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Nei meandri della follia

Letizia Chiarlone
Una sottile pazzia
Una sottile pazzia

Un incontro al bar. Così la guida (Eleonora Demarziani, Michela Marenco, Riccarda Realini) introduce la strana persona in cui si è imbattuta al bancone del locale, “alta un metro e novanta per trenta chili”. La descrizione corrisponde alle parole che Carmelo Bene spese su Marcello Barlocco, autore dei racconti che, in questa occasione, sono stati adattati per le scene dall’attore e drammaturgo Davide Diamanti. Un’operazione ambiziosa, se si considera che il punto di partenza non è un testo concepito per essere rappresentato – a differenza dei Tre atti unici di Barlocco, che furono interpretati dal sopracitato Bene –, ma una rielaborazione in tre scene di storie brevi tratte dalla raccolta I racconti del babbuino.

Dunque, la guida viene approcciata da questo stravagante individuo, che comincia a narrarle episodi della sua vita a ruota libera, quasi incespicando nel loro susseguirsi, e che pure risultano collegati internamente da un tratto distintivo, da “una sottile pazzia” che fa dubitare della loro stessa veridicità. Ed ecco che la porta si spalanca, in una sorta di discesa infernale nei meandri della follia: resta solo la figura della donna, psicopompo in nero, a mantenere un filo conduttore lineare che ci ancora saldamente alla realtà.  


Ci addentriamo nel vivo di questo spettacolo itinerante, lunga colonna silenziosa che serpeggia nel percorso tortuoso che si dipana all’interno delle grotte di Borgio Verezzi. Le voci del pubblico riecheggiano nelle alte volute disegnate dall’intricata disposizione di stalattiti e stalagmiti. Il rumore dei passi rimbomba cupo nelle cavità della pietra. Le gocce, una ad una, scavano la roccia. I costanti sedici gradi della temperatura interna contrastano con i trentaquattro all’esterno, in questa calda serata di metà agosto. Nell’atmosfera surreale delle grotte, i frammenti di ricordo dell’allampanato avventore del bar si materializzano e prendono vita grazie ai corpi e alle voci di Matilde Amato, Giovanni Bortolotti e Davide Diamanti


la compagnia Uno sguardo dal Palcoscenico

Nel primo quadro, il protagonista (Matilde Amato), rigirandosi una piuma tra le dita, è intento a scrivere una missiva che, come si intuirà poco più avanti, non è altro che la lettera che ne annuncerà le ultime volontà una volta riuscito il suo tentativo di suicidio. Il protagonista si lascia alle spalle la paura della morte, una moglie che lo tradisce, e dei figli a cui si è premurato di assicurare una stabilità economica prima della sua dipartita, adducendo come motivo della sua prematura scomparsa il dolore di non sapere la ragione del suo suicidio. Un piano che sembrerebbe infallibile, se non fosse per quei due minuti che intercorrerebbero tra il colpo di pistola e il sopraggiungere della morte e che sfuggono al controllo dell’aspirante suicida, che decide così di addestrare un pappagallo che possa ripetergli frasi rassicuranti in quel lasso di tempo. È tutto pronto: la pistola spara, il proiettile colpisce il cuore, e il pappagallo, pronto a recitare la sua parte, esordisce con un tonante “Vigliacco!”, che prende alla sprovvista l’uomo, facendogli realizzare solo in quel momento la stupidità del gesto. 


A quanto pare, però, questo non segna la fine dello sventurato protagonista, che ricompare nel secondo quadro, impersonato da Giovanni Bortolotti, con un camice da farmacista, colto nell’atto di giocherellare con un’ampolla. L’episodio si radica molto nella biografia di Barlocco, ex-farmacista e assiduo consumatore di droghe, che qui si cala nei panni di un aspirante sperimentatore che, grazie ai suoi intrugli, riesce a capire come assumere le sembianze di vari animali e interagire con loro. In particolare, sembra essergli rimasta piuttosto impressa l’esperienza come gatto, durante la quale si era trovato una compagna di avventure piuttosto selvatica che aveva finito con il cavargli un occhio nella foga di un amplesso, dopo che il protagonista aveva tradito con un miagolato “Ti amo” la sua natura umana. Ora la gatta lo perseguita, gli tende agguati, lo graffia nella notte. L’assurdità del racconto viene riportata a una dimensione più razionale quando l’uomo allude al suo internamento all’interno di un istituto manicomiale, che sembrerebbe ridurre la gatta al semplice frutto di un delirio paranoide.


Nel terzo e ultimo riquadro, il protagonista (Davide Diamanti) sta fumando nervosamente una pipa. È attanagliato da un problema a tratti surreale: il suo corpo non risponde più ai suoi comandi, ma non solo, gli si sta addirittura rivoltando contro, tramando di ucciderlo. Le sue mani, pallide nemiche, tentano di strangolarlo nella notte, e tanto basta per convincere il delirante sventurato a metterle sotto chiave in una gogna. Il suo livello di paranoia arriva a tal punto da portarlo a farsi staccare le due estremità da un treno in corsa. Ritrovandosi senza mani, pregusta così una notte di meritato riposo. Ma quelle, tetre e oscure, tornano a vendicarsi nel cuore della notte e, trascinato l’uomo per il colletto, lo costringono con la testa sulle rotaie. In lontananza, ormai prossimo, si sente il fischio di un treno.

E nell’immaginare questo fischio che, come una sveglia che perfora i timpani, richiama alla realtà, gli spettatori abbandonano l’oscurità multiforme delle grotte e riemergono alla luce della luna, nella serena nottata estiva, turbata però dal ricordo delle ombre contorte evocate dai racconti di Barlocco. 


Pregi: l’ambientazione mozzafiato e l’atmosfera azzeccata; l’impostazione tradizionale, che comunque non appariva limitante o troppo guidata nei confronti dello spettatore


Limiti: le fasce di partenza dei vari gruppi sono state calcolate male e questo ha portato a un sovrapporsi di voci provenienti da scene successive


Spettacolo itinerante nelle Grotte di Borgio Verezzi, visto il 12 agosto 2024

da Marcello Barlocco

adattamento drammaturgico di Davide Diamanti

regia di Silvio Eiraldi

con Davide Diamanti, Matilde Amato e gli attori della Compagnia Uno sguardo dal Palcoscenico

produzione Compagnia Uno sguardo dal Palcoscenico



Dietro le quinte: intervista a Davide Diamanti


Sei diplomato come attore, ma a seguito della tua esperienza, anche in relazione agli spettacoli scritti di tuo pugno e che hai già portato in scena, ti definiresti anche drammaturgo?

Io credo che la definizione giusta sia artista, perché credo sia completo, e ambisco io personalmente a essere completo, scrivendo, mettendo in scena, dirigendomi, sperimentando anche dal punto di vista musicale. Quando fai questo tipo di operazioni non riesci a essere una cosa sola, devi operare una crasi che è davvero ciò che costituisce l’artista in quanto colui che mette a disposizione la propria arte per spiegare un qualcosa al pubblico. Sei un ibrido, nel senso artistico, ed è una cosa che sento proprio necessaria per me in quanto attore emotivo, caldo.


Era il tuo primo adattamento teatrale?

Sì, e un conto è scrivere uno spettacolo da zero, quindi da un'idea, un altro è partire da dei monologhi molto forti e cucirci intorno la cornice. Il quadro l'ha fatto Marcello con i suoi testi, io ho semplicemente tentato di incorniciarlo, come se avessi eretto le pareti di una casa sulle sue fondamenta, attraverso le figure delle guide, che sono tutte opera mia drammaturgicamente e che un po’ servono a guidare lo spettatore tra i vari quadri. Credo manchi sempre un occhio finale che si metta nei panni di chi deve vedere lo spettacolo, con una pretesa di fare teatro senza pubblico. Ma come fai a fare teatro senza pubblico? Poi è bene lasciare al pubblico il beneficio del dubbio, che è un conto, ma un altro è abbandonarlo alle sue domande interiori. 


Come mai la scelta per un adattamento teatrale è ricaduta sui testi di Barlocco? 

Bisogna andare un po’ indietro nel tempo: Uno sguardo dal palcoscenico (ndr, compagnia teatrale del teatro comunale di Cairo Montenotte, in provincia di Savona) aveva già affrontato questo autore in un’occasione con tre monologhi, ovvero “Il pappagallo”, “La gatta” e “Le nemiche”, tratti da un’unica raccolta che si intitola I racconti del babbuino, non credo sia più in produzione. Io sono andato a vederli, questi monologhi, e quello de “Le nemiche” mi ha colpito a tal punto che io ho scelto di portarlo a Torino come provino quando cercai di entrare in accademia, prima di essere preso all’Accademia del Teatro della Pergola di Firenze. Quindi, diciamo che mi sono un po’ affezionato a questo autore. 

Il primo anno che ho partecipato a Borgio Verezzi, ho pensato che l'inquietudine che trasmettono le grotte si sposasse benissimo con la drammaturgia di Barlocco. È stata proprio un'associazione naturale che ho fatto, una sorta di connubio a prima vista, e quest'anno si è presentata l’opportunità. Avere questo luogo che in realtà è aperto, ma allo stesso tempo è chiuso, un po’ come l'animo umano, permette di fare un viaggio nella mente folle, eppure straordinariamente lucida, di questo autore. È una scrittura che ti abitua all’assurdo, per cui dopo un po' si confonde il confine del reale con quello della pazzia. Per quello il titolo poi è stato Una sottile pazzia, con un rimando anche cromatico nella locandina ai colori delle grotte: quell'ocra scuro, quel bianco che però è spento e sporco, impuro. 


Quali pensi siano stati i punti di forza dello spettacolo? E quali i limiti?

I testi di Marcello, sicuramente, che sono scritti veramente bene, difficilissimi da studiare artisticamente, proprio perché hanno comunque ancora un’impostazione molto novecentesca. Poi, una cosa che noto tantissimo è la mancanza di possibilità di lavoro nei confronti del genere femminile nel mondo teatrale, e da qui quello che ritengo un punto di forza, cioè la scelta di utilizzare quattro donne nel cast. 

Forse, a livello di limiti, avrei voluto usare di più il ruolo della donna iniziale, la donna che lo incontra nell'osteria. Sì, perché la guida, come entra nella grotta, diventa Marcello Barlocco e alla fine ritorna a essere la donna dell’osteria nel momento in cui si esce. Quella figura o l’avrei dovuta sviluppare di più o avrei dovuto toglierla, nel dubbio di voler guidare o meno il pubblico. 


Progetti futuri?

A parte su Firenze, dove continuo a collaborare con una compagnia che si chiama la Compagnia delle Seggiole, e mi sto trovando benissimo, a dicembre spero di debuttare col mio nuovo spettacolo. Inoltre, mi piacerebbe riavviare tra novembre e dicembre il corso di avvicinamento al teatro.





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oca, oche, critica teatrale
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