Il festival trentino è nato all’inizio degli anni 80, e proprio quest’anno ha spento le candeline con una ricca quarantunesima edizione, dedicata al viaggio, all’altrove.
Oriente Occidente: fin dagli esordi, e a partire dal nome stesso, il fine dichiarato della manifestazione artistica – tra le più importanti a livello nazionale e internazionale – è quello di accogliere tra le vie e i teatri di Rovereto compagnie di danza provenienti da tutto il mondo.
L’esito è quello di un’incredibile commistione di generi e proposte, spesso all’avanguardia, che convergono in momenti di vibrante celebrazione della sesta arte.
Danza moderna, contemporanea, teatrodanza: sono questi i principali linguaggi coreografici accolti e selezionati dalla direzione artistica, tra prime nazionali e assolute, studi e coproduzioni. La bellezza del festival sta proprio in questa varietà, in cui è possibile avvicinarsi a distanza di ore ai “mostri sacri” più celebri così come alle proposte degli emergenti.
L’Oca è riuscita a migrare in tempo per godersi le proposte dell’ultimo weekend: si è trovata a partecipare accorata a The Fifth Winter | Bach della compagnia spagnola Mal Pelo, serpeggiando poi per la città alle calcagna di Juliette on the road della Twain Physical Dance Theatre e scompigliandosi le piume nel controverso Umwelt di Maguy Marin, madrina del teatrodanza francese.
Qui proviamo a raccogliere le impressioni di questo settembre svolazzante.
The Fifth Winter | Bach, Mal Pelo – Spagna
In questo Quinto Inverno, i danzatori e fondatori (nonché compagni di vita) della storica compagnia spagnola Mal Pelo si accompagnano indolenti nel vuoto di un’attesa senza tempo. Immersi in una scenografia dal candore bruciante e ottundente – una stanza piena di neve -, Pep Ramis e Marìa Munoz intrecciano, distanziano il loro solitario ronzare, scandito dalle sonorità di Fanny Thollot e dalla voce fuoricampo (registrata) della stessa Marìa: le parole sono prese in prestito dal poeta e romanziere nostrano Erri de Luca, che sgrana una sorta di rosario della sospensione e dell’assenza.
La partitura coreografica sembra seguire l’intuizione di queste parole scarne, puntini sospesi nell’immensa pagina bianca della scena. E come due lettere impazzite, i corpi dei danzatori tracciano una circumnavigazione sempre più stringente intorno alla voragine invisibile che è il centro stesso della scena, da cui sembrano inesorabilmente attratti.
Forse è proprio questa coincidenza tremenda tra soggetto e oggetto, osservante e osservato, a rendere il loro inverno così eterno: un letargo onirico, dove ci si prepara – instancabilmente, e alla fine sempre più stanchi - all’ultima stagione.
La stessa commistione di titubanza e audacia, flessibilità e vibrato contrappunto viene naturalmente espressa nella composizione coreografica successiva, il Bach interpretato dall’intensa Federica Porello, che ha ereditato nel 2016 l’assolo dalla sua stessa creatrice, Marìa Munoz.
Qui la rappresentazione si fa più astratta: laddove prima si addensava un dialogo tra corpi scandito da voce umana, in Bach abbiamo l’impressione di assistere all’esecuzione di un patto divino tra l’artista e la divinità musicale che ne governa le movenze. Ogni movimento musicale viene fisicamente isolato dalla fuoriuscita dal proprio ruolo della danzatrice, in una continua immersione ed emersione nella singola partitura, come se lei stessa fosse parte vivente del pentagramma che si compone miracolosamente davanti ai nostri occhi.
Juliette on the road | Loredana Parrella, Twain Physical Dance Theatre – Italia
Letteralmente “on the road”, questo spettacolo ispirato a “Romeo e Giulietta” ci porta di tappa in tappa per il centro storico di Rovereto dove, attraverso i ritmi sincopati della danza, si raggiunge la climax del finale alternativo, chiave dell’intera narrazione: Juliette sceglie di non morire per amore, sceglie la vita, e fugge via con essa.
La regia e coreografia sono affidate a Loredana Parrella, fondatrice nel 2006 del Centro Produzione Danza Twain, che da 15 anni ha realizzato una quarantina di spettacoli portati in giro in tournée internazionali.
I testi invece sono di Aleksandros Memetaj, che crea un pastiche linguistico e drammaturgico davvero inusuale, e che forse risulta indugiare troppo in un ondivago caos. Nonostante la storia dei due amanti di Verona sia arcinota al mondo intero, credo sia comunque sempre rischioso affidarsi troppo alla clausola del “liberamente ispirato a”: spesso si giustifica in questo modo la scelta di una narrazione che da inedita si fa oscura, disarmonica, priva di un punto di vista “a fuoco” – e quindi, di uno sguardo – chiaro e realmente autentico, e che quindi si auto-sabota, impedendo lo stabilirsi di quell’empatia emozionale e catartica tra pubblico e interpreti.
Soprattutto in un caso come questo, dove i dieci danzatori e attori della pièce itinerante sono di una generosità artistica esemplare: le scene coreografiche di gruppo ne sono l’esempio e la testimonianza più marcata. Insomma, il gruppo funziona, e anche la coreografia – più di stampo moderno – ne regge e ne coordina la trascinante energia; forse quello che manca in questo caso è una direzione drammaturgica più netta, meno dispersiva. Si è sentita la mancanza di uno sviluppo in crescendo, facendo risultare i quadri precedenti a quello finale come puramente accessori: delle parentesi in cui il pubblico ha un po’ perso terreno, arrivando poco presente all’impatto decisivo del gran finale.
Umwelt | Maguy Marin, Compagnie Maguy Marin – Francia
Il titolo in tedesco scelto dalla celebre coreografa francese significa “ambiente”, “mondo circostante”, e viene in genere tradotto con “universo soggettivo”.
Se andate a leggere la pagina Wikipedia dedicata a questa parola così polisemica, vi si condenserà davanti l’architettura concettuale che è stata elaborata, solidificata e infine azionata da Marin in scena.
Cito testualmente: “Ogni organismo ricrea e dà una forma al proprio umwelt quando interagisce con il mondo. Questo meccanismo è chiamato "circolo funzionale". La teoria dell'umwelt afferma che la mente e il mondo sono inscindibili, perché è la mente che interpreta il mondo a beneficio dell'organismo.”
La scenografia è composta da alcune siepi di superfici riflettenti, simil-specchi, mentre in proscenio tre chitarre elettriche vengono suonate grazie allo sfioramento continuo di una corda che viene avvolta da una capo all’altro del palco, dettando il ritmo e stabilendo la durata dello spettacolo. Dalle quinte viene invece incanalato un potente turbinio d’aria in grado di ricreare ininterrottamente una sorta di vento furibondo e rumoroso, che interagisce con i danzatori sul palco, partecipando e interferendo con le loro azioni.
I vari personaggi – rappresentanti più singole categorie che singoli individui – compaiono e scompaiono dalla facciata frontale della prima fila di specchi, compiendo azioni ripetitive del vivere quotidiano: mangiare una mela, baciarsi, pulire il pavimento, divorare panini sempre più grandi, cullare bambini, spostare piante, inseguirsi. Arrivano anche riferimenti più espliciti a determinate categorie: indossatrici che sfilano, donne interamente velate, macellai che si issano sulle spalle quarti di bue, medici in pausa che fumano una sigaretta, operai che gettano in proscenio cumuli di masserizie. Il tutto a gruppi di due, tre, quattro persone, perfettamente in sincrono, come in rotazione perpetua intorno al proprio asse: solo in alcuni momenti questo moto incessante e vertiginoso viene interrotto dalla stasi coraggiosa dapprima di una, poi di più persone, che osano interrogare immobili con lo sguardo il proprio pubblico.
L’esperienza è ambivalente, per il pubblico roveretano: gli applausi finali sono titubanti e tiepidi, indubbiamente rivolti agli eccezionali interpreti di un ingranaggio così sopraffino. Eppure si è avuta l’impressione che un po’ di perplessità aleggiasse insistentemente in sala. Lo spettacolo, pur essendo una prima nazionale, non è di primo pelo: “Umwelt” è stato creato nel 2004; dovremmo quindi definirlo figlio del suo tempo e di una determinata estetica che ha perso, oggi, il suo mordente?
Quindi, cosa manca a questa architettura del vivente, a questa meccanica terrestre così ipnotica e ben calibrata? Forse uno degli elementi che meglio interpreta, nell’arte, il senso di dolore, di complessità che caratterizza il nostro viaggio umano di bestie consunte e consumiste: il colpo di coda della leggerezza, della rivalsa del corpo, la sua libertà di spirito, la tragicità del suo ossimorico sentire.
“Umwelt” appartiene forse più alla dimensione della performance: nei suoi ritmi martellanti da fabbrica, ci allontana dalla salvezza, dal piacere, dall’emozione, perché proprio questo era il suo obiettivo. Ma da spettatrice, pur ammirando la complessità dell’opera e condividendone il messaggio, rimango quasi delusa dal sentimento prevalente di esclusione, di fatica fisica che ho provato nell’assistere passivamente a questo carillon infernale. E forse, quando si è dall’altra parte, dietro le quinte, bisognerebbe cercare di raffigurarsi l’opera anche nel momento in cui viene ricevuta: cosa creerà nei miei spettatori? Quello che voglio che arrivi, arriverà? A che prezzo?
Chiuso nel suo marchingegno perfetto, “Umwelt” rappresenta molto bene se stesso, ma si dimentica degli altri numerosi ambienti che in quel momento lo circondano e cercano di interpretarlo, tradendo così la sua stessa origine e assumendo piuttosto l’aspetto di una monade impermeabile.
Un ringraziamento speciale a tutti gli artisti, allo staff che rende ogni anno possibile questa magia, e a Susanna Caldonazzi e Gloria Stedile. Alla prossima!
The Fifth Winter
PRIMA NAZIONALE
Regia e danza María Muñoz e Pep Ramis
Codirezione Jordi Casanovas
Collaborazione artistica Leo Castro e Vincent Dunoyer
Assistenza training Neus Villà
Testi Erri de Luca
Suono Fanny Thollot
Collaborazione musicale Niño De Elche, Israel Galván e Alia Sellami
Voce fuori campo María Muñoz
Scenografia Pep Aymerich e Pep Ramis
Luci August Viladomat
CostumiCarme Puig de valli Plantés
Tecnica suono Andreu Bramon
Management Rita Peré
Durata 55’
Produzione Mal Pelo
Produzione tecnica Punt De Fuga
Coproduzione Grec Festival de Barcelona, Théâtre de la Ville, Paris, Mercat de les Flors, La Briqueterie, Théâtre Antoine Vitez, La Villette, Paris, Agora de la Danse de Montreal, Festival Temporada Alta
In collaborazione con Espaço do Tempo, Montemor-o-novo, Centre de Creació L’animal a l’esquena, Celrà
Bach
Creazione María Muñoz
Danza Federica Porello
Collaborazione artistica Cristina Cervià
Assistenza alla creazione Leo Castro
Musica Il Clavicembalo ben temprato di Johann Sebastian Bach
Musica registrata Glenn Gould
Luci August Viladomat
Video Núria Font
Fotografia Jordi Bover
Costumi Carme Puig de Valli Plantés e Montserrat Ros
Durata 20’
Produzione Mal Pelo
In collaborazione con Teatro Real - Madrid e Teatre Lliure - Barcelona
Juliette on the road
Coreografia Loredana Parrella
Danza Giulia Cenni, Jessica De Masi, Umberto Gesi, Caroline Loiseau, Giulia Manenti, Aleksandros Memetaj, Guia Meucci, Marco Pergallini, Yoris Petrillo, Maria Stella Pitarresi e Michele Scappa
Assistente alla coreografia Yoris Petrillo
Testi Aleksandros Memetaj
Liberamente tratto da Romeo e Giulietta di W. Shakespeare
Costumi Gianluca Formica e Loredana Parrella
Durata 60’
Produzione Twain Centro di Produzione Danza 2019
Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena
In collaborazione con Quartieri dell'Arte Festival - Viterbo, ATCL Lazio, Festival Cortoindanza - Cagliari, Vera Stasi/Progetti per la Scena, Festival del Teatro Medioevale e Rinascimentale di Anagni, Festival Orizzonti Verticali/Fondazione Fabbrica Europa
In residenza Supercinema e Teatro Il Rivellino - Tuscania, T.OFF e Fucina Teatro - Cagliari
Con il supporto diMiC - Ministero della Cultura, Regione Lazio, Fondazione Carivit e Comune di Tuscania
Umwelt
Creazione e coreografia Maguy Marin
Danza Ulises Alvarez, Kostia Chaix, Kais Chouibi, Laura Frigato, Chandra Grangean, Louise Mariotte, Isabelle Missal, Paul Pedebidau e Ennio Sammarco
Musica Denis Mariotte
Suono Chloé Barbe
Luci Alexandre Béneteaud
Costumi Nelly Geyres
Direzione di Scena Pascal Bouvier
Direzione tecnica Alexandre Béneteaud
Durata 60’
Produzione CompagnieMaguy Marin
Coproduzione Théâtre de la Ville - Paris, La Maison de la danse - Lyon, Le Toboggan - Décines, Centre Chorégraphique National de Rillieux-la-Pape e Charleroi danse (revival 2021)
Con il supporto di Ministère de la Culture - DRAC Auvergne-Rhône-Alpes, Ville de Lyon, Région Auvergne-Rhône-Alpes, Institut français e Fondazione Nuovi Mecenati - Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea
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