Capitolo Due | Nessuna lezione da imparare
- Serena Chiaramonte
- 16 mag
- Tempo di lettura: 5 min
Due salotti comunicanti, simmetrici, nettamente divisi. Questa è la prima immagine che ci viene mostrata delle vite di George (Aldo Ottobrino) e Jannie (Maria Vittoria Argenti), i protagonisti di Capitolo Due, testo del drammaturgo e sceneggiatore statunitense Neil Simon. A portarlo in scena, tradurlo e adattarlo per la prima volta in italiano è Massimiliano Civica, che ha da poco inaugurato il suo secondo mandato come direttore del Teatro Metastasio di Prato per il triennio 2025-2027. Il regista si confronta con una commedia brillante, che come una lente di ingrandimento evidenzia il punto di intersezione tra due esistenze.

Il salotto di George è ordinato, elegante, ma freddo, per via dei colori scuri e spenti che la poca luce presente rende ancora più cupi. Quello di lei, speculare e caratterizzato dai medesimi mobili – una scrivania, una sedia, un divano, un tavolino con un telefono, che pone un confine e insieme congiunge i due appartamenti –, ha però colori assai più caldi e vivaci. Due ambienti specchio di due vite in cui spicca l'ampio spazio lasciato vuoto, segno tangibile del senso di perdita che recentemente ha investito George e Jannie. Il primo, scrittore di gialli con l'ambizione di affermarsi come autore di romanzi, ha perso l'amatissima moglie Barbara per una malattia ed è ora in preda alla paura di aver perduto qualcosa di necessario e insostituibile. La seconda, attrice, si è appena separata dal marito, un mediocre giocatore di football, dopo un matrimonio durato cinque anni, quattro dei quali passati a trovare il coraggio di accettarne la fine.
I diversi stili dei salotti e degli abiti di Jannie e George evidenziano però come, nonostante i parallelismi, le differenze tra i due personaggi non manchino affatto ed è così che fin dall'inizio ci si sente attratti dall'accattivante dinamica della fragile, ma straordinaria attrazione che può intercorrere tra opposti.
A condividere la scena e analoghi meccanismi vi è una seconda coppia. La compongono il fratello di George, Leo (Francesco Rotelli), uomo di teatro piuttosto assente a casa e incapace, sebbene legato da un sincero affetto alla moglie, di mantenere la monogamia, e Faye (Ilaria Martinelli), la migliore amica di Jannie e come lei attrice, profondamente insoddisfatta dalla distanza e dalla freddezza che ormai domina il suo matrimonio e decisa a voler trovare un'avventura che la faccia sentire nuovamente apprezzata e viva. In entrambi è forte il desiderio di aiutare George e Jannie a ritrovare un compagno con cui condividere il proprio tempo o quanto meno qualche piacevole serata. I destinatari di tale premura sono però estremamente riluttanti all'idea, convinti che in qualche modo per loro quella porta si sia ormai chiusa. Galeotta fu poi la telefonata erronea, il riconoscimento e la comprensione della medesima paura del futuro, il «rapido scambio di battute» per via telefonica che nasce tra George e Jannie. C'è un rapido riconoscersi simili, in sintonia, per il proprio passato, ma anche per la propria indole, il non resistere a una curiosità sentita come insidiosa, ma irrefrenabile. Poi la decisione di sposarsi dopo soli 15 giorni di frequentazione: nonostante le legittime riserve, ci lasciamo trascinare dall'entusiasmo dei due protagonisti, stucchevolmente innamorati e in adorazione l'uno dell'altra.

Sono situazioni estremamente realistiche, che potrebbero assomigliare alle vite di molti, quelle descritte da Neil Simon, che del resto scrive quest'opera proprio poco dopo aver provato sulla propria pelle la perdita della moglie. È forse per questo che, nonostante la recitazione volutamente monotona, quasi svuotata di ogni emozione e la presenza del continuo e brillante umorismo tra i personaggi, le conversazioni risultano credibili, concrete. A innescare nel pubblico risolini o vere e proprie risate sembra essere del resto non tanto la vis comica delle singole battute (in fondo neppure così raffinate), ma dalla simpatia che subito inevitabilmente sentiamo per questi buffi e maldestri personaggi.
L'atmosfera cambia drasticamente nel secondo atto e ci si sente come traditi: lo spettatore si è fidato, ha dato il suo consenso ad un evidente follia, quasi come fosse necessario al far proseguire lo spettacolo, e ora senza nessuna gradualità su quella innaturale leggerezza della prima parte piomba il realismo pesante di tutte le legittime domande che avevamo accettato di trascurare e che ora ci appare imperdonabile. Con questa svolta fortemente drammatica la recitazione meccanica, distaccata, diviene veicolo di forza e profondità. Rende, infatti, ancora più spiazzante la gelida spietatezza di cui si rivela capace George-Ottobrino e conferisce una risolutezza solenne alla decisione d'inaspettata forza annunciata da Jannie-Argenti: questa volta ha scelto davvero di voler stare in quel matrimonio e costi quel che costi andrà fino in fondo.

Con Capitolo Due Simon sembra voler parlare d'amore, senza curarsi minimamente di cosa le persone si aspettino da esso, come per metterci in guardia dalla sciocca pretesa di poter scegliere che tipo di relazione serva in uno specifico momento della propria vita. «C'è una lezione da imparare da tutto questo e non so qual è» dice Faye verso la fine dello spettacolo e in questa mi sembra risiedere il sunto della visione del drammaturgo sull'amore e, forse, sulla vita stessa: le relazioni non riparano, non riempiono i vuoti, ma, se si ha la fortuna di trovare un giusto compagno di viaggio, è possibile che in quell'« accoppiamento» inteso come “conoscersi” per capire se sia possibile starsi vicino si riesca persino a comprendere meglio sé stessi, pur nell’incertezza. Io vorrei … Non vorrei … Ma se vuoi di Lucio Battisti chiude lo spettacolo: George e Jannie, seduti ognuno sul proprio divano, si danno la mano, fondendo infine le proprie vite, senza il bisogno di ricominciarle da capo.
Pregi: questa brillante tragicommedia è capace di far ridere di gusto e di affondare duri colpi allo spettatore, lo seduce e lo fa abbandonare alla sconsideratezza per poi mettergli di fronte la pesantezza della realtà, senza alcuna morale da portarsi a casa. L'eleganza di scenografia e disegno luci non eliminano il disagio di chi si trova a spiare da così vicino le ferite altrui.
Limiti: la voluta meccanicità fisica nella recitazione talvolta risulta eccessiva in aggiunta a quella del tono e dei dialoghi, che invece è molto efficace nel fare sentire il contrasto tra la complessità e drammaticità delle situazioni e la stonata leggerezza o noncuranza dei personaggi.
Visto al Teatro Metastasio di Prato il 23 gennaio 2025
di Neil Simon
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Maria Vittoria Argenti, Ilaria Martinelli, Aldo Ottobrino, Francesco Rotelli
scene Luca Baldini
costumi Daniela Salernitano
luci Gianni Staropoli
traduzione e adattamento Massimiliano Civica
proprietà intellettuale della traduzione di MTP Associati Srls
produzione Teatro Metastasio di Prato
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