top of page
  • Matteo Valentini

Teatro ligure, come stai? | 4 - Cantieri

Ed è così che arriviamo al quarto - ultimo - approfondimento riguardo la quarta - ultima - domanda che abbiamo rivolto agli artisti e lavoratori del mondo dello spettacolo. A raccogliere, sintetizzare e ipotizzare, la penna di Matteo Valentini.





4) Come pensi che le istituzioni (Stato, Regione, Comune) dovrebbero agire in questa fase?


«Non dobbiamo sprecare le crisi»: nonostante questa possa sembrare la tipica risposta ligure di fronte alle conseguenze di una pandemia, è stata in realtà soltanto riportata, in risposta alle nostre domande, da Maurizio Sguotti, fondatore della compagnia Kronoteatro di Albenga. La fonte è un’intervista che il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz ha da alcuni giorni rilasciato all’Huffington Post, in cui si riflette sulle conseguenze e sulle prospettive economiche e sociali della crisi generata dal Covid-19. Non sono pochi i punti di contatto tra le parole di Stiglitz e quelle dei 13 partecipanti alla nostra inchiesta e tutti hanno come denominatore comune la sotterranea speranza che questa situazione, per quanto tremenda, possa servire a qualcosa.


Se la pandemia, sempre per l’economista statunitense, ha avuto tra i suoi effetti quello di mostrare la fragilità di una politica basata, come quella trumpiana per esempio, sulla diffidenza verso la scienza e sulla stretta all’immigrazione (soprassediamo sul fatto che, in questo periodo, siano emerse contraddizioni del nostro sistema politico ed economico forse ancora più strutturali), parallelamente ha evidenziato anche le ingiustizie e le storture su cui da decenni si basa l’incerto mondo del teatro italiano.


«Aprire la strada a una riforma strutturale» «Cambiare punto di vista» «Riformare in maniera sostanziale il sistema che norma questo lavoro» «Ripensare il settore» «Proporre un nuovo paradigma» «Riformare davvero, a livello nazionale, il settore spettacolo» «Attuare una profonda e radicale riforma di tutto il Sistema del Teatro Pubblico Italiano»


Un cambiamento. Questa è una delle richieste ricorrenti tra i professionisti dello spettacolo che abbiamo coinvolto; un cambiamento prismatico, dalle facce molteplici e a volte – come ogni prisma che si rispetti – non coincidenti, ma con due fondamentali condizioni d’esistenza: il riconoscimento e il dialogo tra istituzioni e lavoratori.


«Riconoscere e dare dignità alle diverse figure professionali che lavorano nello spettacolo» «Riconoscere innanzitutto la natura di lavoratori e di lavoratrici quando si parla di coloro che operano nel settore della cultura e dello spettacolo. Riconoscere quello che facciamo come un lavoro» «Coinvolgere i lavoratori dello spettacolo nel ragionamento e nella progettualità per gli anni a venire» «Far sì che chi vive di teatro (e delle arti in generale) possa ancora sentirsi parte di questa comunità» «Coinvolgere la categoria nelle decisioni» «Riconoscere la professionalità del nostro lavoro, così come di tutte le altre professioni artistico/culturali»


Al di là di questi basilari punti in comune, i contenuti delle risposte variano a seconda della persona e della tipologia professionale intervistata e animano una miriade di progetti a volte fusi tra loro, altre volte distanziati, altre ancora sporadicamente connessi, in una struttura rumorosa, molteplice e reticolare. A idee estremamente tecniche per fronteggiare la contingenza, si affiancano eccitanti utopie di rivoluzione futura, insieme a richieste pratiche, quasi scontate, per modificare quello che non funziona all’interno della relazione tra artista, teatro e Stato, il cosiddetto “sistema”, di cui globalmente viene delineata la natura poco e male organizzata, verticistica, sorda, diseguale e accentratrice.


«Munire di un bonus cultura tutti gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado» «Estendere ulteriormente le tutele per i lavoratori fin quando le nostre attività non potranno riprendere» «Fare le dovute distinzioni tra chi certi lavori li fa di mestiere e chi invece nei ritagli di tempo» «Versare tutti i contributi dovuti al lavoratore dello spettacolo» «Decentrare i luoghi di cultura» «Identificare, per i teatri, i costi da rendere detraibili al 100% fino alla ripresa dell’attività» «Rivedere immediatamente il CCNL (Contratto collettivo nazionale di lavoro)» «Rendere possibile lo spettacolo in sicurezza, all’aperto, in nuovi spazi, in nuovi modi» «Mappare le piccole realtà che lavorano sul territorio e sostenerle, non necessariamente con finanziamenti, ma anche con sostegni di altro tipo, ad esempio la concessione di spazi comunali inutilizzati» «Congelare i parametri per l’accesso ai contributi FUS e far slittare il nuovo triennio al 2022 (per il 2021-2023 i teatri sovvenzionati dovrebbero a gennaio 2021 presentare un nuovo programma triennale)» Tra le mura di casa, nei legami siderali delle videochat, è nata e sta crescendo una concreta fame di cambiamento da sostenere, indirizzare e far muovere ognuno secondo il proprio talento, in modo che la sua azione sia a tutti gli effetti critica e poetica, non miri solo alla consapevolezza dell’opinione pubblica, ma alla struttura del sistema teatrale in sé. Riprendendo per l’ultima volta il mai così citato Stigliz, mai così malinconicamente ligure: «Ci sono delle lezioni che potremmo imparare, ma non è affatto certo che lo faremo».


oca, oche, critica teatrale
bottom of page