Il buio totale, il suono di un oboe. Rumore di passi. Sul palco, illuminata da un occhio di bue bianco, appare una donna di una certa età che sta in piedi rivolta verso la platea. Chiede il divorzio dal marito, per una semplice ragione: la mancanza d’amore. La voce femminile di un personaggio fuori campo interloquisce con lei nei panni del giudice. È la scena iniziale del puzzle composto da «venti frammenti di discorso intorno all’amore». Si tratta di venti ritagli di situazioni concrete, che rappresentano diversi tipi di relazione amorosa: nella coppia, nella famiglia, nel matrimonio, in ambito educativo. Tensioni, litigi, tradimenti, amnesia, malattia mentale, genitorialità, amore conteso, eccesso d’amore, ossessione. Ciascuna delle scene racchiude in sé più di uno stato d’animo e molteplici emozioni: angoscia, isteria, incomprensione, solitudine. Le comprime, le amplifica, fino a farle esplodere nella sala. Le sensazioni trasmesse allo spettatore sono reali, forti, nitide. L’idea dell’amore che viene messa in scena appare però fin da subito stereotipata, o semplicemente difettosa.

La scenografia è spoglia, buia, i vuoti tra gli attori fanno pensare a immensi buchi neri. Eppure la scenografia è ciò che arriva prima di ogni cosa. L’impatto visivo è forte e stratificato, perché colpisce lo spettatore a più livelli. Sei videoproiettori a soffitto determinano la profondità della scena, la prospettiva e le linee di fuga sul pavimento. Si ha la sensazione che le luci siano la materia che riempie ed amplifica l’azione degli attori. E lo stesso si può dire del suono. La creazione luci di Eric Soyer e la ricerca sonora di Philippe Perrin sono atipiche e fondanti, accendono i gesti dei personaggi come dispositivi cinematografici. Da una parte il suono sottolinea i contrasti, gli strappi, le goffaggini e funziona come lente di ingrandimento sulla complessità di quanto viene rappresentato sul palco; il volume e gli effetti sonori aumentano man mano che l'intensità drammatica delle scene raggiunge l’apice. Dall'altra parte, la luce crea lo spazio scenico: taglia il luogo dell’azione, con neri intensi che fanno sparire ambienti e situazioni, e illumina i profili anziché i volti degli attori.
Gli attori sono gli stessi artisti che dodici anni fa hanno animato la prima versione di questa rappresentazione, nata come uno spettacolo bifronte. Al momento della creazione, lo spazio scenico corrispondeva a un lungo corridoio racchiuso tra due ali di pubblico, a sottolineare ulteriormente l’alterità, il décalage che può esistere tra diversi individui nell’osservazione di una stessa realtà. Oggi assistiamo allo spettacolo con i medesimi attori, ma una scenografia pensata per una visione frontale. Questo consente al regista e agli interpreti di sperimentare un nuovo rapporto con lo spazio e con il pubblico e di inserire alcuni espedienti ricorrenti, che operano la magia di questa pièce: una sfera specchiata, due automobili elettriche degli autoscontri, che si inseguono in un movimento silenzioso ma ritmato dalle luci intermittenti, il fumo a filo del suolo e, soprattutto, una performance canora che si muove in direzioni imprevedibili sulla musica originale di Antonin Leymarie. Ad eseguirla è un personaggio androgino, in un costume bianco scintillante, stile jumpsuit anni Settanta, con strass e paillettes, scollatura a V profonda e pantaloni a zampa di elefante. La sua presenza in diverse scene è caratterizzata da una voce profonda e gracchiante che emette suoni non appartenenti a nessuna lingua esistente. La comicità di alcune immagini e gli effetti sonori che accompagnano la rappresentazione hanno un ruolo di decostruzione del dramma e nello stesso tempo di collante tra le scene, che scorrono veloci, come un flusso continuo attraversato da un unico sguardo scenico, quello di Joël Pommerat.

Teatro all’italiana per definizione, il Théâtre des Célestins propone un ambiente raffinato ed elegante, propizio alla concentrazione sugli attori e sul testo. L’estetica coinvolgente della sua sala principale (la Grande Salle), con platea, palchi sovrapposti e loggione, distacca e mette in risalto la scenografia minimalista e sobria di questo spettacolo. Un’atmosfera confortevole per uno spettacolo dinamico, duro e controverso, che scuote il pubblico, lo interroga, e che lascia molte questioni irrisolte.
Unica perplessità: la scelta del regista e degli attori - con lui durante la scrittura scenica e l’improvvisazione creativa in fase di allestimento dello spettacolo - di portare in scena figure femminili assolutamente instabili, incerte, inette. Le donne di questo spettacolo sono talvolta delle sprovvedute, altre volte delle vittime. Hanno una bellissima energia emotiva, luminosa e intensa, che spesso rasenta la follia. Sono affascinanti nel loro incedere obliquo, traballante e insicuro sui tacchi. Ma, in ogni caso, restano perfettamente sprovviste di razionalità. Come se la forza di questi personaggi femminili risiedesse nel loro unico talento emotivo, nella caparbietà cieca, nell’affanno, nell’ostinazione. Questo può risultare a tratti fastidioso per lo spettatore, in una pièce che nasce con l’intenzione di smantellare un’idea dell’amore da sempre stereotipata.
Elementi di pregio: la tematica intima eppure universale; la scrittura scenografica e il concept artistico delle luci, che collocano i gesti degli attori all’interno di un pulviscolo luminoso molto denso, schiacciante, che è esso stesso materia scenica.
Limiti: la natura aperta e non univocamente interpretabile del testo; una drammaturgia altamente simbolica richiede una certa predisposizione a riflettere e a decifrare metafore e significati opachi.
Visto a Les Célestins, Théâtre de Lyon, 9 gennaio 2025
Creazione 2013Produzione: Odéon – Théâtre de lʼEurope, Compagnie Louis Brouillard Coproduction : Théâtre National Wallonie-Bruxelles, Folkteatern – Göteborg, Teatro Stabile di Napoli – Naples, Théâtre français du Centre national des Arts du Canada – Ottawa, Châteauvallon-Liberté – Scène nationale, La Filature – Scène nationale de Mulhouse, les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Le Parapluie – Centre des arts de rue – Aurillac in collaborazione con Teatrul National Radu Stanca – Sibiu.Con il sostegno del Programma Cultura dell'Unione Europea nell'ambito del progetto Cities on stage/Villes en scène e della Commissione Europea.
Ripresa 2024Produzione: Compagnie Louis Brouillard
Con: Saadia Bentaïeb, Ella Benoît, Agnès Berthon, Yannick Choirat, Philippe Frécon, Ruth Olaizola, Marie Piemontese, Anne Rotger, David Sighicelli, Maxime Tshibangu
Scenografia e luci: Eric Soyer. Assistenti alla regia: Pierre-Yves Le Borgne, Garance Rivoal, Lucia Trotta. Costumi: Isabelle Deffin. Suono: Philippe Perrin (2024), François Leymarie, Grégoire Leymarie (2012). Musica originale: Antonin Leymarie. Video: Renaud Rubiano. Direzione tecnica: Emmanuel Abate. Regia luci: Aliénor Lebert, Gwendal Malard. Regia scena: Olivier Delachavonnery, Héloïse Fizet, Pierre-Yves Le Borgne. Regia suono: Yoann Blanchard. Regia video: Grégoire Chomel. Realizzazione scenografia: Thomas Ramon – ARTOM (2024), les Ateliers de l’Odéon – Théâtre de l’Europe con i tecnici della Compagnie Louis Brouillard e il team tecnico di Odéon – Théâtre de l’Europe (2012).
Coproduzione: Théâtre de la Porte Saint-Martin - Parigi, La Coursive - Scène nationale de La Rochelle, Les Célestins - Théâtre de Lyon, LʼEstive - Scène nationale de Foix et de lʼAriège, LʼAzimut - Pôle national cirque dʼAntony et de Châtenay-Malabry, Les Théâtres de Compiègne, Le Théâtre de Suresnes Jean Vilar, La Comète - Scène nationale de Châlons-en-Champagne.Azione finanziata dalla Regione Île-de-FranceLa Compagnie Louis Brouillard riceve il sostegno della DRAC Île-de-France e della Région Île-de-France.Joël Pommerat e la Compagnie Louis Brouillard sono associati al Théâtre Nanterre-Amandiers - CDN, a La Coursive - Scène nationale de La Rochelle e al Théâtre National Populaire - CDN Villeurbanne.
I testi di Joël Pommerat sono pubblicati da Actes Sud-Papiers.
Un estratto da Scène de la vie conjugale di Ingmar Bergman, tradotto da Lucie Albertini Guillevic e Carl Gustav Bjurströ ©Éditions Gallimard.
Grazie a Julien Bellver, Gwendal Malard, Cici Olsson, Guillaume Rizzo. Joël Pommerat ringrazia Monique Pimouguet, Nathalie Dorion, Iman Kerroua, Élodie Subirade, Joséphine Duquesnoy, Maud Gentien, Élise Rochet, Anne-Marie Borée, Solène Dejean, Jérôme Garnier, Julien Desjardins, Frédéric Duten, Loïc Dauphin, Patrick Eisenbeis, Florent Masse e Luc Mouret per il loro generoso contributo alla ricreazione di spazi sensibili.
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