Ero ancora a Trento, durante quei magici, stremanti, ultimi mesi. Mi pare fosse proprio una di quelle sere dedicate alla stesura della tesi quando ricevetti la chiamata di un amico di penna e di sogni, un amico con cui avevo nuotato anni prima in profondità tra testi e parole, tra pensieri e palcoscenici. Il mare aperto era davanti a me ora, nuovamente, nulla di certo per il futuro, solo un denso presente che accudivo ora per ora, rimandando il momento di capire e decidere. Da questo amico-pesce, questa sirena con cui ho nuotato fianco a fianco, quella notte - buia? Tempestosa? Sicuramente fredda – mi fu lanciato attraverso l'etere un amo, e una metamorfosi: L'Oca aveva bussato al guscio ed era appena nata. Quella nidiata di entusiasti della scrittura e del teatro già svolazzante per Genova fu da subito per me un richiamo fortissimo, un richiamo che profumava di mare e ci aggiungeva un tuffo al cuore, tipico del volo, e colori completamente nuovi, volti che non vedevo l'ora di conoscere, mani che non vedevo l'ora cominciassero a raccontare. Fu facile da creatura di mare, errabonda, diventare volatile: e chi dice che Genova è morta se ci sono voci che ti chiamano, una sera d'autunno, voci che sorridono lontano e ti dicono Ehi, senti cosa succede qua.
Vorrei parlare di una “missione culturale”; preferisco piuttosto in questa breve parentesi genetliaca sfumare i contorni, accennare al piacere datomi da questo nudo, il più possibile onesto taglia-e-cuci, questo armonizzare obbedienti percorsi di pensiero su disordinate impronte, provando ad afferrare quell'emozionarsi, provando a scriverne, per essere utile a chi vorrà leggere e accogliere così anche il “mio” spettacolo: quello della spettatrice che lo restituisce, trasformato. Sì, perché il rapporto tra teatro e critica è specchio ma è soprattutto muta: cambio di pelle, metamorfosi. La stessa attraverso cui sono passata io, la stessa da cui sono partita e a cui sono ritornata. Mi riconosco, in questa pelle d'Oca. Mi riconosco nella generosità che sta dietro i suoi occhi curiosi: quella che permette al teatro di essere nell'essere guardato, di giocarci prendendolo sul serio.
“Tutto si trasforma, nulla perisce. Lo spirito vaga e da lì viene qui e da qui va lì e s'infila in qualsiasi corpo, e dagli animali passa nei corpi umani e da noi negli animali, e mai si consuma.”
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