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  • Redazione

Intervista ad Andrea Porcheddu | Teatro ligure, dove vai?

Intervista a cura di Marta Cristofanini

Andrea Porcheddu
Andrea Porcheddu ritratto in una foto di Sara Ciommei

Ciao Andrea! Grazie per essere disposto a saziare la curiosità di noi Oche – e non solo – riguardo questa iniziativa proposta dal Teatro Nazionale e il suo nuovo Direttore Artistico, Davide Livermore.

Veniamo al dunque, perché “Il Senso del Sogno”? L’iniziativa – ovvero l’incontro tra il Teatro Nazionale e le varie realtà teatrali liguri che si sono proposte – è stata motivata in particolar modo dal Covid-19 o sarebbe stata fatta comunque?


L'avremmo fatta comunque. Certo, forse in modo più sereno e più ampio, ma l'avremmo fatta. Nasce da un'idea di Davide Livermore che ha sentito l’esigenza di aprire il Teatro Nazionale, voleva conoscere gli artisti, i musicisti, i gruppi di questa città, un'esigenza quindi importante, che risponde anche ai compiti istituzionali di un teatro pubblico: quello di confrontarsi e ascoltare la situazione dei teatri della città e della regione. Dovevamo farla prima, poi le cose hanno avuto tempi diversi a causa della situazione che tutti purtroppo conosciamo bene, ma era prioritaria per tutti noi.

Perché avete deciso di chiamare questo evento “Il Senso del Sogno” dal momento che si è trattato di aprire a delle “realtà” presenti sul territorio?


Giusta domanda! “Il senso del sogno” è un verso di Shakespeare. E l’abbiamo scelta perchè c'è ancora chi sogna di fare teatro, perché fare teatro è un sogno. In questo momento di teatri chiusi, di teatri senza spettacolo, è un modo per discutere sul senso di questo nostro condiviso sognare. Non solo era opportuno per questo momento che stiamo vivendo ma anche pensando al futuro, al prossimo triennio per quel che riguarda la direzione artistica del Teatro Nazionale, si tratta di ricollocare questo teatro nella grande internazionalità, nel grande livello italiano che ha sempre avuto.

Quindi ragionare insieme con i gruppi, i giovani, gli artisti della città era imprescindibile per ritrovare il senso profondo di questa azione. Anche nella mostra che abbiamo fatto, "EDIPO: IO CONTAGIO”, ci siamo chiesti: perché continuare a fare teatro? Mi sentirei di rispondere, e penso possa essere un pensiero condiviso, che noi pensiamo che il teatro abbia un ruolo fondamentale nel ricostruire la polis, nel ricostruire l'agorà, per ritrovare insieme la bellezza e la profondità del vivere assieme.

Questa iniziativa diventerà quindi una "buona pratica" del Teatro Nazionale?


Lo vorremmo tantissimo, anche perché ci sono arrivate moltissime domande che non siamo riusciti ancora a incontrare per motivi di tempo, ma sicuramente ci saranno altri appuntamenti, e vorremmo fosse una pratica da proseguire anche negli anni futuri.



Davide Livermore
Davide Livermore durante le prove di “Bastiano e Bastiana”, photo credits: Federico Pitto

E cosa avete visto? Quali sono le impressioni riguardo questo primo giro di incontri?


Sono state tre giornate molto belle per me, molto appassionanti, con grande partecipazione e generosità da parte di tutti; è un segnale molto incoraggiante perché significa che questa apertura è stata recepita e condivisa. Dal punto di vista artistico, ci sono idee molto interessanti e progetti molto buoni su cui continuare a ragionare.



Stavate cercando qualcosa/qualcuno in particolare?

Stavamo cercando di conoscerci, di conoscere e farci conoscere. Io faccio il critico da una trentina d’anni: alcuni degli artisti che abbiamo incontrato li conoscevamo da tempo e siamo stati felici di ritrovarli e di ritrovare immutato l'entusiasmo. Però non era un provino su parte, piuttosto un primo dialogo su possibili progetti, e questo è stato molto interessante e avrà sicuramente degli sviluppi.

Potrebbero quindi diventare delle coproduzioni del Teatro Nazionale?

Probabile, può darsi anche delle produzioni, degli incoraggiamenti, dei sostegni. Ad esempio, una cosa emersa come bisogno comune a tutti è la ricerca di un luogo dove provare e trovarsi. E chissà che il Teatro Nazionale entro breve non riesca a rispondere a questa esigenza.


A questo proposito, da parte dei gruppi quindi che cosa è emerso?


Come dicevo, il bisogno di un luogo sicuramente; e il bisogno di passare da una fase d'amicizia, dal volontarismo, a una fase professionale. Anche questa è una cosa che Davide Livermore ha chiesto ai gruppi, non si può avere solo entusiasmo, ma si deve essere sempre più professionisti. Venendo lui dalla musica e dell'Opera, sa bene quanto in quel contesto la selezione possa essere più feroce, bisogna dimostrare di saper cantare (e cantare bene) e di saper suonare (e suonare bene).

L'impegno da parte del Teatro Nazionale sarà proprio questo, l'impegno di aiutare a far crescere la professionalità del territorio. Ci sono già delle realtà molto importanti sul territorio, penso a Kronoteatro di Albenga o alla Compagnia Teatrale degli Scarti di La Spezia, li abbiamo incontrati con molto piacere e sicuramente ci sarà un dialogo.



Dal punto di vista della nuova direzione artistica, in particolar modo dal punto di vista drammaturgico, che cosa è pronto a offrire il Teatro Nazionale? Verso dove si andrà?


Davide Livermore come avrai intuito è una fucina di idee e un motore inarrestabile di energie, tensioni e possibilità. Per quel che mi riguarda, ho accettato il ruolo di dramaturg smettendo i miei panni di critico, cominciando questa avventura. Sarà un'avventura molto bella e sono tante le linee progettuali, produttive e culturali da seguire. La cosa importante secondo me, e anche qui penso di parlare anche a nome di Davide, è rilanciare una cultura teatrale in una città che ha fatto la storia del teatro. Poi possono essere testi classici, tragedie, testi di fantascienza, ma l’importante è ritrovare la centralità dell'attore, una visione registica coerente e critica: penso che questi siano i punti fondamentali da cui partire.


Davide Livermore
Davide Livermore, photo credits: Studio Leoni

Se dovessi riassumere tutto questo in una manciata di parole, quale sceglieresti?


Davide direbbe qualità, bellezza, entusiasmo, e anche politica. Per quel che mi riguarda, direi che c'è un grande futuro nella tradizione. C'è molto da cercare in quell’enorme patrimonio che il passato ci ha regalato, e vedere quello che ancora ci parla e ci spiega chi siamo, perché siamo qui e perché abbiamo bisogno di teatro, credo sia una ricerca emozionante da fare adesso.


Soprattutto oggi: non appena sarà possibile una ripresa, le persone avranno sete di tutto questo ed è giusto che il teatro sia pronto a rispondere.


Assolutamente sì: la comunità ha bisogno di questa ritualità civile e laica per capire la nostra esistenza e i nostri problemi, quanto mai oggi.



Marta Cristofanini
Marta Cristofanini, la nostra zoom-Oca

Ringraziamo Andrea per questa “zoomata” con l’Oca. L’iniziativa del Teatro Nazionale, oltre a riempirci di curiosità sul potenziale movimento tellurico indotto da una chiamata del genere, ci ha stimolato l’appetito: che cosa è cambiato - se qualcosa è cambiato - dalla prima ondata di marzo? Gli artisti liguri si sentono immobili o sono pronti a spiccare il volo? E se sì, verso dove?



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