Matteo Alfonso è un attore, regista e creatore nel campo dello spettacolo e delle arti performative. Diplomato alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova, ha collaborato tra gli altri con il Teatro dell'Archivolto, la compagnia Nim e il Teatro Cargo.
1) Da un punto di vista umano, cosa ha significato per te la chiusura dei teatri? Come stai vivendo questo periodo di serrata a livello personale?
Da un punto di vista umano, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, lo stop di tutto il comparto dello spettacolo dal vivo per me è stato un bene.
Mi spiego meglio: se, da una parte, lo stop ha compromesso gravemente le economie personali dei lavoratori dello spettacolo (con situazioni anche molto gravi di licenziamenti da parte di teatri nazionali e altre strutture e con la mancanza di tutele adeguate previste dallo stato), dall'altra parte ha permesso, per la prima volta, la coalizione e la creazione di movimenti spontanei che stanno raccogliendo una parte enorme dei lavoratori dello spettacolo, impegnati in un incessante e capillare lavoro di segnalazione e denuncia delle gravi falle del sistema teatrale italiano e delle cattive pratiche attuate dalle strutture (problemi pregressi che la pandemia ha soltanto portato alla luce) e, parallelamente, di un lavoro di studio e proposta di modelli alternativi per la gestione del teatro pubblico nel nostro paese. Questo è commovente ed entusiasmante.
Da circa un mese abbiamo costituito un gruppo di una trentina di registi under 40 su tutto il territorio nazionale che si chiama RAC, Registi a Confronto, con cui stiamo lavorando come matti alla definizione di una proposta per un cambio di paradigma radicale che vada a riformare dalle fondamenta il Sistema del Teatro Pubblico Italiano, sistema obsoleto e iniquo che vede gli artisti come ultima ruota del carro, con la volontà di far fiorire il panorama teatrale, ridando dignità a chi gli spettacoli li realizza (artisti e tecnici in primis) e di farci guidare da una visione etica più responsabile delle generazioni che ci hanno preceduto, soprattutto per le prossime generazioni.
Nel momento in cui è partito il lockdown avevo appena iniziato a lavorare su un adattamento teatrale del romanzo "Un Amore" di Dino Buzzati e ho continuato a lavorarci senza sosta in questi mesi, con un appuntamento settimanale di circa 3 o 4 ore con i 2 attori coinvolti per verificare l'adattamento e ragionare sullo spettacolo. (Tutto questo, ovviamente, lo stiamo facendo a titolo gratuito...)
2) Sapresti quantificare - in termini economici o con altri parametri oggettivi - la perdita subita (da te personalmente e/o dal gruppo in cui lavori) da quando è iniziata questa chiusura?
In termini economici io sono stato piuttosto fortunato ed il mio caso non è sicuramente esemplificativo della condizione di gran parte dei miei colleghi. Avendo svolto nella prima parte di stagione (Ottobre-Gennaio) la percentuale più consistente del mio lavoro di quest'anno, il danno economico per me è stato relativemente contenuto. Al momento ho perso circa 2000 euro e, se lo stop continuasse fino all'autunno, la cifra salirebbe a circa 3500 euro. Sto partecipando, con una compagnia con cui lavoro, ad un bando di residenza di Artisti Associati (in Friuli) che avrebbe dovuto comunicare i vincitori verso la fine di Aprile. La data è stata posticipata al 30 Maggio. Ho avuto accesso al bonus INPS di 600 euro per il mese di Marzo ed erogato a metà Aprile (che percepisco come partita IVA e non come lavoratore dello spettacolo). Aspettiamo di sapere dal nuovo decreto se e come sarà possibile accedervi per i mesi di Aprile e Maggio. Nei mesi di Aprile e Maggio sono riuscito a portare avanti il mio lavoro pedagogico con un gruppo di allievi attraverso le piattaforme per i meeting (3 ore a settimana, non recitazione, ma linguaggio video e videoediting smart).
3) Qual è concretamente la situazione attuale? Cosa si sta muovendo, quali sono le prospettive?
La situazione attuale è, nel concreto, gravissima e decisamente preoccupante. Lo stop ha portato a una serie gigantesca di licenziamenti in tronco di compagnie che avrebbero dovuto affrontare 2 o 3 mesi di tournée o l'allestimento di nuove produzioni. Alcuni teatri hanno licenziato in tronco, proponendo come palliativo 12 giornate alla minima (75 euro lordi al giorno, 55 euro circa netti). Questa scelta è stata fatta anche e soprattutto da Teatri Stabili e Nazionali. Questo comportamento, oltre ad essere irresponsabile da un punto di vista etico, viola apertamente il CCNL, il contratto nazionale dei lavoratori dello spettacolo. Per questa ragione, attraverso il confronto costante tra lavoratori e sindacato, si è deciso in molti casi di mettere in piedi delle vertenze con i Teatri e le Produzioni che potrebbero, ci si augura, portare alle luce un sommerso di cattive pratiche e spietatezza gestionale da parte delle dirigenze dei teatri.
Altro problema fondamentale è quello dello streaming. Molti teatri, oltre a proporre agli artisti di realizzare contenuti video a titolo gratuito (gravissimo!), stanno proponendo lo streaming o la riproduzione su reti locali (a Genova Primocanale) di video integrali di spettacoli che hanno in archivio senza riconoscere un compenso economico ad attori/attrici e registi coinvoliti. Molti di noi stanno chiamando i teatri da settimane per interrompere questa forma di sfruttamento.
Il mistro Franceschini, che come è risaputo non ama particolarmente il teatro, si è mosso fino ad oggi malissimo. La sua proposta di una Netflix del Teatro, oltre ad essere inverosimile al momento se guardiamo al bacino di utenza potenziale, è del tutto irrealizzabile e non potrà mai sostituire lo spettacolo dal vivo:
- non c'è una legislazione specifica per questo tipo di prodotto e che tuteli i lavoratori;
- solo alcune grandi strutture pubbliche e private potrebbero avere a disposizione i mezzi per questo tipo di produzioni;
- non abbiamo in Italia nè la cultura nè le professionalità per realizzare prodotti davvero godibili e non svilenti della qualità artistica degli spettacoli. Ci sono all'estero esempi vituosi (National Theatre di Londra ed altri), ma siamo molto lontani dal poter realizzare prodotti di quel livello;
- il Teatro si fa dal vivo.
Ad oggi il ministero, nel ragionare sulla riapertura dello spettacolo dal vivo, ha incontrato soltanto il Comitato Tecnico Scientifico e le rappresentanze delle grandi realtà pubbliche e private (FederVivo di cui è presidente Filippo Fonsatti, direttore del Teatro Stabile di Torino , Platea ed AGIS) senza comprendere nella trattativa rappresentati delle varie categorie dei lavoratori o il sindacato (di nuovo, gravissimo!).
Il comitato Tecnico Scientifico (evidentemente inconsapevole di come si faccia il Teatro) ha proposto Regole di Sicurezza sanitaria parificate per pubblico ed artisti:
accesso limitato alle sale, distanziamento (massimo 200 persone in una sala da 1000, 100 in suna sala da 500 ecc.), dispositivi di protezione individuale (mascherine e guanti). Questo vorrebbe dire ritrovarsi con sale praticamente vuote e spettacoli che vedono sul palco attori, danzatori, musicisti, distanziati e con mascherina. Nessuno di noi vuole e può lavorare così. E' un dato di fatto.
Dopo essere spariti per due mesi (nessuna comunicazione sugli impegni presi in precendenza, nessuna comunicazione in senso lato) ora i Teatri e le Produzioni si stanno facendo sentire di colpo e con idee molto confuse. Si paventa una riapertura dopo il 18 maggio!
I Teatri hanno bisogno di riaprire, hanno avuto la garanzia della conferma del FUS (Fondo unico per lo Spettacolo) per il prossimo anno da parte del MIBACT (Ministero per i Beni e le Attività Culturali). Questo li mette al sicuro come strutture, ma va a discapito dei lavoratori. Si teme che molti Teatri useranno i soldi del ministero per appianare i loro debiti (molti Teatri hanno gravi scoperti, anche superiori al milione di euro).
Le proposte che ci stanno arrivando sono inadeguate e poco serie sia dal punto di vista economico e lavorativo che da quello artistico. Ci chiedono di realizzare spettacoli con performer distanziati. I Festival sono disposti a confermare gli impegni presi in precedenza solo a condizione che i registi rivedano gli spettacoli distanziando gli attori (impossibile da accettare).
Si parla di manleve sulla salute dei lavoratori nei contratti (orrore!) e di mettere in quarantena le compagnie per il periodo di lavoro (e le famiglie?).
La prospettiva, purtroppo, è quella di una ripartenza forzata che non terrà conto della vita e delle esigente dei lavoratori e del pubblico.
Se le cose seguiranno questa strada si arriverà in breve tempo alla scomparsa dalla scena del 70% del panorama tearale italiano (comprese quelle realtà più giovani ed innovative che sono l'unica speranza di futuro della nostra Arte).
Ci ritroveremo con stagioni del tutto autoreferenziali, con direttori di teatri che costruiscono la programmazione comprando propri spettacoli realizzati in passato in altri teatri, monologhi di grandi nomi (spesso televisivi e che occupavano già la gran parte dei cartelloni) e spettacoli che sfruttano come carne da macello le nuove leve di allievi e neodiplomati sottopagati delle scuole di teatro.
4) Come pensi che le istituzioni (Stato, Regione, Comune) dovrebbero agire in questa fase?
Politica, ministero, amministrazioni regionali, locali, Fondazioni che finanziano la cultura e grandi strutture produttive (Nazionali, Stabili, ecc.) dovrebbero avere il lucido coraggio e la lungimiranza di fermarsi, fare un passo indietro, e coinvolgere i lavoratori dello spettacolo nel ragionamento e nella progettualità per gli anni a venire.
E' necessaria un'immediata revisione del CCNL e la sua rigida applicazione a tutela dei lavoratori. Di pari passo si deve mettere mano a una profonda e radicale riforma di tutto il Sistema del Teatro Pubblico Italiano e dei principi con cui vengono distruibiti i finanziamenti pubblici.
Dovrà essere una riforma che rimetta al centro chi gli spettacoli li realizza ed il pubblico. Ci sono modelli virtuosi anche molto vicino a noi, in Europa (Francia per le tutele dei lavoratori e Germania per il Sistema Teatrale).
Vanno date dignità e fiducia alle giovani generazioni e a quelle future. Altrimenti il teatro in Italia muore.
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