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Les applaudissements ne se mangent pas | L’indifferenza di fronte al pericolo che incombe

  • Francesca Oddone
  • 23 ore fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Entrando nella sala della Maison de la Danse di Lione per la serata dedicata alla coreografa Maguy Marin, figura chiave della nouvelle danse française degli anni Ottanta, si viene accolti dall’immagine di uno spazio scenico chiuso su tre lati da tende a strisce colorate, spesse e traslucide. Finché tutto è immobile, prima dell’avvio della pièce, è difficile rendersi conto che si tratta di tende in lamelle di plastica, comune e industriale, che delimitano un perimetro instabile. Questo apparato scenico suggerisce da subito un’estetica del quotidiano e della precarietà. 


Les applaudissements ne se mangent pas | ph: JP Morin
Les applaudissements ne se mangent pas | ph: JP Morin

Lo spazio scenico immaginato da Maguy Marin per Les applaudissements ne se mangent pas, in collaborazione con Denis Mariotte, Ulises Alvarez e Renaud Golo, viene abitato da un flusso incessante di otto interpreti, che entrano ed escono dalla scena, cadono a terra, riemergono, penzolano su se stessi e vengono di volta in volta trascinati via, oltre le tende. Questo movimento crea un effetto visivo e un dispositivo scenico di apparizione e sparizione, in cui il corpo è un protagonista meccanico, che attraversa ripetutamente una specie di soglia indefinita. I danzatori camminano, corrono, si affrontano. Da che cosa fuggono e che cosa succede dietro le quinte? Le mani afferrano, tirano dentro, spingono fuori. 


I costumi sono abiti del quotidiano, abiti da città e mocassini: tessuti ordinari, colorati ma dissonanti, indumenti che conservano le tracce della routine del lavoro. Lontani da ogni estetismo, disegnano una società vulnerabile, sospesa tra sopravvivenza e oppressione. La gamma cromatica dei costumi dialoga con quella delle tende colorate che chiudono lo spazio scenico. La luce (Alexandre Béneteaud, Albin Chavignon) muta costantemente la percezione dello spazio: a tratti calda, satura e terrosa, altrove livida, fredda, metallica. Questi passaggi cromatici amplificano il contrasto tra apparente vitalità e profonda alienazione, tra l’energia della folla e la solitudine dell’individuo. Ne risulta una collettività frammentata, affaticata, che porta addosso i segni dell’abitudine, senza ruoli né gerarchie. 


In questa architettura fragile, i corpi – sgraziati – agiscono come elementi di un sistema sociale in crisi. Sono vittime, scarafaggi. Si urtano, si accalcano, litigano, creano rapide piramidi acrobatiche, rotolano, eseguendo una partitura ritmica implacabile, millimetrata, scandita dai suoni di Denis Mariotte: stridori, pulsazioni, colpi secchi, spari. E poi il rumore delle tende che, vibrando, trasformano il paesaggio in una camera di risonanza dell’umanità contemporanea. Ogni movimento è impedito da qualcosa o da qualcuno: ci sono calci, umiliazioni, sguardi duri o diffidenti. E soprattutto, c’è sempre una sagoma a terra. I danzatori sono corpi sociali esposti alla violenza, sono martiri della furia capitalista, o forse del genocidio. Chissà.


Les applaudissements ne se mangent pas | ph: Francesca Oddone
Les applaudissements ne se mangent pas | ph: Francesca Oddone

La pièce è stata creata nel 2002 per la Biennale de la Danse di Lione e si ispira in particolare ai paesi dell’America Latina: Maguy Marin denunciava all’epoca il forte sfruttamento umano e culturale da parte di poteri interni ed esterni. Tuttavia, il conflitto rappresentato da Maguy Marin non è soltanto storico, ma esistenziale: dominatori e dominati, potere e sudditanza, strategie politiche di controllo, tensioni di classe, l’erranza, la sfiducia, la solitudine. Il titolo Les applaudissements ne se mangent pas – gli applausi non si mangiano – è tratto da una frase dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, critico acceso di oligarchie, dittature, neoliberismo e disuguaglianze. Questo titolo denuncia quindi la superficialità del riconoscimento simbolico (consenso, applausi) quando non è accompagnato da azioni concrete che trasformino la vita della società (cibo, diritti, libertà).


Come il titolo è la metafora potente di un giudizio sulla superficialità e gli interessi delle istituzioni politiche internazionali, così Maguy Marin afferma nel fuori scena che oltre lo spazio performativo, dietro le quinte colorate, ci sono i decisori mondiali, le COP, gli intrighi e le macchinazioni dei banchieri. La sua opera è stata rimontata nel 2016 dal Ballet de l’Opéra national de Paris. Oggi viene trasmessa a una nuova generazione di interpreti che non esita nel prendere posizione sul palco, appropriandosi di una scrittura basata sui rapporti di forza, sul push-and-pull, sul ritmo spietato di mani che manipolano e sguardi che tengono a distanza, ad immagine di una collettività indifferente, soggiogata dalle élite di governo.


Elementi di pregio: Il movimento di questa pièce, gli attraversamenti dello spazio scenico, le traiettorie di continuo andirivieni non costituiscono un motivo coreografico, ma drammaturgico. Tra gli elementi umani e di contesto sussistono diverse relazioni, che emergono nonostante l’essenzialità della scenografia, attraverso la simbologia delle tende che circondano il palco e funzionano al tempo stesso come barriere, confini, rifugio o salvezza.


Limiti: La struttura coreografica – corpi in conflitto, tensione, assenza di parole – conferisce allo spettacolo un carattere universale, non vincolato a un contesto storico specifico. Tuttavia, questa postura artistica può apparire forse datata nel richiamare un immaginario di resistenza tipico dei decenni scorsi, mentre le attuali forme di opposizione e critica sociale si esprimono attraverso codici più ibridi, performativi e multimediali, meno legati al corpo come unico veicolo di tensione.


Creazione 2002 • 8 interpreti

Coreografia Maguy Marin

Musica Denis Mariotte

Scenografia Maguy Marin, Denis Mariotte, Ulises Alvarez, Renaud Golo

Luci Alexandre Béneteaud, Albin Chavignon

Interpreti Kostia Chaix, Kaïs Chouibi, Brune de Maurin, Clémence Dieny, Lazare Huet, Louise Mariotte, Lisa Martinez, Alaïs Marzouvanlian, Rolando Rocha

Crediti fotografici Michel Cavalca


Maguy Marin • Les applaudissements ne se mangent pas

Coproduzione per la creazione nel 2002: Biennale de la danse de Lyon 2002; La Ferme du Buisson / Scène nationale de Marne-la-Vallée; Centre Chorégraphique National de Rillieux-la-Pape.

Per la ripresa del 2025: Maison de la danse — Lione, Pôle européen de création; Chaillot — Théâtre national de la Danse, Parigi.


La Compagnie Maguy Marin è in residenza permanente presso RAMDAM, UN CENTRE D’ART. È convenzionata con la Direction Régionale des Affaires Culturelles Auvergne-Rhône-Alpes, sostenuta dalla Città di Lione e riceve l’appoggio dell’Institut français per i suoi progetti all’estero.


Distribuzione nazionale e internazionale: A Propic — Line Rousseau e Marion Gauvent. Residenza e coproduzione per la ripresa del 2025: Pôle européen de création

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