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Il suono come immagine | Biennale Teatro 2025 Parte seconda

  • Enrico Pastore
  • 21 giu
  • Tempo di lettura: 5 min

Venezia non è solo la città del colore, delle albe di Tiziano e Bellini, dei cieli giorgioneschi, dei tramonti rosa Tiepolo o di un rosso tumultuoso alla Tintoretto, è anche la città del suono. Sentiresti la voce della città a ogni ora del giorno se non fosse per il sottofondo di brusio di sciame generato dal turismo barbaro. La notte, lontano dalle grida, dalle musichette da gondola, dalle voci che cantano Besame mucho, riesci a sentire il suo canto libero: le carezze stridenti delle briccole alle pance dei vaporetti, il tubare picchiettante degli scafi delle gondole che si urtano nel bacino Orseolo o in riva a Rialto, i gridi dei gabbiani all'alba, la sirena della motonave per il Lido, lo sciabordio delle acque sui gradini di pietra, il richiamarsi delle squille di innumeri campanili. A volte, se sei fortunato, un suono di flauto nella piazza San Marco deserta, con un poco di nebbia ad attutire il suono mentre si spande tra le colonne e i mosaici, oppure delle voci di festa che escono da una finestra di palazzo creduto disabitato.

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Evviva! Non ho fatto niente! | Andrea Avezzù

Il suono ha un che di magico perché riesce a raccontare il mondo con una poesia più discreta e nello stesso tempo più acuta rispetto alle immagini. La luce, si sa, giunge per prima, è invadente, ma il suono, pur con ritardo, ti porta un colore che l'immagine da sola non riesce. E in quest'epoca in cui tutto è saturo di immagini che invadono le retine, l'ascolto si perde sempre più. Eppure il suono ha molto da dire e da insegnare.

In La veggente di Milo Rau, il racconto di Ursina Lardi e di Azad Hassan, si arricchisce di un mondo di suoni in sottofondo. Non indelicati o indiscreti, giungono a portarti la geografia dei luoghi e la natura del tempo nel racconto, un tempo non epico, semplicemente comune, feriale, dove la violenza si consuma nel banale quotidiano. Il racconto dello stupro della fotografa si dipana mentre della musica techno si ode in lontananza. Il suono non ti avverte di alcun pericolo, resta in sottofondo a rimarcare l'ordinarietà di un atto brutale e violento quasi connaturato alla festa, un atto a cui prendono parte in molti, e i salvatori sono niente di più che altri carnefici. I colpi di mitra che si sentono in lontananza nel racconto di Azad non sono una sottolineatura di un concetto espresso dalle parole. Anche in questo caso forniscono le coordinate spaziali. Sono lontani, ma non troppo. Chi spara si sta avvicinando e occorre mettersi al riparo prima che sia troppo tardi. Il suono, quando è segno, racconta molto e con semplicità: è significante senza aver significato. 

Per il progetto www.wordworldwar.bomb dell'Accademia Silvio D'Amico, con la supervisione artistica di Antonio Latella, lo zurighese Thom Luz, regista e musicista, crea con i ragazzi del secondo anno del Corso di diploma accademico di II livello in Recitazione, Evviva! Non ho fatto niente! un'opera corrosiva e graffiante dedicata al poeta russo Daniil Charms, al secolo Daniil Ivanovič Juvačëv.   

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La veggente | Foto di Andrea Avezzù

Le assurde scenette, i non-sense divertenti, i mondi stralunati creati da un poeta capace di essere irridente persino nelle lettere dal gulag, diventano materiale sonoro in contrappunto con la più strana delle orchestre: tubi di alluminio di diverse lunghezze strisciando si trasformano in bizzarre canne d'organo, tavoli strascinati compongono un quintetto stridulo, i tromboni sfiatano sussurri e borborigmi, o  pernacchiano l'inno d'Italia, le percussioni martellano in disaccordo come un gruppo di politicanti. La voce stessa non si esaurisce nel discorso. D'altra parte non vi è nulla da dire, le parole giocano tra loro a dire niente, e quel niente, come diceva John Cage, è tutta la poesia che ci serve. Questa operina piena di energia, di forza, di esuberanza, così ben vissuta da questo gruppo di giovani attori, dona al pubblico una gioia serena. Il motto di Charms posto sul programma di sala, racconta come meglio non si potrebbe questo piccolo gioiello scenico: il teatro deve calmare i confusi di questo mondo e confondere i calmi di questo mondo. 


Altro frammento di www.wordworldwar.bomb è Grrrrr/grrrrr del regista Sebastian Nübling con la compositrice Jackie Poloni, dove il suono è la trama stessa della performance. Il ritmo dei passi e dei movimenti forma il tessuto percussivo su cui si innestano le parole. Il movimento è contrappunto sonoro alla parola, le fornisce consistenza. Quei passi inesorabili rendono le paure espresse più concrete, danno corpo ai mostri che abitano dentro di noi, sempre in agguato, pronti a inseguirci  anche se cerchiamo di esorcizzarli con l'ironia. Quel ripetere ossessivo Italia, Italia, Italia finisce per diventare il paesaggio sonoro delle paure di questi giovani, in questa nazione ipocrita che a parole vuole difenderli, ma li costringe a essere perfetti, efficienti, belli, magri, istruiti, atletici, disponibili a qualsiasi sacrificio. La parola è sia luogo, che atmosfera del luogo, uno spazio via via più asfittico in cui è sempre più difficile esprimere se stessi. Bisogna camminare in gruppo, allo stesso tempo, allo stesso ritmo, esibirsi senza fermarsi mai. 

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Grrrrr Grrrrr | Foto di Andrea Avezzù

E infine il suono di Romeo Castellucci ne I mangiatori di patate. Ai piccoli e sonnacchiosi rumori estivi del lazzaretto abbandonato, dove i grandi capannoni sono disturbati solo dal frinire di cicale e dal ronzio di barche in lontananza, si viene presto trasportati in un mondo diverso dove la vita sembra essere calpestata. I grandi sacchi neri per cadaveri nascondono qualcosa di vivo che si agita, sfrega contro la terra, struscia, producendo un suono di terra e plastica innaturale, dove la vita è già contaminata da qualcosa di estraneo. È perturbante perché è, ma non dovrebbe essere o, per lo meno, non essere presente in quella forma e in quei contenitori oscenamente frigidi. Un suono che si sposta come un’eco di padiglione in padiglione. Poi il buio totale, il rombo come di reattore o di bomba atomica, riempie ogni spazio, ogni interstizio, non lascia scampo insieme al vento che ti sbatte in faccia. E poi, quando il suono scema, appare l'angelo, di spalle ai viventi, rivolto verso il fondo buio. Poi il suono degli scarponi dei minatori, di coloro che vivono sottoterra e paradossalmente portano il sole, aprendo pertugi di luce dalle pareti, una luce che non porta conforto, perché illumina il cadavere dentro il sacco, un cadavere parlante le cui parole sono incomprensibili. Il mondo sonoro di Castellucci  non è quello dell'Ade e nemmeno dell'inferno, ma appartiene a un luogo di mezzo, dove vagano coloro che non hanno pace, una trappola tra le dimensioni dove perfino i morti non riposano.

 

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I mangiatori di patate | Foto di Andrea Avezzù

Questa Biennale Teatro è stata dunque prodiga non solo di immagini, ma anche di suoni. Una pluralità di voci capaci di raccontare il mondo al di là delle parole e dei significati. Era da tempo che non si incontrava una tale ricchezza e pluralità di punti di vista in un festival. Vecchie e nuove generazioni i cui linguaggi scenici, come nel radiodramma di Beckett, sono composti di parole e musica, una nuova lirica in cui protagonista non è l'armonia, ma il volto del caos. Questi frammenti ci porgono infatti un'immagine agghiacciante del reale presente. Non sono specchio del mondo, ma costituite della stessa natura del mondo: un luogo caotico, pauroso, oscurato dalla notte della ragione. Raccontare di questa oscurità che ci avvolge, tenebre abitate da suoni e voci, è uno dei compiti più alti del teatro. 


Spettacoli visti dal 10 al 13 giugno 2025. 

Per i crediti completi e maggiori informazioni consultare i link sotto riportati 


Evviva! Non ho fatto niente! Regia di Thom Luz con  Eva Cela, Pietro Giannini, Fabiola Leone, Irene Mantova, Riccardo Rampazzo, Daniele Valdemarin


I mangiatori di patate di Romeo Castellucci – Societas


The (Undoubled) di Anthony Nikolchev – The Useless Room 


The Mountains di Evangelia Rantou e Mary Rantou – Garage21


Grrrr/Grrrr di Sebastian Nübling e Jackie Poloni con  Eva Cela, Pietro Giannini, Fabiola Leone, Irene Mantova, Riccardo Rampazzo, Daniele Valdemarin


Die Seherin/La Veggente di Milo Rau con Urlina Landi e Azad Hassan 

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