La seconda delle quattro domande poste a quella parte del teatro ligure che è riuscita a raccontarci come sta, o meglio come è stata, in un tempo racchiuso tra l'inizio dell'emergenza sanitaria e domenica 10 maggio 2020, data di chiusura della nostra raccolta di risposte.
Il punto di vista di questa osservazione è di Marco Gandolfi.
2) Sapresti quantificare - in termini economici o con altri parametri oggettivi - la perdita subita (da te personalmente e/o dal gruppo in cui lavori) da quando è iniziata questa chiusura?
Nel 2010, l'allora ministro Giulio Tremonti, avrebbe affermato "Con la cultura non si mangia". Indipendentemente dal fatto che questa frase sia stata pronunciata o meno - il politico lo ha più volte smentito -, essa sembra rappresentare alla perfezione la miopia politica (ed economica) di tanti governi italiani, prima e dopo quella data: la sensazione che la "cultura" (e il teatro con essa) sia considerata un lusso per sfaccendati viziati.
Dato questo retroterra, neppure tanto inconscio, non sorprende la totale assenza di piani per gestire la ripresa delle attività culturali nella prima, timida fase delle riaperture a seguito dell'emergenza Covid-19. Quello che drammaticamente pare mancare è addirittura un dibattito pubblico su questi temi, almeno con la prominenza che viene data a molte altre tematiche (la ristorazione, il calcio, la balneazione, ecc.)
Con la cultura non si mangia come slogan per ridurre la cultura a superfluo; ma allo stesso tempo, tristemente, come profezia che si autoavvera per i lavoratori di questo settore, che davvero ora non hanno da mangiare - in senso metaforico e in alcuni casi letterale -, limitandoci a considerare il settore a cui questo sito è dedicato, la chiusura indefinita dei teatri.
Alla domanda che abbiamo posto al nostro piccolo campione, di quantificare oggettivamente la perdita in cui sono incorsi in questo periodo, abbiamo ricevuto risposte articolate da cui possiamo desumere uno stato preciso di frustrazione e abbandono, una marginalizzazione sociale che corrisponde perfettamente alla sensazione di sacrificabilità che ha la cultura nel nostro paese.
Più in generale in termini culturali, va anche osservato la nostra incapacità di quantificare se non in termini economici una perdita. Non abbiamo quasi le parole, figurarsi i numeri per misurare qualcosa che non abbia a che fare con la creazione di valore economico, ma questa determinante trascende ogni crisi - è precedente alla pandemia e la seguirà senza ombra di dubbio.
In linea generale dalle risposte emerge una difficoltà a precisare un impatto percentuale sui compensi stagionali in quanto esiste troppa variabilità tra i singoli casi. A fronte di stagioni teatrali troncate nel mezzo del loro svolgimento ci sono soggetti che hanno visto la cancellazione quasi totale del loro calendario che prevedeva recite solo in date primaverili; o viceversa chi è stato colpito meno causa calendari fortunati. Mancando ancora una precisa definizione degli strumenti di aiuto economico dai vari soggetti pubblici, per alcuni manca un consuntivo stagionale che possa essere riassunto in una cifra.
Essendo poi i lavoratori del settore spesso inquadrati con forme contrattuali precarie o iper flessibili, e comunque non omogenee, diventa anche complesso articolare una risposta di aiuto comune per tutta la platea.
In altri termini, pur non mancando le risposte con percentuali e numeri precisi, che sono ben rappresentate nel nostro campione, è difficile per un osservatore esterno che voglia riassumere in una indicazione univoca, individuare una cifra percentuale che riassuma la crisi dei teatri. D’altra parte non stiamo parlando di una industria manifatturiera, ad esempio automobilistica, in cui è semplice - anche se non perfettamente esaustivo - tradurre l’impatto in numero di veicoli non prodotti.
Una delle osservazioni che ritorna con più frequenza è quella che questa crisi devastante va ad incidere su istituzioni e strutture in genere già indebolite e tutt'altro che solide. La marginalizzazione della cultura a cui si accennava in apertura è la premessa su cui la crisi ha agito.
È impossibile al momento fare previsioni sull'impatto finale che le misure di distanziamento sociale avranno sul teatro ligure e italiano. Secondo le risposte più pessimiste nei prossimi mesi molti protagonisti del settore dovranno cercarsi una occupazione in un ambito diverso, e l'impatto sulle singole istituzioni potrebbe essere molto sostanziale. A fronte di costi e impegni che sono comunque improrogabili, le attività sono completamente ferme, sia quelle correnti, sia quelle di preparazione. L'aspetto di come ripartire avrà infatti delle conseguenze quantificabili in termini economici: non è immaginabile un ritorno neppure nel medio termine a quella che definiamo normalità del prima epidemia.
Non tanto paradossalmente anche alla domanda che potrebbe più facilmente ricevere una risposta precisa - quella appunto di quantificare le perdite economiche - ci si trova di fronte a una difficoltà insormontabile, quella di riassumere in un numero o una serie di numero le articolazioni delle diverse risposte. In un certo senso questo è l’esito di una complessità ineliminabile del settore, ma anche della sua marginalità - economica, contrattuale e istituzionale.
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