Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto ǀ Voci dalla fabbrica: smantellamento del lavoro e teatro testimoniale
- Francesca Oddone
- 18 giu
- Tempo di lettura: 6 min
«Il Capitale è un libro di 1126 pagine in cui c’è scritto come è strutturato il sistema in cui viviamo tutti i giorni: il sistema di produzione capitalistico.» Così esordisce l’attore Nicola Borghesi - con un microfono in mano e con il tomo di Marx nell’altra - sul palco della Célestine, la piccola sala sotterranea del Théâtre des Célestins, a Lione. È una sala molto nera e molto intima, in cui lo spazio scenico è allo stesso livello del pubblico e la prossimità con esso ha un impatto emotivo altamente significante, sia per il pubblico sia per gli interpreti. Il monologo dell’attore viene troncato bruscamente dal suono del megafono, che annuncia la mobilitazione dei lavoratori. A partire da quel momento, su questo piccolo palco-officina, si avvicendano altri quattro personaggi che ci raccontano quarantadue mesi di Assemblea permanente all’interno di una fabbrica di semiassi, la GKN Driveline di Campo Bisenzio. Lì, nel luglio del 2021, quattrocentoquarantadue operai sono stati licenziati - silenziosamente, attraverso una e-mail - a causa del fallimento della fabbrica stessa. Lo spettacolo è una grande questione di numeri, che danno sostanza ai monologhi dei personaggi: le date, il numero di giorni di occupazione, quello degli anni di servizio e dei componenti del Collettivo di fabbrica. Si direbbe quasi che siano i dati stessi a conferire forma e consistenza ai personaggi. Quando la nostra attenzione, facendosi spazio tra i numeri, si rivolge maggiormente agli interpreti, ci rendiamo conto a poco a poco - e con una certa perplessità - che sul palco, a recitare, c’è in realtà soltanto un attore professionista. Gli altri interpreti sono tre operai metalmeccanici e un’addetta alle pulizie del capannone industriale. Sono gli interpreti che i Kepler-452, compagnia fondata a Bologna nel 2015 da Nicola Borghesi, Enrico Baraldi e Paola Aiello, hanno incontrato dentro la fabbrica GKN durante il lungo mese di permanenza al fianco degli occupanti, per osservarli e ascoltarli nel racconto della propria storia. Dormendo e mangiando con loro e parlando insieme di lavoro, dinamiche economiche e conseguenze sociali, insomma di Capitale (quel libro che molti di loro non hanno mai letto).

Non è la prima volta che i Kepler-452 propongono questo format di teatro-documentario che coinvolge attori non professionisti e che intende leggere, attraverso la lente della scena, le diverse urgenze che animano il mondo che ci circonda: dagli sgomberi abitativi, ai licenziamenti di massa, agli sbarchi dei migranti. Così, sul palco della Célestine, troviamo un banco da lavoro, un carrello attrezzi con le rotelle, pareti mobili, tende a lamelle di PVC trasparente per separare gli ambienti, l’officina meccanica, la linea di produzione, gli uffici. E i gilet antinfortunistici. Non ci sono i rumori dei macchinari, perché la fabbrica è occupata, immobile. C’è però la voce dell’indignazione, le rivendicazioni, la lotta: «Insorgiamo!». C’è pure una kefiah bianca e nera avvolta intorno al collo di un operaio. Il forte accento toscano, la barba lunga, le voci - stanche - degli operai che riflettono su quanto è successo in azienda. Parlano tra sé e sé, dentro le loro tute, del valore del lavoro, della routine spezzata, del tempo. E parlano al pubblico: «Voi come state?» è la domanda che pongono a chi hanno di fronte in sala. Si tratta di un espediente chiave, che veicola l’identificazione dello spettatore nella vicenda. Con le macchine ferme, gli operai sono persi. Nella transizione professionale e identitaria che li investe, molti vanno in crisi: affrontano la paura, la perdita di riferimenti, delproprio ruolo sociale. Per altri, torna la voglia di giocare, il tempo libero si espande e rende la vita «imprevedibilmente viva».
Attraverso quattrocento interviste dentro la fabbrica e otto mesi di prove, i Kepler-452 hanno portato in Francia (e in giro per l’Europa) uno spettacolo vivo, destabilizzante, veicolato in lingua italiana con i sovratitoli. Una parte dello spettacolo cambia al variare degli interpreti che di volta in volta sono presenti insieme a Nicola Borghesi. Ciascuno propone un testo che rappresenta il proprio vissuto. Si tratta per molti di un canale espressivo, per altri di un’analisi terapeutica, per altri ancora – come rivelano le conversazioni con gli interpreti dopo lo spettacolo – di una recita dolorosa. La regia ha il merito di dissolvere le gerarchie, confondendo i ruoli (attore, operaio, spettatore) nello spazio scenico costituito dalle parole. Il testo teatrale è il vero luogo in cui si svolge l’azione. Il raccontarsi è perfino più forte dei gesti, ripetuti e alienanti, che ci vengono mostrati sulla scena. Lo è per gli interpreti, che prima di salire sul palcoscenico non avevano mai mosso un passo dentro a una sala teatrale, per chi ha assistito alle prime rappresentazioni con sufficienza, per chi crede che lo spettacolo aiuti la lotta, per chi lo interpreta come un momento di riscatto.

Sessantadue repliche con questa serata al teatro Les Célestins di Lione, che lascia aperta la vicenda della GKN e il destino dei suoi lavoratori. Alla fine dello spettacolo, il pubblico francese empatizza con gli operai nel minuscolo foyer sotterraneo. Sono pochi quelli che storcono il naso e si domandano perché un’azienda che fallisce non abbia il diritto di riprendersi i propri macchinari e di smantellare i locali. Comunque la si veda, occorre qualche giorno di decantazione per realizzare che questa rappresentazione non parla di un fondo finanziario che ha riacquistato un capannone industriale, né del Capitale di Marx, né della solidarietà che si è attivata intorno ai protagonisti e interpreti di questa complessa vicenda. Il progetto dei Kepler-452 sta documentando – da dentro – gli stati d’animo di un Collettivo di fabbrica fatto di persone, che si trovano a ragionare di diritti con la stessa urgenza con cui si contano gli spiccioli per arrivare a fine mese. Ma che si riappropriano, senza volere, di una risorsa fondamentale che è il tempo: i momenti insieme ai figli, la pesca, i compleanni, gli anniversari, le nevicate. E di una seconda risorsa sostanziale, che è il coraggio. Lo stesso coraggio che serve per immaginare una drammaturgia inclusiva, che entra - con tutto il corpo - nella realtà viva dei conflitti, dei collettivi, delle fabbriche. Per poi accompagnare quella stessa realtà ad entrare nel teatro, a incontrare il pubblico, a lasciare domande disperse nell’aria della sala.
Elementi di pregio: La performance partecipata, in cui i soggetti direttamente coinvolti nella storia diventano co-autori e interpreti dell’opera scenica. Il Collettivo di fabbrica diviene una comunità che propone una narrazione autentica del proprio vissuto. Il processo creativo condiviso, nato dalle interviste e dalle interazioni sul campo, genera una drammaturgia che ha un valore politico e sociale, ma soprattutto testimoniale. Infine, la scelta audace di appianare ogni distinzione di ruolo - tra autori e interpreti che veicolano l'opera verso il pubblico - conferisce a questa creazione una forza espressiva inusuale e sorprendente.
Limiti: In questa pièce non c'è distanza critica rassicurante, né alleggerimento retorico: il pubblico è coinvolto in un'indagine amara e lucida, che riattualizza le questioni marxiane senza didascalismi. La deriva del capitalismo, come tematica ideologica ed esistenziale, costringe lo spettatore verso un itinerario obbligato: attraverso le macerie simboliche e materiali di un sistema che ha svuotato il lavoro del suo valore umano e sociale. Come spesso accade con il teatro-documentario, Il Capitale (Un libro che ancora non abbiamo letto) fatica a rimanere una rappresentazione a-politica, guidando gli spettatori verso interrogativi ai quali è difficile sottrarsi.
Visto a Les Célestins, Théâtre de Lyon, 6 febbraio 2025
Un progetto di Kepler-452, Enrico Baraldi, Nicola Borghesi (2022)
Con Nicola Borghesi, Tiziana De Biasio, Alessandro Tapinassi, Francesco Iorio, Dario Salvetti – Collettivo di Fabbrica GKN
Testo e regia di Enrico Baraldi, Nicola Borghesi
Scenografia e luci: Vincent Longuemare
Suono: Alberto Bebo Guidetti
Video e documentazione: Chiara Caliò
Consulenza tecnico-scientifica su Il Capitale di Karl Marx: Giovanni Zanotti
Assistente alla regia: Roberta Gabriele
Macchinista: Andrea Bovaia
Tecnico luci: Lorenzo Maugeri
Tecnico suono e video: Francesco Vacca
Responsabile di laboratorio e capo falegname: Gioacchino Gramolini
Decorazioni: Ludovica Sitti con Sarah Menichini, Benedetta Monetti, Rebecca Zavattoni
Scene e oggetti di scena realizzati presso il laboratorio dell’ERT - Emilia Romagna Teatro
Ricerca iconografica e immagine di locandina: Letizia Calori
Fotografie Luca Del Pia
Produzione: Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
Ringraziamenti a Stefano Breda e al Cantiere Sociale Camilo Cienfuegos di Campi Bisenzio
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