Chris Lynam “piomba” sul palco del Teatro della Tosse nei panni di un artista umiliato, probabilmente ridotto a fine carriera, pronto a svestirsi dei suoi abiti di scena e a ridisegnare seraficamente i suoi connotati con cerone e cipria, trasformandosi sotto gli occhi del pubblico – con movimenti lenti e metodici, messi ulteriormente in evidenza dalla videoproiezione del suo volto nei vari stadi del trucco – in un clown attempato.
Questa metamorfosi scenica del personaggio rispecchia in un certo senso quella dell’attore che lo interpreta, come ad avvertire gli spettatori che il Chris Lynam che alcuni conoscono – stand up comedian provocatorio, istrione sopra le righe che investe il pubblico con fiumi di parole dal ritmo serrato e dai toni aggressivi – non sarà il protagonista di Eric the Fred. Quello che segue queste prime scene è uno spettacolo di clownerie delicato, muto, essenziale, che evita quasi sistematicamente la ricerca del sensazionale. I tempi comici sono dilatati, l’umorismo decisamente classico: fucili che non sparano, strumenti musicali che emettono suoni ridicoli, movimenti misuratamente impacciati. L’elemento moderno si insinua parzialmente nell’ampio uso delle videoproiezioni, con cui il protagonista dialoga, scherza, interagisce con modalità molto ben calibrate.
L’assenza della quarta parete è un’assenza in cui Lynam si muove in scioltezza, il gesto delle mani pronto a bloccare o sollecitare l’applauso arriva puntuale esattamente nel momento in cui il pubblico inizia a battere le mani, perfettamente previsto dall’attore, che si dimostra un esperto animale da palcoscenico.
Mettendo in fila quadri grotteschi e onirici, Chris Lynam riesce a confezionare uno spettacolo in cui convivono un profondo senso di malinconia e un contemporaneo inno alla vita, incarnato dai buffi tentativi suicidari del clown, invariabilmente fallimentari. La morte diventa il perno di tutto e, allo stesso tempo, solo un gioco come un altro.
Henrich Böll, in Opinioni di un clown, scriveva che «un artista ha la morte sempre con sé, come un bravo prete il suo breviario. (…) Tutti sanno che un clown dev'essere malinconico per essere un buon clown, ma che per lui la malinconia sia una faccenda seria da morire, fin lì non arrivano». L’intento di Eric the Fred sembra essere esattamente quello di mettere in scena quest’affermazione, di rappresentare cioè il clown come il depositario di una malinconia connaturata da cui la sua sensibilità artistica deriva; lo spettacolo, però, non riesce ad assumere una forma diversa da quella di una costruzione. Una costruzione ottima e attenta, senza dubbio, ma dall’impalcatura ben visibile - che crolla, come le quinte, a fine spettacolo - priva di organicità e senza un’anima autentica.
Se è vero che proprio per definizione di Böll l’artista «colleziona attimi», è altrettanto vero che questa collezione non può essere esposta come semplice sequenza di scene; ed è proprio in quest’esposizione poco personale che Eric the Fred perde di intensità e brillantezza.
Elementi di pregio: il talento di Chris Lynam
Limiti: la scarsa personalizzazione rende lo spettacolo una serie disorganica di scene ben confezionate ma spesso già viste e poco autentiche.
Visto il 29 marzo al Teatro della Tosse
Interpretato da Chris Lynam, creato e diretto da Clive Howard, Chris Lynam, Zoot Lynam, Kate McKenzie e Sarah Richards, musiche originali Kevin Sargent, luci e contributo tecnico Mishi Bekesi, film di Clive Howard, foto di Michael Wharley, Clive Howard, con i contributi di Tomas Kubinek, John Wright, EtF Productions.
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