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  • Matteo Valentini

Eco di Claudia Caldarano | Farsi roccia

«Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto». In coloro che ricordano le ore passate in classe a leggere i vessati Promessi sposi di Alessandro Manzoni, la parola “castellaccio” richiama immediatamente l’arroccata e sinistra dimora dell’Innominato, luogo di macchinazioni per Don Rodrigo, di prigione per Lucia, di inaspettata conversione per il suo stesso inquilino.

ORA Orobie Residenze Artistiche_Foto di Gaia Olga Bianchi
Foto di Gaia Olga Bianchi

Ma Castellaccio è anche il nome di una sparuta frazione di Piateda, in provincia di Sondrio, immersa nei boschi di castagno della Valtellina. Del castello da cui deriva il toponimo non c’è più traccia – era, secondo L’inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi, un edificio fortificato risalente al XIV secolo. A rimanere in piedi, invece, sono rimaste alcune strutture diroccate e infestate dai rovi e due abitazioni su più piani, perfettamente ristrutturate. Nel 1986, infatti, un gassista della Edison in pensione, tale Carlo Pasini, acquistò e rimise in sesto una delle case abbandonate del paese per fuggire dalla confusione della non distante Milano. Trentacinque anni dopo, sua nipote, Erica Meucci, ha deciso di trasformarla in una residenza d’artista (ORA – Orobie Residenze Artistiche) assieme al resto del collettivo Laagam, che riunisce, oltre a lei, un musicista e compositore (Simone Faraci) e quattro performer diplomate alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi (Sabrina Fraternali, Flora Katalin Orciari, Francesca Siracusa, Cecilia Tragni).

Sotto la sua direzione artistica, quest’estate si è svolta la seconda edizione della rassegna Rami d’ORA, che ha ospitato artisti come Claudia Castellucci, Fulvio Vanacore, Giovanni Zuffi e Claudia Caldarano, in scena l’ultimo giorno, l’unico a cui abbiamo avuto l'occasione di partecipare.

Quest’ultima portò Sul rovescio alla quinta edizione di FuoriFormato, nel giugno 2020, affascinandoci con una ricerca sul corpo condotta con rigore e coerenza. Nell’ambito di Rami d’ORA, la danzatrice e coreografa livornese, attiva dal 2010, ha presentato Eco, l’esito di una residenza che per la durata di quattro giorni l’ha portata a esplorare i boschi e i fiumi attorno a Castellaccio in cerca del luogo adatto per la sua performance.


Eco di Claudia Caldarano_Foto di Marco Ragaini
Foto di Marco Ragaini

Come altri miti della classicità, anche quello di Eco si dipana in multiformi versioni. Per Ovidio, la ninfa venne resa da Giunone incapace di parlare e fu condannata a ripetere gli ultimi suoni che riusciva ad avvertire. Dopo essere stata abbandonata dal suo amato Narciso, insofferente a questa trasformazione, ella lasciò che il proprio corpo si consumasse per il dolore, fino a che solo la voce rimase a testimoniare la sua presenza. Longo Sofista, invece, racconta che Eco venne fatta a pezzi da una folla di pastori aizzata da Pan, adirato per la scarsa attenzione che riservava alla sue premure. Le membra della ninfa furono poi seppellite e cominciarono, da allora, a risuonare lamentosamente sulla Terra. Al di là delle schermaglie amorose e delle circostanze della morte, uno dei punti centrali del mito è la consunzione del corpo di Eco e la sua incorporazione nella natura.


Eco di Claudia Caldarano_Foto di Marco Ragaini
Foto di Marco Ragaini

Seduta su un masso in mezzo alle rapide di un fiume, Caldarano lavora su questa approssimazione al dato naturale: il grigio della sua tuta è contiguo a quello delle rocce che la circondano e il suo corpo ora aderisce alla loro superficie, ora ne richiama le forme, le strutture e le posizioni, grazie alla potenza dei glutei, dell’addome e dei lombari. Continuando a mantenere il maggior contatto possibile con i massi, la danzatrice comincia gradualmente a discendere il corso del fiume, seguendo il percorso delle piccole cascate che le acciottolano accanto. Per farlo, riprende quella reiterata sfida alla postura quotidiana che avevamo conosciuto in Sul rovescio: nel tentativo di divenire sasso, acqua, muschio, la danzatrice rifiuta le proprie attitudini umane e si esercita in lente, inesorabili contorsioni, prive di sensazionalismo o artificiosità.


Eco di Claudia Caldarano_Foto di Marco Ragaini
Foto di Marco Ragaini

In continuità con la performance che avevamo visto a FuoriFormato, la danza di Caldarano sembra fondarsi sulla tensione del desiderio – la stessa che gli ideologi del Romanticismo tedesco chiamavano Sehnsucht –, data dalla contraddizione tra un obiettivo e il suo effettivo raggiungimento. L’immersione della danzatrice in una pozza tra le rocce libera lo spettatore dalla stimolazione percettiva ed emotiva avvertita per l’intera durata della performance, permettendogli, anche solo per pochi istanti, di veder realizzato quel caparbio e impossibile tentativo di scomparsa nella natura.



Visto il 27 luglio 2022 a Castellaccio (SO) a Rami d'ORA 2022

Eco

di e con Claudia Caldarano

ideato durante una residenza presso ORA (Orobie Residenze Artistiche)


Rami d’ORA - rassegna estiva di ORA Orobie Residenze Artistiche

direzione artistica di Erica Meucci

consulenza di Riccardo Olivier

con il patrocinio del Comune di Piateda e di Fondazione Cariplo

oca, oche, critica teatrale
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