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Eva Olcese

Liquidi a tutti i costi - Report da TLVD | La Spezia, 24-26 maggio

Il clima spezzino rilassa le membra e rallenta il ritmo serrato del programma di Tutta la vita davanti - festival di teatro per vecchi del futuro, che sotto la direzione artistica di Alice Sinigaglia giunge alla sua seconda edizione.

La tavola rotonda inizia in ritardo e ipotizzo, seguendo le parole della stessa curatrice, che ci sia il timore di “fallire ancora”. Poi però Sinigaglia rompe il silenzio e ammette quanto, durante quella dell’anno scorso, l'obiettivo del dialogo tra giovani artisti e critica giovane sia stato mancato: in quattro ore fitte di conversazione si era parlato di economia, ansia da prestazione e in generale di tutto ciò che allontana e non permette di fare arte, ma quasi non si era parlato delle nuove poetiche, che erano al centro degli interrogativi posti a inizio della tavola rotonda. 


Ci invita allora a un esercizio di immaginazione: «Facciamo finta che vada tutto bene, che ci siano i soldi». Nei discorsi di quest’anno si delinea una generazione delle macerie, che fa difficoltà a dare spallate a quella precedente perché non riconosce i padri da uccidere e i maestri da abbattere. Una generazione che, anzi, ha quasi una reazione allergica alla parola maestro, come dichiara Giovanni Onorato: è una figura della quale non si circondano più né alla quale aspirano. Maddalena Giovannelli si chiede, allora, se sia possibile farsi un’identità collettiva senza un'alterità da combattere. Ma i giovani artisti difendono questa scelta di ambiguità: vogliono avere il diritto a essere incoerenti, sentono una repulsione a diventare brandizzabili («se la tua poetica diventa riconoscibile, puoi essere brandizzato» afferma Alessandro Paschitto del gruppo Ctrl+Alt+Canc) e intendono sfuggire alle categorizzazioni.

C’è chi sente che a creare confusione creativa sia la divisione tra il lavoro “fatto per campare” e quello fatto in piena libertà creativa. E si torna a parlare, inevitabilmente, di soldi. 

Qualcuno di loro anche replica: “Non siamo noi a dover parlare della nostra poetica”, ribaltando l’onere su noi critica.


Mi viene quasi da pensare che l’unico elemento che accomuna questa generazione sia la sua volontà di sfuggire a definizioni, categorie, etichette: è una generazione allo stato liquido, che assume la forma del contenitore che di volta in volta la limita e trova la forza poetica in una mancata forma, in questo essere incomprimibile.


In questa tre giorni spezzina ci vengono presentati nove spettacoli che variano dalla performance alla stand up,  dall’esperimento radiofonico fino al concerto recitato. «Mai solo teatro» recita Alice Sinigaglia nel foglio di sala e sembra questo ibridare i linguaggi il vero motto e collante di spettacoli così differenti tra loro - oltre a un vago senso di caducità che aleggia nei testi e l’abitudine di apporre delle premesse, forse data dalla paura di non essere capiti o dalla volontà, nonostante la liquidità proclamata, di mandare un messaggio chiaro.


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BEATI VOI CHE PENSATE AL SUCCESSO, NOI SOLI  PENSIAMO ALLA MORTE E AL SESSO di Gruppo della Creta


Davanti a noi ci sono cinque amici su un divano gonfiabile, luogo di esplorazione dei loro limiti.

Se il tema della morte, all’inizio, sembra portante nella narrazione, specie nel primo atto della pièce,  con il gioco delle scelte - un telequiz in cui i personaggi vengono continuamente sfidati a scegliere per sé un modello di vita ideale - tutto si fa confuso. 

Si passa dal parlare di una pizzeria in statale a Vibo Valentia fino a raccontare una violenza avvenuta negli spogliatoi, senza che il cambio di registro sia graduale. Il testo è condito da vari momenti di climax che autoimplodono, l’estetica è ancora quella stantia dei mumblecore anni 2000 e a nulla serve la grande intesa tra gli interpreti perché, come nei migliori cliché di teatro under30, vuoi non chiudere con una scena di distruzione dello spazio?



CIACK SI GIRA, LA VITA È UNA TORTURA di Gruppo Uror


Mentre una scritta al neon lampeggia la frase “good vibes”, ci ritroviamo ad assistere a una puntata di Radio Tortura, un programma radiofonico costruito su una lamentatio continua. Tra freddure, maschere, marionette e varie rubriche - quella del cuore infranto, poi quella scientifica o ancora quella con ospite letterario una lapidaria Virginia Woolf - l’esperimento di Caterina Rossi ed Evelina Rosselli del gruppo UROR ha il carattere del divertissement: nato per partecipare a un bando indetto all’interno della loro Accademia di provenienza (il Bando Anna Marchesini, NdR), ci fa sperare di vederlo portato avanti come una rubrica a cadenza quanto meno mensile.



PERSONNE. CHRONIQUES D’UNE JEUNESSE di Ugo Fiore e Livia Rossi


Tutt’altro ritmo ha il ripercorrere dei ricordi in Personne. Chroniques d’une jeunesse

Federica Furlani suona il theremin creando una sospensione spazio-temporale tra le parole in rima di Ugo Fiore. L’attore e co-regista ci trasporta in un mondo di giochi di infanzia, un mondo in cui la casa ha un buco che si mangia i soldi dei genitori (costretti perciò a lavorare in eterno), una sabbiera in cui nascondere gli oggetti maligni e una siepe oltre la quale si immagina un mostro. 

Il mostro, un giorno, effettivamente si palesa. È un uomo di quarant’anni che è inciampato e rimasto nell’infanzia. Si chiama Xavier e, assieme al protagonista, scrive sceneggiature online, che pian piano volgono sempre sul piano dei sensi - iniziando dal vestire i panni di una coetanea in gonna per poi farsi sempre più esplicite.

Fiore ricostruisce l’abuso come se stesse riavvolgendo una musicassetta: mentre il theremin emette un suono tra un fischio e un sibilo, le parole si avviluppano e la proiezione sullo schermo ci permette di entrare nelle stanze della casa.

Solo quanto osceno è stato eliminato dalla memoria, il trauma è il bug di sistema, è la frase mancante del racconto, il punto in cui la cassetta si è inceppata e ha smesso di registrare.

Hai scelto tu di vederlo? - gli chiede il padre

Vorrei la garanzia che non gli somiglio. - dice a se stesso. La delicatezza di Personne sta però nel delineare, con pochi strumenti e una scena bianca e asettica, un mostro molto umano, senza mai volerlo uccidere.



SUCK MY IPERURANIO. PER UNA STAND UP COMEDY TRISTE, IRONICA, POTENZIALMENTE STRAZIANTE di Giovanni Onorato


Suck my iperuranio racconta la storia dell’incontro tra Giovanni e Maria. Non quelli biblici, sia chiaro…ma c’è comunque qualcosa di sacrale nel modo che ha Giovanni Onorato di raccontare l’amore, nei momenti in cui “la realtà si riempie di luce come uscita da un acquario rotto”: lo fa con una tenerezza che è a tratti commovente. 

Tra battute sarcastiche («Non è la dieta mediterranea, è il capitalismo che sessualizza il glucosio») e un linguaggio che deve molto alla poetry slam e al cantautorato, Onorato costruisce una drammaturgia sulla fine di un amore, in cui il piano della più tradizionale lirica amorosa (vedi, per esempio, il racconto delle mani dell’amata, che per Onorato sono come quelle delle pinacoteche) e una desolazione tipica della musica indie camminano mano nella mano e si alternano e si accumulano in una catena di associazioni mentali più o meno logiche.


«Maria dove sei? Ogni mattina mi

sveglio e cerco le tue mani per metterle sotto le ascelle come gli erogatori nelle pompe di benzina e non le trovo e

vorrei urlare, urlare fortissimo, così che arrivi

l’esercito, i pompieri, la polizia, le ambulanze, le famiglie di tutto il mondo per aprire la porta di questa stanza e chiedermi: “Va tutto bene?” e finalmente poterlo dire a qualcuno che sì, che va tutto bene! Il bene è la cosa più crudele che abbia mai incontrato! Questa luce che

cade dall’alto e benedice ogni cosa, trasforma in oro il più miserabile stipite arrugginito di fronte al quale posso

solo inginocchiarmi e ringraziare… inginocchiarmi e ringraziare… inginocchiarmi e ringraziare... e mi basterebbe trovare le tue mani per metterle sotto le ascelle come gli erogatori nelle pompe di benzina per scaldarle e sentirmi utile...»


Rivedo questo spettacolo a distanza di due anni, dopo averlo visto al Teatro Sociale di Gualtieri in occasione di DirectionUnder30, e mi sembra che Onorato ci sia cresciuto dentro, quasi fosse stato un vestito di seconda mano: qualche vezzo nella recitazione rimane, ma il tono è più controllato e occupa la scena con una sicurezza nuova. Ormai il vestito gli cade a pennello.



SWAN di Gaetano Palermo


Il piazzale rosso davanti al Dialma si libera piano piano dalle grida dei bambini. Ne rimangono solo un paio a rincorrersi senza sosta mentre una tiktoker sui roller (Rita Di Leo) si sistema le extension in maniera ossessiva. Scosta i ciuffi mentre si specchia incessantemente nello schermo dello smartphone e cambia angolazione della ripresa. Guarda in camera e fa le prime piroette. Uno sparo e cade a terra. Come se nulla fosse, si tira su e continua a pattinare. Uno sparo e un’altra caduta svela la maschera che le nasconde i lineamenti. Affanna, ma l’importante è rimanere live. Un altro sparo e la parrucca si arruffa, il cappellino le cade. Ma si rialza, ride agonizzando. Poi perde la parrucca, la risistema come se nulla fosse. Uno sputo, la parrucca è di nuovo a terra. Si guarda riflessa e la risata si fa panico. Poi torna a governarlo. Con Swan Gaetano Palermo vuole attuare una rivisitazione in chiave contemporanea de La morte del cigno, celebre assolo di Michel Fokine composto nel 1901 per Anna Pavlova. Alla morte agonizzante dell’animale viene sostituito il dramma di una generazione che, anestetizzata dal narcisismo, non si rende più conto di sanguinare. È la generazione della setta 7M, sorriso fisso in bocca, mentre si creano coreografie per il “social dei balletti” e non si realizza di essersi trasformati in marionette. Ma Gaetano Palermo non ci permette di abbandonare la platea indenni: con la morte del cigno, ci ricorda quanto anche noi spettatori siamo partecipi di questa pornografia dell’orrore, quanto ne siamo estasiati, cercando di vederne sempre un po’ di più.



CONCERTO FETIDO SU QUATTRO ZAMPE di Alice e Davide Sinigaglia


«E mi ricordo com'era amarsi come i cani

Uno faceva l'amore e c'era l'amore


Amarsi come i cani in un campo di fiori

Un sole giallo, un prato verde, un cielo azzurro

Mettersi come i cani a quattro di bastoni

Ad annusarsi i culi

Tendersi le carezze

Non dire una parola


E mi ricordo tante cose quando passo da quelle parti

E mi ricordo com'era amarsi come i cani

Ma non mi ricordo più

Non capisco com'è che poi torniamo umani»


[Amarsi come i cani di Giovanni Truppi]


Una batteria, due microfoni, una tastiera e un paio di maschere da cani. Alice e Davide Sinigaglia con Concerto fetido su quattro zampe (co-prodotto da SCARTI) vogliono provare a opporsi a un’ennesima stagione morta e identica nella loro città natale: La Spezia. È una vita da cani randagi quella raccontata dai fratelli Sinigaglia, fagocitata dalle droghe e da un cinismo nero. Così, ispirati da un pamphlet di Jacques Derrida (L'animale che dunque sono), provano a seguire una strada altra, a chiedersi quale sia il confine tra uomo e animale, a domandarsi quand’è che ha vinto il decoro, la sicurezza, la pulizia.

Se per Deridda l’uomo è, per un simpatico gioco di pronunce, l’Ani-mot (l’animale-parola, termine che in francesce si legge come animaux), in quanto si distingue dall’animale vero e proprio solo per l’uso della parola, i Sinigaglia decidono di perdere la voce e tornare bestiali: indossano quindi le maschere da cane e si mettono a carponi. Inizia qui una lunga (quasi interminabile) sequela di minuti in cui li osserviamo perdere quell’umano senso del pudore per mimare azioni, versi, gesti ed espressioni che associamo al mondo canino. 

Con Concerto fetido su quattro zampe i due autori vogliono invitarci ad abbracciare la nostra bestialità, a rimetterci a quattro di bastoni per tornare allo stato di natura. Per correre nudi per i prati e annusarci i culi. Lo fanno urlandoci contro, a metà tra concerto punk e poetry slam, canzonette adolescenziali contro la società. L’esercizio di astrazione però sembra fatto a metà, sembra fermarsi a una simpatica superficie in cui, per invitare gli spettatori ad abbracciare il proprio lato feral, basta farli sorridere di una strofa contro la società borghese e le sue pose ipocrite, o ancora farli sbellicare di fronte alle gag canine che tanto mi ricordano i video di Paperissima Sprint (perché, in fondo, chi li ha dimenticati?).



AMADRIADI di Michele Ifigenia/Tyche


Quando ci ritroviamo nel cortile del Dialma davanti a Enzina Cappelli abbiamo la sensazione di essere di fronte a un inganno da statua vivente: un piede fisso come una radice nel terreno, mentre il resto del corpo sembra fluttuare sospeso, insensibile alla forza di gravità. Gli arti si muovono in un ralenti quasi religioso, mentre un suono di legna e vento riempie lo spazio. Come già avvenuto in Citerone e Cuma, il corpo della performer si fa monumentale. Si deforma, grida e infine sorride, freezato dalla metamorfosi in albero. In Amadriadi Michele Ifigenia Colturi condensa la ricerca del collettivo Tyche (che ha come punti cardine lo spazio, il mito, il rito e la rappresentazione), ma suscita ben poco, oltre allo stupore generale.



AFÀNISI di Ctrl+Alt+Canc


«Questa pièce funziona al contrario: quando noi ci interrompiamo, voi vedete».


Se già in ()pera Didascalica, il gruppo Ctrl+Alt+Calc costruiva lo spettacolo su una continua rimozione, con Afànisi opera una sottrazione totale: come nell’eccellenza del teatro postdrammatico non è rimasto più nulla, non c’è una scenografia, non un personaggio, neppure una trama.

Ci sono solo tre ragazzi in scena che si muovono in uno spazio vuoto e ci lanciano suggestioni: ci invitano a un esercizio di immaginazione.

In Afànisi al centro ci siamo noi spettatori e tutto quello che riusciamo a immaginare. E questo è il suo punto di forza, ma anche il suo più grande punto debole, perché elemento fondamentale diventa il compromesso nella relazione tra attore e spettatore.


Nonostante la fiducia richiesta agli spettatori nel dispositivo, Afànisi finisce infatti, negli ultimi minuti della pièce, per tradire sé stesso: se per tre quarti dello spettacolo ci sembra infatti di assistere a un lunghissimo prologo shakespeariano (riecheggiano i versi da Enrico V: «Sopperite alle nostre deficienze con le risorse della vostra mente»), alla fine il compromesso viene rotto e gli attori smettono di farci immaginare per rappresentare un paio di scene. Un bacio, una donna in pelliccia che balla su Franchino e una sfilata, con tanto di maschere animalesche.


Inoltre, nel volersi sganciare dalla realtà, il gruppo Ctrl+Alt+Calc addotta un ritmo sempre più repentino e un tono di interlocuzione fin troppo aggressivo, invitando il pubblico a creare immagini sempre più assurde e in controtempo che non permettono allo spettatore di attivare il meccanismo drammaturgico, già messo precedentemente in crisi. Afànisi si trova quindi a pagare lo scotto di chi tra il pubblico non si sente indispensabile per il testo e decide di non assecondare questo esercizio di immaginazione o di non farlo fino in fondo.



GENNARIELLO, UNA FESTA DI MERDA di Enrico Casale, Damiano Grondona, Alessandro Ratti e Caterina Rosaia


Benvenuti nel parco dei mostri!

Con Gennariello, una festa di merda assistiamo a un elenco di tipi adolescenziali: maranza, fattoni, politicizzati (quelli a cui stanno tutti sul cazzo: sono anti-capitalisti, anti-patriarcali, anti-machisti, anti-egoisti…) e tipe da OnlyFans… Sono tutti invitati alla festa a sorpresa per Sofia. Ci sono pure quelli che fanno un pensierino da 10 euro ciascuno e un’orchestrina di fiati (la GOSP - Giovane Orchestra Spezzina), che intona Tuta gold di Mamhood. La festa però fallisce, è una merda, l’unico vincitore morale sembra Gennariello, il figlio napoletano della signora delle pulizie che accumula flirt su flirt. 

Se la restituzione del laboratorio di teatro e scenografia No Recess! due anni fa riprendeva dichiaratamente Il canto degli alberi di Antonio Moresco, in questo caso la citazione a Pier Paolo Pasolini - e ai suoi attacchi a una società consumista, conformista e fascista nelle Lettere luterane - si fa più subdola, perfettamente ibridata dallo slang giovanile dellə ragazzə partecipanti. Si conclude quindi con una piazza finalmente colma di persone la seconda edizione di Tutta la vita davanti, una tre giorni che avremmo voluto vedere più partecipata, ma che conferma la grande generosità dal centro di produzione Scarti verso una città che, sempre più mangiata dal turismo di massa verso le Cinque Terre antistanti, vede in luoghi come il Dialma, lo Shake Club e la Skaletta gli spazi in cui combattere la propaganda di una cultura consumistica promulgata dall’ancora presidente Giovanni Toti. 


LEGENDA EMOTICOCA


spettacoli visti a TLVD - Tutta la vita davanti. Festival di teatro per vecchi del futuro | La Spezia, 24-26 maggio

Un progetto di SCARTI Centro di Produzione Teatrale d'Innovazione

a cura di Alice Sinigaglia

direzione artistica e generale Fuori Luogo: Andrea Cerri

direzione progetti speciali e teatro di comunità Enrico Casale

laboratorio di teatro e scenografia No Recess! Enrico Casale, Damiano Grondona, Alessandro Ratti e Caterina Rosaia

direzione tecnica Stefano Rolla, Daniele Passeri

organizzazione generale Giulia Moretti

distribuzione spettacoli e direzione Fuori luogo Kids Francesca Lateana

amministrazione Caterina Rosaia, Serena Segurotti

logistica Alessandro Beltaro

biglietteria e coordinamento personale di sala Tamara Paci, Eleonora Soggia

ufficio stampa Maddalena Peluso

comunicazione e collaborazione artistica Francesca Lombardi

grafica Leonardo Mazzi / neo-studio.it



BEATI VOI CHE PENSATE AL SUCCESSO, NOI SOLI  PENSIAMO ALLA MORTE E AL SESSO di Gruppo della Creta


drammaturgia di Tommaso Cardelli, Alessandro di Murro e Tommaso Emiliani

regia di Alessandro di Murro

musiche originali di Enea Chisci

con Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Amedeo Monda e Laura Pannia

scene di Paola Castrignanò

costumi Giulia Barcaroli

disegno luci Matteo Ziglio

direttrice organizzativa Bruna Sdao

direttore della comunicazione Cristiano Demurtas

foto di scena Simone Galli



CIACK SI GIRA, LA VITA È UNA TORTURA di Gruppo Uror


intervento ironico registico di gruppo UROR

con Caterina Rossi, Evelina Rosselli ( gruppo UROR )

realizzazione maschere e marionette Caterina Rossi

con il sostegno di PAV



PERSONNE. CHRONIQUES D’UNE JEUNESSE di Ugo Fiore e Livia Rossi


drammaturgia Livia Rossi

con Ugo Fiore e Federica Furlani

progetto sonoro Federica Furlani

disegno luci Giulia Pastore

consulenza alle scene Paolo Di Benedetto

scene realizzate da Laboratorio di Scenografia “Bruno Colombo e Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

produzione La Corte Ospitale

co-produzione Proxima Res

con il sostegno di MiC e Regione Emilia-Romagna

Spettacolo vincitore Forever Young 2021/2022 – La Corte Ospitale 



SUCK MY IPERURANIO. PER UNA STAND UP COMEDY TRISTE, IRONICA, POTENZIALMENTE STRAZIANTE di e con Giovanni Onorato


con la collaborazione di Margherita Franceschi

aiuto drammaturgia Teodora Grano

musiche di Adriano Mainolfi

consulenza disegno luci Martin Emanuel Palma

realizzato con il sostegno di Teatro Studio Uno e Carrozzerie n.o.t

vincitore #pillole e Luna Crescente

finalista DirectionUnder30 e Martelive



SWAN di Gaetano Palermo


con Rita Di Leo

sound design Luca Gallio

direzione tecnica Luca Gallio

assistenza e cura Michele Petrosino

organizzazione e distribuzione Arianna Di Bello

amministrazione KLm – Kinkaleri, Le Supplici, mk prosthetics Crea Fx

produzione La Biennale di Venezia

con il supporto di Casa della cultura Italo Calvino, H(ABITA)T – Rete di Spazi per la Danza, Associazione QB Quanto Basta progetto vincitore di Biennale College Teatro – Performance Site-Specific e di Danza Urbana XL



CONCERTO FETIDO SU QUATTRO ZAMPE di e con Alice e Davide Sinigaglia


tecnica Febe Bonini

produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione

progetto selezionato Powered by Ref

un progetto Romaeuropa Festival 2023 nell’ambito di ANNILUCE_osservatorio di futuri possibili

in collaborazione con Carrozzerie | n.o.t e 369gradi srl

co realizzazione residenze Periferie Artistiche – Centro di Residenza Multidisciplinare del Lazio in network con ATCL – circuito multidisciplinare del Lazio per Spazio Rossellini polo culturale multidisciplinare regionale, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Cranpi



AMADRIADI


compagnia Michele Ifigenia/Tyche

coreografia Michele Ifigenia Colturi

performer Enzina Cappelli

dramaturg Ciro Ciancio, Riccardo Vanetta

musiche Tarek Bouguerra

co-produzione Aiep Ariella Vidach/Triennale Teatro Milano



AFÀNISI di  Ctrl+Alt+Canc


con Raimonda Maraviglia, Alessandro Paschitto, Francesco Roccasecca

feat. Manuel Severino

testo e regia Alessandro Paschitto

produzione Ctrl+Alt+Canc, Campania Teatro Festival

Finalista In-Box 2024

Dossier Risonanze 2024

Premio della Giuria Critica a Direction Under 30 2023

Vincitore L’Italia dei Visionari – Kilowatt Festival 2023

Vincitore bando UP TO YOU 2023

Vincitore Odiolestate 2022 – Carrozzerie n.o.t Vincitore Bando Intercettazioni 2022 Finalista Intransito Genova 2023

Finalista Bando Verso Sud 2022 Semifinalista Premio Dante Cappelletti 2022 Semifinalista Scenario 2021



GENNARIELLO. UNA FESTA DI MERDA


a cura di Enrico Casale, Damiano Grondona, Alessandro Ratti e Caterina Rosaia

in scena Chiara Angeli, Lara Angeloni, Michele Antoniotti, Gaia Aquilano, Thabata Aracu, Nino Avanzini, Alessio Barberis, Agata Bardellini, Letizia Bonanno, Leonardo Borghini, Mist Bruno, Giovanni Buccini, Gaia Callagher, Noah D’Amanzo, Alicia Danese, Francesco De Antoni, Sebastiano Esposito, Gaia Fè, Pietro Ferrari, Elena Ferrari, Elena Fontana, Iole Garbini, Giancarlo Ghironi, Serena Huiban, Ray Khadina, Anita Lo Prete, Alissa Marchi, Alice Moisè, Anna Molinari, Delia Montali, Lucrezia Musetti, Chiara Muzi, Sarah Nardella, Hoshi Oppecini, Rossella Prestigiacomo, Elisa Quartieri, Mattia Remedi, Giorgia Roffo, Laura Romagnoli, Teresa Romanut, Laura Rossi, Alessia Rossi, Alice Rossi, Agnese Scrufari, Carlo Tincani, Giovanni Zanetti scenografi Connor Aquilano, Sante Bandini, Leonardo Borghini, Giulia Brangi, Jessica Buggi, Stefano Chirenti, Francesca De Matteis, Federica Di Maria, Pietro Ferrari, Laura Forti, Alice Levoni, Matthias Lucà, Delia Montali, Shanti Neri, Camilla Nieri, Hoshi Oppecini, Mariasole Ricchetti, Yurei Romeo, Alice Rossi, Alice Santini, Francesco Vergassola

tecnica a cura di SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione

con la partecipazione della GOSP – Giovane Orchestra Spezzina – (Progetto realizzato con il contributo di Fondazione Carispezia)


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oca, oche, critica teatrale
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