bravi.


O.C.A.: Ora però ti lasciamo alla tua pausa


Baliani: potrei parlare per ore


O.C.A.: e noi ascoltare per giorni!



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Intervista a cura di Francesca Picci

Foto di Claudia Burzoni

oca, oche, critica teatrale
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