top of page
  • Eva Olcese - Marina Giardina

Autodiffamazione


Inizio spettacolo, particolare

Le Oche continuano il viaggio nel mondo della drammaturgia tedesca: altre due voci e recensioni per un solo spettacolo, Autodiffamazione di Barletti/Waas.

Eva Olcese

Siamo pochi, quella sera, ad attendere l’inizio di Autodiffamazione, primo spettacolo del Focus Germania messo in scena al Teatro della Tosse. All’arrivo della maschera veniamo scortati sul palco, oltre il sipario della sala Aldo Trionfo: troviamo davanti a noi tre gradoni su cui sederci e, di fronte, una scenografia praticamente inesistente. Due sedie e il dubbio, colmo di tensione, su da dove possano arrivare Lea Barletti e Werner Waas. Così, quando i due interpreti entrano in scena da dietro il sipario completamente nudi (se non contiamo le scarpe con il tacco di lei e il borsalino di lui), lo stupore diventa l’indubbio protagonista nei volti di noi spettatori: due corpi segnati dal tempo ma affascinanti e rilassati, in quanto perfettamente nella norma, ma soprattutto un uomo e una donna che ci fissano uno ad uno, come per sfidarci a studiarli con uno sguardo ancora più analitico. Dopo qualche minuto di silenzio, l’uomo inizia a parlare in tedesco, un pannello alle loro spalle ci aiuta nella comprensione: «Sono venuto al mondo» è la frase con cui si apre - e la stessa con cui si chiuderà - lo spettacolo. Da qui Werner Waas e Lea Barletti iniziano un’indagine sulla vita come concepimento, crescita e apprendimento di una serie infinita di regole, costumi e abitudini; una su tutte, la lingua che, cambiando da un interprete all'altro - la Barletti parla in Italiano, sottotitolato in tedesco -, assume il ruolo dell'ennesimo abito a cui veniamo costretti: è un come il paio di mutande, il tubino o la camicia che ad un certo punto i due attori indossano per non esser visti come “scostumati”. Ed è proprio mentre si rivestono che svelano al pubblico di aver violato ogni genere di norma appresa: dal passare con il semaforo rosso ad un sputo con l’intento di colpire in faccia l'altro, dall’indicare ciò che era vietato indicare fino ad usare il corpo come un oggetto.

Parlando di Autodiffamazione di Peter Handke, la pièce da cui il marito ha tratto lo spettacolo omonimo, la Barletti afferma: «Dire questo testo è guardare in un baule pieno di foto di sconosciuti. Avrei potuto essere io, avrei potuto farlo, avrei potuto dirlo. Lo sono, l’ho fatto, l’ho detto. Non lo sono, non l’ho fatto, non l’ho detto. Ma avrei potuto, sì, avrei potuto». Da una parte Lea Barletti con le sue spalle curve, la voce rotta ed enfatica, Werner Waas dall'altra, riflessivo ma sfrontato, la voce monotona e una recitazione spontanea, non portano in scena né battute né personaggi ma costituiscono un equilibrato coro polifonico, il cui vero protagonista appunto non siamo altro che noi stessi, uomini e donne. Non si tratta di un canone, anzi i due si prendono i propri tempi - cambiano posizione, mangiano una mela o bevono un bicchiere d'acqua - e attendono ogni volta che l’altro abbia finito prima di ricominciare a parlare.

Il risultato è una geniale scomposizione dell’io, un puzzle dei più disparati comportamenti umani, un lungo e a tratti estenuante stream of consciousness, tenuto a freno da un elenco di “Io/Ich” anaforici, parafrasi per spiegare quanto considerato “indicibile”, ripetizioni e figure etimologiche («Mi sono mosso. Ho mosso parti del mio corpo. Ho mosso il mio corpo. Mi sono mosso sul posto. Mi sono mosso dal mio posto.»), ancora più chiare nella complessa flessione della morfologia tedesca.

Barletti e Waas con Autodiffamazione/Selbstbezichtigung ci strappano un sorriso, ci provocano e ci invitano a scavare dentro noi stessi per poi lasciarci inebetiti, lì sulle nostre sedie, a interrogarci su quanto sia difficile mettersi nudo, operazione per molti versi considerata diffamante.

Elementi di pregio: lo stupore iniziale suscitato nel pubblico, l’equilibrio fra i due interpreti, i tempi dilatati dello spettacolo.

Limiti: la recitazione enfatica della Barletti, la lunghezza di certi passaggi.

Lea Barletti e Werner Waas ad inizio spettacolo

Marina Giardina

«Io non sono quello che sono stato. Non sono stato come avrei dovuto essere. Non sono diventato quello sarei dovuto diventare. Non ho mantenuto quel che avrei dovuto mantenere».

La confessione come autoincriminazione, come autoaccusa. Mi accuso e quindi mi diffamo per ciò che, una volta messo al mondo e fino a ora, non sono riuscito a essere, per le mancanze di ciò che era in potenza e che non ho messo in atto. Rivedendo la mia vita come in un rewind. Ma ora guardatemi. Anzi, guardateci, perché davanti a voi siamo in tre. Noi due e quello spazio tra noi. Il terzo, la comunicazione, ciò che da quando siamo insieme abbiamo messo al mondo: noi.

Mettere al mondo. Posizionarsi, muoversi, commuoversi: «profonda la verità, superficiale la bugia, secondari i soldi, piatta la realtà, giusta la guerra, fasulla la pace, inconciliabili i contrasti».

Entrare nudi come nudi si nasce per poi vestirsi, con l’abito del linguaggio, della parola. Gli attori Lea Barletti e Werner Waas sono una coppia nella vita oltre che nel lavoro, vivono a Berlino e hanno fatto due figli. Due figli che, immagino, come loro “sono venuti al mondo”.

La confessione ha più spazi - davanti, di lato, seduti, vicini e lontani - e ha più toni. Quando prendono il microfono dopo aver parlato con voce nuda pare sia arrivato il momento delle ammissioni ideologiche, politiche, forse il microfono li aiuta nella declamazione di confessioni legate alla realtà, quella tangibile in una costante battaglia con la regola. «Io mi sono appropriato di oggetti di cui era vietato appropriarsi, ho trattato le persone come cose, ho fatto un uso interno di medicine, ho scalato monti con scarpe non adatte, non ho agitato lozioni».

E infine Peter Handke fa diventare quel tu ancora più noi, anche se noi lo siamo sempre stati per tutta la durata dello spettacolo. Alla fine ci fa vedere lì dove siamo: «Io sono andato a teatro, ho ascoltato questo testo, ho detto questo testo, ho scritto questo testo».

In un’ora soltanto abbiamo attraversato il mondo intero e possiamo tirare un sospiro di sollievo quando i sottotitoli in italiano/tedesco tornano indietro. Si riavvolge una vita e possiamo ricominciare.

Spettacolo in tedesco-italiano con sovra titoli

Dal testo omonimo di Peter Handke

Traduzione e regia: Werner Waas

Compagnia Barletti/Waas

Con: Lea Barletti e Werner Waas

Musiche: Harald Wissler

Lo spettacolo fa parte del focus dedicato alla Germania SPRECHSTÜCKE - PEZZI PARLATI (dal 18 gennaio al 14 aprile 2018), in collaborazione con Goethe-Institut Genoa

Visto il 18 e 19 Gennaio 2017, in sala Aldo Trionfo (60’)

oca, oche, critica teatrale
bottom of page