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Il canto della caduta | L'esilio della speranza

Marco Gandolfi

Su un tavolo, nella bella anticamera proprio davanti all'ingresso dell'austera ed elegante sala del teatro Gobetti, sta un plico di fogli A4 il cui titolo mi incuriosisce. Un corposo elenco di testi costituisce la bibliografia che Marta Cuscunà ha voluto raccogliere come fonte ed ispirazione del suo Canto della caduta. Non ricordo di aver mai visto un foglio dedicato alla bibliografia di uno spettacolo usato come estensione e precisazione del programma di sala. Questo particolare dà la cifra dell'ambizione di uno spettacolo che apparentemente, pur non facendone esplicitamente più parte, vuole mettere un punto fermo e essere una sintesi teorica alla Trilogia delle resistenze femminili. Per farlo Cuscunà si rivolge al mito, in particolare a quello ladino di Fanes, che racconta la fine dell'età dell'oro dell'umanità - coincidente con il pacifico regno delle donne - a causa dell’avvento del patriarcato guerreggiante e violento. La caduta è raccontata da quattro corvi meccanici animati e interpretati con virtuosismo dall’autrice e attrice, che anche per questo spettacolo è da sola in scena. Solitudine che tende alla scomparsa: su un palcoscenico spesso buio o illuminato fiocamente, ciò che resta visibile sono i quattro personaggi volatili e due bambini animatronici. Gli uccelli sono i testimoni che dall'alto osservano il campo di battaglia sul quale avviene la distruzione del regno matriarcale e l'irrompere della violenza e del sopruso nel mondo. Rappresentano un coro saggio e disincantato, osservano le miserie umane e prevedono quello che il regno della guerra ha in serbo per loro: un banchetto di cadaveri senza fine. I bambini sono la speranza a cui il mito affida la rinascita e la restaurazione della pace e dell'eden matriarcale. Sono costretti a nascondersi sotto terra, impauriti, cacciati dalla luce del sole. La loro testimonianza è quella della possibilità di salvezza per l'umanità caduta.

Una grande struttura metallica riempie la scena. L'efficace lavoro scenografico di Paola Villani dispone i suoi personaggi meccanici in un ordine verticale: i corvi dominano la scena dall'alto e sono separati da un grande schermo mobile rispetto al sotterraneo in cui i bambini sono sepolti vivi. Cuscunà passa, in un vero tour de force, da un livello all'altro, animando letteralmente - corpo e voce - tutti i personaggi. Bisogna costantemente ricordarsi che tutte le voci sono solo la sua; questo virtuosismo interpretativo è inframmezzato da dialoghi mostrati sullo schermo mentre suoni e rumori creano un senso di costante inquietudine. Ma esiste un limite anche al virtuosismo interpretativo: la sensazione è che l'autrice abbia un'urgenza di dire più di quanto una sola attrice possa in scena, pur con il brillante ausilio dei mezzi tecnici. Si sente specialmente qui la mancanza drammaturgica di un confronto tra corpi che incarnino le brillanti scoperte di archeomitologia costituenti il cuore dello spettacolo. Nelle parole dell'autrice questo "è il canto nero della caduta nell'orrore della guerra". La cupezza è la cifra della messinscena, come la disperazione che assedia costantemente i bambini sepolti vivi. Non esiste un orizzonte di salvezza nel racconto della caduta, e non potrebbe esserci. È questa la sorpresa più grande: le resistenze femminili di cui Cuscunà aveva finora parlato - proprio in quanto resistenti - sono un inesauribile e potente desiderio di riscatto e giustizia. Il suo teatro civile rappresenta una forte coloritura di speranza. Rivengono davvero in mente, ancora una volta, le parole di Preciado citato da Motus nel loro MDLSX: "Il cambiamento necessario è talmente profondo che si dice sia impossibile, talmente profondo che si dice sia inimmaginabile. Ma l’impossibile arriverà e l’inimmaginabile è inevitabile." (Manifesto Animalista, Paul B. Preciado). Qui non resta nulla o quasi di questa certezza della realizzazione dell'impossibile: i simboli del futuro sono impauriti, costretti a nascondersi, immersi in un buio senza fine. Verrebbe da obiettare: esistono, questo basta. Ma è sufficiente? La risposta sta davanti a noi: è nel teatro di Cuscunà che il mito si perpetua e si rilancia, nella nostra presenza comunitaria. Elementi di pregio: brillante sintesi intellettuale dei materiali mitici che ispirano lo spettacolo; scenografia molto riuscita. Limiti: l'approccio drammaturgico à la teatro di figura con la sola Cuscunà in scena costringe le possibilità espressive, specialmente in un racconto ampio e complesso come quello mitico. Visto al Teatro Gobetti di Torino venerdì 22 marzo 2019. Di e con: Marta Cuscunà Progettazione e realizzazione animatronica: Paola Villani Assistente alla regia: Marco Rogante

Progettazione video: Andrea Pizzalis Lighting design: Claudio “Poldo” Parrino Partitura vocale: Francesca Della Monica Sound design: Michele Braga Esecuzione dal vivo luci, audio e video: Marco Rogante Costruzioni metalliche: Righi Franco Srl Assistente alla realizzazione animatronica: Filippo Raschi Collaborazione al progetto: Giacomo Raffaelli

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