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  • Marco Gandolfi

Alda. Diario di una diversa | Il fuoco della felicità


Milvia Marigliano in scena

«La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vederti felice.»

Felicità e pazzia sono le direzioni su cui si muove la vita e l'opera di Alda Merini e di riflesso questa Diario di una diversa, adattamento teatrale di un suo testo. Felicità intesa qui come spasmodica, bramosa e divorante ricerca di una realizzazione che sempre sfugge; pazzia come diversità da un grigiore insostenibile che si articola nel normale, ma anche vera e propria malattia che si traduce nell'infernale esperienza dell'internamento in un ospedale psichiatrico. La biografia di Merini informa e costituisce il filo conduttore della rappresentazione, ma non soffoca il materiale poetico che viene portato in scena verbalmente dalla sentita recitazione di Milvia Marigliano. Il problema della polarità tra dato biografico ed evidenza artistica in una poetessa come Merini è inestricabilmente caratterizzato da una confusione di fondo: se il vivere si fa poetico come definire i confini della creazione artistica? Qui sta il pregio principale della messa in scena: porre questa domanda mescolando citazioni poetiche con narrazioni cronachistiche, suggestioni visive che richiamano danze e moti del corpo con scabri accenni alla realtà della malattia. Non sempre gli esiti sono alti: una monotonia febbrile anima alcuni passaggi, e le brevi coreografie di danza non sempre risultano incisive, seppur integrate nel flusso narrativo. Forse l'idea ammirevole di questa confusione poteva essere articolata con migliore precisione, ma il senso permane chiaramente. Quello che emerge forse più nettamente dalla recitazione, paragonabile a tratti a una sorta di disincantata confessione, è la forza distruttiva della pulsione vitalistica - qui coincidente quasi esclusivamente con Eros - che neppure il talento artistico della poetessa riesce ad arginare per il proprio bene. Il potere catartico dell'arte, in grado di dare un senso alla realtà pulsionale, pare usato quasi in senso opposto, come evocatore di un dominio assoluto, una brama senza fine che tutto travolge nel suo fuoco divoratore, di cui la sabbia che ricopre il palcoscenico sembra essere una testimonianza. Dalle ceneri di questo incendio lo spettatore estrae il significato dello spettacolo che, celebrando l'opera di Merini, indaga il nesso tra follia e creazione, tra poesia e vita. Ed è anche la risposta alla ricerca della felicità, quasi un ammonimento da una donna così sofferente, che ha divampato come un grande incendio. Elementi di pregio: aver dedicato un’attenzione particolare alla poesia in scena piuttosto che alla narrazione biografica. Limiti: deludenti coreografie di danza a supporto della recitazione. Visto al teatro Duse domenica 11 novembre 2018. Produzione Teatro Nazionale Di Genova in collaborazione con DEOS Drammaturgia e regia Giorgio Gallione Interpreti Milvia Marigliano e i danzatori Luca Alberti, Angela Babuin, Eleonora Chiocchini, Noemi Valente, Francesca Zaccaria Coreografie Giovanni Di Cicco Scene Marcello Chiarenza Costumi a cura di Francesca Marsella Luci Aldo Mantovani

oca, oche, critica teatrale
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